Davvero la personalità più potente d’ Europa?
Il testo online Politico.eu ha riconosciuto qualche giorno fa Giorgia Meloni come” Europe’s most powerful person”, la persona più potente d’ Europa. Una esagerazione, un articolo compiacente, ironico o cos’altro? Io ritengo che si tratti di un articolo contenente una valutazione realistica e non necessariamente “amichevole”. Credo che non ci sia niente da stupirsi del ruolo mediatico, ma anche politico, assunto di fatto dall’attuale presidente del Consiglio, non solo nel contesto italiano, ma anche in quello europeo ed internazionale, e ci sia invece molto da riflettere. E moltissimo da comprendere.
Semplicemente, in Italia si sta probabilmente elaborando, da anni gradualmente, ma ora in modalità accelerate, una nuova forma di governo, decisamente divergente dalle linee della Costituzione vigente. Una forma che non ha molto in comune coi modelli del passato remoto e che potrebbe introdurre novità rilevanti nella costruzione del consenso ai governi. Qualcosa forse di interessante ( e di inquietante) anche fuori d’ Italia. Le forme della politica non nascono dal cervello dei singoli, ma dalle interazioni tra i vari attori sociali, le culture politiche, la dinamica delle istituzioni, le tendenze dell’economia.
Quello di Giorgia Meloni pare essere un governo potenzialmente molto più stabile, specie se paragonato agli omologhi governi attuali dei grandi stati europei, Germania, ma soprattutto Francia. E le contraddizioni evidenti tra promesse elettorali e realizzazioni di governo o le stupefacenti incompetenze della nuova classe dirigente, che incappa nei più maldestri “incidenti” non ne indeboliscono affatto il consenso.
L’ignoranza sembra essere forza, l’incompetenza sembra essere dinamismo. E così mentre la Destra trumpista si ferma ad ammirare stupita, la Destra di governo ovviamente festeggia, non solo ad Atreju, e la Sinistra mediatica continua invece a vedere un governo in preda a conflitti interni laceranti ed è sempre in attesa di una crisi che non arriva mai. Un rompicapo incomprensibile? Tutt’altro. Ma bisogna capire le basi reali di questa “forza”.
Si tratta di una “forza” reale, ma di una forza relativa, che è il riflesso inevitabile della “debolezza” e dalle aporie della democrazia italiana ed anche di quella europea. Chi mette al centro del discorso l’incoerenza di coloro che hanno semplicemente rovesciato le promesse elettorali sposando, ad urne chiuse, una linea non solo europeista, ma addirittura pro-austerity come dimostra l’accettazione delle pesanti modifiche al Patto di stabilità imposte non dalla Commissione, ma dal Consiglio dell’ Unione, non coglie il cuore del problema.
Democrazia dei followers e democrazia dei competenti: una democrazia bifronte
Non si tratta di aver dimenticato o tradito le promesse elettorali. Si tratta invece di aver scelto di giocare in contemporanea due non facili partite su due tavoli diversi, di perseguire contemporaneamente gli obiettivi di un governo “politico” e di uno “tecnico”, esperimento mi sembra sinora mai tentato e su questo costruire stabilità. Questa distinzione politico/tecnico non è una anomalia italiana, ma la conseguenza di dinamiche in atto non solo in Italia. La democrazia in Europa ed in Italia si muove infatti da tempo su due livelli diversi non in correlazione tra di loro. E’ una democrazia duplice, o forse, a dir meglio, una democrazia bifronte.
Sono all’opera, infatti, due circuiti decisionali per certi aspetti non connessi tra loro. Vi è un primo circuito che si occupa dei problemi contingenti ed immediati, spesso “emergenziali” ben percepiti dal senso comune, ampiamente sottolineati dai media, ed utilissimi a costruire slogan e a rafforzare “identità” che si combattono senza esclusione di colpi nella pubblica arena. In questo circuito va bene il livello linguistico della “borgatara” della popolana, della underdog, che alza la voce, usa un lessico popolano e fa sentire la sua vicinanza all’uomo comune. E’ il livello delle idee immediate ed intuitive del popolo che al popolo vengono restituite su scala allargata dal sistema mediatico e dei social, come avviene in ciò che ormai si è convenuto chiamare “populismo” e che un tempo era detto “demagogia”.
Un esempio di questa semplificazione, che non è esclusiva di una sola parte politica? Prendiamo due temi uno per ciascuna delle opposte parti politiche: da una parte c’è il “problema” della difesa dei confini e della sicurezza, di fermare i migranti, dall’altra parte c’è l’obiettivo di far fronte al ritorno del fascismo o del neofascismo il cui pericolo è mostrato plasticamene dai camerati impuniti che fanno il saluto romano o dalle svariate manifestazioni di “simpatia” per il noto ventennio. E’ questa la lotta politica messa in scena, il teatrino permanente della politica che le TV trasmettono h 24, in una sorta di campagna elettorale permanente, in cui non è nemmeno necessario votare, bastano i sondaggi.
A questo livello della democrazia l’atto elettorale non è più un atto finalizzato alla rappresentanza degli interessi, ma un atto che si è degradato a una sorta di identificazione collettiva con un soggetto che replica e conferma il senso dello slogan con la voce autorevole di chi siede in Parlamento o governa. Questo livello, per usare un termine coniato da uno storico alcuni anni fa, da Alberto Mario Banti, si potrebbe definire quello della “democrazia dei followers” ( o più volgarmente la democrazia delle “opposte tifoserie” da “curve dello stadio”) che apprezza un ceto politico talvolta proprio perché ostenta, tramite il livello del linguaggio, anche volgare, queste presunte “radici popolari”.
C’è poi però un altro livello della democrazia attuale, quello delle decisioni veramente importanti e decisive, quelle che riguardano il medio e lungo periodo, che non possono, per carità, essere affidate al cittadino comune , ma che sono affidate ad autorità prevalentemente impolitiche ( in genere uomini delle banche,della finanza, della scienza, della tecnica ecc.) dotate di raffinate o comunque elevate competenze Ed apparentemente super partes. E’ il livello che si materializza in modo percepibile da tutti nei cosiddetti “governi tecnici” ( governo Monti, Draghi ecc.) che oggi forse non sono più una esclusiva italiana e che si realizza in via continuativa nella governance della Commissione UE, caratterizzata da un processo decisionale complesso e poco trasparente, sensibile alle esigenze delle lobbies ma impermeabile o quasi a quelle di un Parlamento europeo, privo di iniziativa legislativa, ma anche incapace di esprimere partiti e raggruppamenti genuinamente transnazionali , dato che esso è il prodotto, come ben sanno gli storici, di una somma di ventisette distinte elezioni nazionali con obiettivi e finalità nazionali( ogni candidato propone di tutelare il proprio paese in Europa, non di individuare e promuovere finalità comuni europee).
E sappiamo ormai che i regolamenti e le direttive europee sono ormai alla base di gran parte della legislazioni nazionali. Vi è ovviamente una discussione politica a Bruxelles, ma una discussione che si svolge in consessi riservati e lontani dalla pubblica opinione. Chi può dire qualcosa del nuovo Regolamento AI ACT 2024 sull’Intelligenza Artificiale varato dall’UE? Quale partito o agenzia informativa, per non dire quale europarlamentare italiano ha dedicato un minuto del suo tempo solo per illustrare ai cittadini italiani i vantaggi e le criticità della nuova normativa? Chi parla ai cittadini del problema della necessità di una vera concorrenza europea che dia regole stringenti, non tanto ai balneari o agli ambulanti, ma alle grandi concentrazioni di potere come quelle che detengono le concessioni autostradali ad esempio da cui dipendono costi che ricadono sulla collettività?
E questo livello di democrazia dei “competenti” (una democrazia ovviamente senza trasparenza) tocca talvolta anche i legislativi nazionali. Quando si parla di questioni importanti di public policies anche il Parlamento italiano non discute, anzi esso sospende ogni polemica e passa direttamente alla approvazione. Ricordiamo il 2011 e la costituzionalizzazione del pareggio di bilancio passata in Parlamento senza alcuna discussione pubblica, senza dibattiti, nel contesto “cooperante”, per così dire, dei principali organi di stampa e approvata all’unanimità o quasi alla Camera ed al Senato. E’ la “democrazia dei competenti” che si muove in parallelo alla “democrazia dei followers”.
La vera novità del governo Meloni: il neoliberismo ultracompetitivo
E qui credo sia la grande novità del governo Meloni che chi guarda al passato ed alle radici storiche lontane nel tempo non riesce a distinguere e neppure chi guarda ai populismi nazionalisti, o sovranisti di oggi. Si fa difficoltà a pensare ad una Destra che non si fondi sulla centralità del ruolo dello Stato e che non si limiti a perseguire politiche nazionalistiche che chiedono sempre “più Stato”. Si fa difficoltà a pensare ad una Destra che sceglie di avere meno Stato e che punta sull’economia, sulla finanza o sul mercato. E qui troviamo la novità del resto evidenziata anche dalla presenza dell’argentino Milei ad Atreju.
Il governo attuale tiene insieme (o cerca di tenere insieme) quei due livelli e quei due volti della democrazia attuale, è un governo bi-fronte, che riesce ad agire su due livelli quasi sempre in contrasto tra loro, il livello della democrazia “immediata” necessaria al consenso e quello non trasparente della democrazia dei competenti, necessaria per costruire il futuro ed affrontare i problemi essenziali e sottratta “necessariamente”( a loro avviso) al consenso. Sulla base del ragionamento strumentale che il governo vero deve pensare alle prossime generazioni non alle prossime elezioni, cosa che i semplici cittadini votanti evidentemente saranno sempre incapaci di fare.
E’ questo il terreno sul quale il governo attuale è rigoroso e non accetta cedimenti( una sorpresa per molti osservatori politici), nel tenere in ordine i conti pubblici, anche a spese di quelli privati, andando persino oltre l’austerità che chiede Bruxelles. Una vera assicurazione di “lunga vita” a spese di altri. Guai però a rendere trasparente questa dimensione in cui il consenso dei “followers” conta meno di zero.
La grande mutazione della politica
Qui si registra la grande mutazione. In Italia negli ultimi anni, a partire dalla crisi finanziaria del 2008, questo doppio livello aveva prodotto una alternanza di governi non tanto di Destra e di Sinistra quanto soprattutto di governi “tecnici” e “politici”, il governo Monti dal 2011 al 2013, poi seguito dai governi politici di Letta, Renzi e Gentiloni. Poi, dopo la parentesi (imprevista) dei due governi Conte, conseguenza di un radicale e sgradito mutamento elettorale, si è tornati di nuovo al governo tecnico Draghi dal 2021 al 2022 , per poi approdare, in seguito al trionfo elettorale dell’unica forza di opposizione a Draghi, al governo Meloni, che ha in larga parte ripreso il programma di Draghi.
Qui infatti l’ alternanza politici-tecnici pare fermarsi. E qualche esponente dei vecchi “governi tecnici” infatti osserva compiaciuto questa nuova Destra economicamente e finanziariamente “disciplinata”, che tiene a posto e non abolisce certo la legge Fornero. Per la prima volta i due livelli della democrazia sembrano fondersi insieme.
Ora una alleanza (precaria o duratura?) tra elemento populista, una sorta di demagogia 2.0, ed economia finanziaria per ora un inedito, almeno in Europa, sembra così realizzarsi in Italia. La Destra, un tempo “sociale”, si rivela come la più attenta custode dei conti pubblici e della più dura austerity europea. In realtà, autoritarismo e deregulation finanziaria, democrazia dei followers e democrazia dei competenti potrebbero davvero consolidare la loro fusione. Una deregulation dura richiede autoritarismo per domare i conflitti sociali. La via proposta in Argentina da Javier Milei potrebbe essere un anticipo della “via italiana” ai trionfi prossimi venturi del neoliberismo ultra competitivo e compatibile con le guerre permanenti. (Segue)
Umberto Baldocchi