Quella che segue è la seconda parte dell’articolo pubblicato ieri (CLICCA QUI)

Un  leader che rimpiazza la partecipazione e il processo di de-civilizzazione

Ma come è divenuto possibile tutto questo? Perché questa mutazione-degenerazione peculiare della democrazia si è realizzata proprio in Italia? Come può un governo regolarmente eletto con un proprio programma perseguire di fatto  politiche che non riscuoterebbero alcun consenso se esplicitamente enunciate? Gli storici daranno la risposta esauriente. Ma è  già evidente che la identificazione popolare  col leader di governo ha prodotto una affidabilità politica, per ora soprattutto mediatica,  che nessun altro organo di fatto possiede. Non si scelgono più delle idee si sceglie una persona alle elezioni. Vi è dunque un potere sostitutivo della persona del presidente del Consiglio  che rimpiazza l’affidabilità del Parlamento e riempie il vuoto della democrazia senza partecipazione attiva ed effettiva.

Alle origini di questa mutazione -che non è oggi il retaggio di una dittatura, anche se sembra-  ci sono fenomeni ormai radicati nel tempo, uno di questi, e non il meno importante, è sicuramente l’allontanamento/espulsione dei cittadini dalla politica (altro che disaffezione!) prodotta più o meno consapevolmente  dalle leggi elettorali incostituzionali (tali per sentenza della Corte Costituzionale, Sentenza n. 1/2014, non per opinione dello scrivente) o comunque personalizzanti  che hanno allontanato progressivamente il potere dai cittadini ed indebolito le basi della sovranità popolare. Basta mettere in relazione la partecipazione al voto con le leggi elettorali operanti nel periodo. Mentre dal 1948 al 1979 cioè nel primo trentennio repubblicano la partecipazione dei votanti aveva sì oscillato lievemente, ma senza mai scendere sotto la soglia del il 90%, le cose sono mutate  drasticamente nel secondo quarantennio repubblicano. Dopo ciò che il poeta Mario Luzi ha chiamato “morte ignominiosa della repubblica”, vale a dire il rapimento e l’assassinio di Aldo Moro nel 1978.

Negli anni 80 inizia un trend costante di lenta erosione (senza mai però  risalire) che inizia ad accelerare a partire dal 1994, per scendere con più rapidità durante la vigenza del sistema elettorale misto proporzionale/maggioritario (Legge Mattarella) passando dall’ 86% del 1994 al 81% del 2001, per poi accelerare progressivamente la discesa dal 84% del 2006 al 75 % del 2013 (con vigenza della Legge Calderoli o Porcellum) e dal 72% del 2018 al  63% del 2022 (durante la vigenza della Legge Rosato o Rosatellum). Se dovessimo aggiungere la partecipazione alle europee del 2024 scenderemmo addirittura al 48%.

Cioè una persona ogni due in Italia non va più a votare e non ritorna a votare. E perché dovrebbe farlo, se la volontà delle assemblee è monopolizzata da una oligarchia di caste che si fanno rieleggere ad ogni elezione col sistema combinato delle liste bloccate, delle candidature multiple  e degli anomali premi di maggioranza?

Vi è stato un processo di decivilizzazione – il Rapporto CENSIS 2024 parla di un “trionfo dell’ignoranza”-che si è alimentato anche dalla personalizzazione della politica che ha respinto i cittadini comuni sempre più lontano dalla cosiddetta  “stanza dei bottoni”. Ma soprattutto la personalizzazione della politica  è servita ad espropriare le persone da ogni controllo effettivo sull’agenda dei problemi derivanti dalle esigenze vere del paese, occultandone conflitti e problemi reali. Poco alla volta, dovendo “designare una persona” più che valutare un partito, i cittadini si sono sentiti chiamati a delegare ad altri la fatica di pensare e limitarsi comodamente a  scegliere i capi.

La scelta del capo è divenuta così  l’atto centrale della democrazia politica. Il modello dell’elezione del sindaco- ottimo o accettabile laddove si tratta di una funzione amministrativa è stato esteso impropriamente anche alla scelta del deputato, che però è investito di una funzione politica sul cui contenuto i cittadini rinunciano ad influire.  Quello che il “capo politico” pensa e decide equivale, nel senso comune, a  ciò che il popolo ha voluto, e quindi non può essere sottoposto a giudizio se non alla fine del mandato. Il potere politico  non è più il risultato dell’interazione di organi dotati di poteri e di competenze diverse capaci di interagire pluralisticamente tra loro come è nella vera repubblica. Il potere di una persona  eletta è direttamente e senza mediazioni  il potere del popolo.

La personalizzazione dell’atto elettorale  (l’elezione dei singoli deputati e senatori) poco alla volta ha poi neutralizzato quel contro-potere  democratico essenziale che dall’ Illuminismo in poi si chiama opinione pubblica, ormai completamente nelle mani dei nuovi mass-media. In questo modo la società civile ha finito per accettare il predominio dell’irreale sul   reale, delle apparenze sulla realtà attraverso il meccanismo mediatico  del pensiero per immagini che non conosce capacità argomentative ma agisce attraverso i meccanismi identitari. In questo pensiero persino la miseria (dei bilanci privati) può divenire ricchezza (del PIL o dei conti pubblici) e la guerra (considerata ormai inevitabile) può divenire pace (cioè deterrenza permanente).

E’ questo l’enorme mutamento antropologico che in Italia ha condotto alla “negazione della politica”. La  politica oggi non è più l’arte del deliberare collettivamente cui contribuisce la repubblica attraverso le sue articolazioni. Essa è, in basso, l’arte di scegliere i capi del popolo ed, in alto, l’arte di controllare, comandare, difendere, reprimere, sorvegliare, combattere (magari anche più che legittimamente, le mafie, certo non una scoperta di questo governo) combattere tutto quanto produce paura , l’arte di trasformare tutto in “arma difensiva” contro la miriade di “nemici onnipresenti” che minacciano la vita dei cittadini comuni, non solo bande criminali, criminalità diffusa,  trafficanti di esseri umani, uccisori potenziali di donne, ma anche pirati della strada e del volante, migranti “pericolosi”, impiegati e burocrazie incapaci, studenti che imbrattano monumenti, “toghe rosse” e via dicendo. Il disegno di legge sicurezza che colpisce come gravi reati penali comportamenti negativi ma privi di capacità realmente lesiva dei diritti, come il comportamento di ragazzi che organizzano un sit-in in un cortile antistante una scuola è un incentivo ad un autoritarismo che mira a scardinare la democrazia costituzionale.

La politica non serve più ad  indirizzare,  promuovere,  migliorare,  curare, favorire lo sviluppo della persona e delle sue potenzialità,  ovviamente non nella forma del cyborg. Serve a combattere una “battaglia” continua contro il male  sociale dilagante.

Certo ancora non abbiamo il premierato ma il presidente del Consiglio  si comporta già  come una autorità di riferimento centrale, che fa qualcosa di più importante di governare, riesce, entro i confini nazionali,  a dettare l’agenda dei problemi, utilizzandola per costruire il consenso. E’ per questo che la libera stampa, l’istruzione, la scuola e la ricerca, i singoli intellettuali sgraditi al potere,  gli organi di garanzia,  l’indipendenza del giudiziario sono sotto pressione in quanto ostacoli al consenso.

 La nuova agenda del consenso e l’obiettivo del premierato

Si tratta di poter costruire senza ostacoli l’agenda del consenso. Nessuno disturbi il manovratore. Non a  caso il governo non dedica una parola al problema del crollo salariale e stipendiale dell’ultimo ventennio – unicum europeo-  e della svalutazione del lavoro umano che è la modalità prescelta dai governi italiani per sostenere i vincoli europei e concorrenziali, ed insiste invece sui “record occupazionali” prodotti in realtà dal prolungamento dell’età lavorativa degli over 50 e dalla crescita dell’occupazione dei nuovi  pony-express che lavorano per Amazon e altre multinazionali. Non una parola sul Patto di stabilità e crescita accettato a Bruxelles in una versione peggiorata rispetto a quanto elaborato dalla Commissione,non una parola sul disastro abitativo causato nelle grandi aree urbane dall’ overtourism  degli ultimi anni, non una parola sui nuovi working poors che ci riportano alla povertà salariale degli operai di fabbrica inglesi all’inizio della rivoluzione industriale le cui condizioni sono descritte nei romanzi di Charles Dickens.

Si è ormai imposta una nuova “agenda parallela” di problemi ed obiettivi al riparo della quale  si stanno gradualmente preparando le premesse di una nuova struttura costituzionale, o meglio per una de-costituzionalizzazione del nostro sistema politico, caratterizzata dalla enfatizzazione dei poteri della “maggioranza uscita dalle urne” identificata con la volontà del popolo medesimo,  secondo la deformazione tipica del “dispotismo democratico”. Di qui l’enfatizzazione della celerità della decisione politica, il fastidio per la democrazia discutidora , la normalizzazione di un  sistema di caste di autonominati al parlamento.

L’altra agenda, quella vera e discussa in Europa e nelle sedi internazionali, è invece tenuta ben nascosta ai cittadini comuni. Il patto di stabilità in Europa, il problema del riarmo della NATO, il costo effettivo e sommerso di una guerra che è finanziata da tutti anche se sostenuta direttamente sulle vite degli Ucraini, il problema di una uscita realistica e graduale dal baratro del debito pubblico, il problema della direzione verso cui orientare la governance UE, la questione della Intelligenza Artificiale, dello sviluppo tecnologico- finanziario che distrugge ogni concetto di limite al potere, il problema delle modalità per evitare una “natura non naturale” ed una “umanità non  umana” ( per alcuni, per i trans umanisti addirittura obiettivo legittimo), della guerra e della pace restano riservate agli addetti ai lavori.

Qui la vera forza del governo italiano è la capacità di dissimulare la realtà dell’infeudamento deferente ai poteri esterni vincenti o ritenuti tali, la NATO, la tecno finanza,  come anche  l’astuto compromesso con  la nuova Commissione europea, cui i Conservatori e Riformisti  italiani  hanno fornito il necessario “soccorso elettorale”in cambio di uno slittamento a destra delle politiche.

Le arti della volpe, per usare il linguaggio machiavelliano del Principe, -quelle che servono per salvarsi dai lacci e dalle trappole- sono più che adeguate per gestire la democrazia interna, la democrazia dei followers. Esse hanno però bisogno di un appoggio esterno in permanenza per avere una assicurazione di stabilità.

Per conseguire una stabilità autonoma mancano ancora le arti del leone– l’unico che sa resistere ai lupi- per completare il lavoro. Le arti necessarie per poter disporre di un controllo permanente, e non precario, sulla volontà dei  propri cittadini. Per questo il 2025 potrebbe essere davvero  l’anno decisivo. L’anno in cui si gioca la battaglia campale che è quella della introduzione in Costituzione del  premierato. Una riforma che in un solo colpo  neutralizza  il Parlamento, altera la Costituzione, muta il rapporto tra i poteri dello Stato e garantisce un consenso inattaccabile. Sarebbe garantita certo una solidissima stabilità, non nello spirito dello statalismo fascista, ma in quello delle prospettive liberiste della J.P. Morgan Bank che in un documento del 2013 aveva identificato i problemi di alcuni sistemi politici europei in questi elementi: “esecutivi deboli, stati centrali deboli rispetto alle regioni, protezione costituzionale dei diritti del lavoro, sistemi di costruzione del consenso che favoriscono clientelismo politico e diritto a protestare se vengono introdotti cambiamenti non  graditi nello statu quo politico”( J.P. Morgan Bank “The euro area adjustement: About half way there” 28th May 2013, p. 12, testo online).

Le “riforme” del liberismo- che evidentemente considerano uno statu quo i vincoli costituzionali- forse hanno finalmente trovato il loro sponsor convinto, molto più coraggioso e determinato, rispetto ai “tecnici” al governo. E sicuramente d’accordo nel condividere gli obiettivi dell’indebolimento delle “protezioni” costituzionali e del diritto a protestare.  La “via italiana” forse in qualcosa sarebbe diversa da quella argentina. Ma non c’è dubbio che la meta del “premierato” è la liquidazione della Costituzione.

Umberto Baldocchi

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