Non bastano a Giorgia Meloni quattro dichiarazioni in campagna elettorale per andare d’un balzo oltre la propria storia e liberarsi delle radici, pur lontane, cui si abbevera la propria cultura politica. Il fatto in sé di essere intervenuta all’ assemblea dei franchisti di Vox conferma come la Meloni sia tuttora vincolata ad una ambiguità che fa problema dentro ed oltre i nostri confini.

D’ un tratto è venuta meno l’accortezza, la prudenza, la studiata ponderazione che la Meloni ha adottato da candidata a palazzo Chigi. Sembra costretta a muoversi tra due fuochi, in un difficile funambolico esercizio tra nazionalismo, populismo, sovranismo e quant’altre categorie destinate a configurare una strategia politica che sa di stantio. In modo particolare, l’inedita fede europeista che la leader di Fratelli d’ Italia si è ricamata addosso in questi ultimi mesi, nulla ha a che vedere con quell’ “ Europa dei patrioti” che ha invocato oggi.

L’ Europa è stata concepita dai suoi padri fondatori, fin dalla sua prima origine, come superamento dei patriottismi nazionalisti e, dunque, necessariamente contrapposti che, nel breve volgere di soli trent’anni anni, hanno intriso di sangue il suo suolo, teatro di due guerre mondiali. C’è, piuttosto, da sviluppare il patriottismo dei valori universali di dialogo e di solidarietà tra popoli diversi, di fecondazione reciproca tra differenti culture, di giustizia e di pace, di cui l’Europa deve farsi interprete nei confronti del mondo intero. E questo non significa rinunciare alla propria identità, alla propria storia, ai valori su cui e’ incardinata l’esperienza millenaria di un popolo, ma piuttosto vuol dire esaltarla. Al contrario, è invece il patriottismo nazionalista evocato dalla Meloni ad essere espressione di uno smarrimento che spinge a ritroso nel tempo, arroccati in un bastione difensivo che tradisce il timore e l’incapacità di intercettare le “trasformazioni” che oggi un si impongono.

La doppia verità della Meloni è, a quanto pare, strutturale, cioè scritta nell’ordine naturale delle cose e, dunque, necessaria, rispondente a quella coerenza di fondo che ognuno è tenuto a coltivare nei confronti di sé stesso.

Ad ogni modo, siccome è doveroso, anche per noi, attenderla alla prova dei fatti, ci auguriamo che, una volta reso omaggio a Villa San Martino, aderendo al rito di unzione che solo lì assume il significata di una autentica consacrazione, non appena ricevuto l’incarico, sia pronta a varare speditamente il suo governo.

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