Quella che segue è la seconda parte dell’articolo pubblicato due giorni fa (CLICCA QUI)

Che la guerra sia “necessaria” o “inevitabile” è una assunzione un po’ anomala del ragionamento umano, che produce un giudizio di inevitabilità ex ante e non ex post – guerra necessaria perché ad un tempo indispensabile ed inevitabile come se fosse un giudizio prospettico e non retrospettivo, fondato dunque o su deduzioni astratte legate a presunte leggi della realtà sociale o su pregiudizi dogmatici. Se qualcosa è inevitabile, come l’arrivo di un uragano, molto difficile sarà ogni discussione, parlamentare o non parlamentare, sulle possibilità di evitarlo. Sarà superfluo o inutile “dichiarare” uno stato di guerra. Basterà riconoscerlo, senza discussione alcuna.

In questo modo la guerra, come un tempo carestie ed epidemie, ed oggi anche crisi climatiche, emergenze migratorie, disastri tecnologici, disastri alimentari, o energetici, o mediatici finisce per apparire un fenomeno ordinario, possibile ed anzi sempre probabile nella realtà quotidiana, che è quella di una società a rischi crescenti.  E’ uno dei tanti rischi che sono ritenuti ormai sostanza della vita ordinaria, per cui un Commissario UE ha apprestato un grottesco  “kit di sopravvivenza”.

Si tratta di una realtà però drammatica. E’ la realtà definita, con termine inglese ampiamente usato nei documenti UE, come  weaponisation , vale a dire “bellicizzazione” della vita sociale attraverso la trasformazione in armi di tecnologie ed attività umane soggette a competizione ( cioè tendenzialmente  quasi tutte quelle che ci mettono in connessione).

Tutto quanto ci mette in connessione- compreso cellulare o smartphone- ci mette anche in competizione e quindi ci mette sempre in una condizione potenziale di rivalità, competizione e guerra.

La guerra non è più un fatto umano o naturale come si credeva un tempo,  ma soprattutto un fatto tecnologico. Tutto è dunque potenzialmente strumento di guerra, dalle “terre rare” dell’ Ucraina o di altri paesi, alle reti informatiche, ai cellulari, alle riserve alimentari, alle risorse energetiche, alle risorse culturali, ai flussi commerciali ( guerra dei dazi) alla informazione ( guerra delle fake-news), alle risorse finanziarie ed economiche ( sanzioni come arma di guerra, non più solo di deterrenza) , alle retri satellitari, sino alla masse umane di migranti considerate da taluni “armi” lanciate contro uno od un altro Stato.

E’ evidente che si tratta non di una dimensione oggettiva, concernente dei fatti concreti,  ma di una dimensione  culturale entro cui siamo immersi, una ideologia tecnocratica ( la techne è sempre potere e quindi forza) che universalizza competizione e diffidenza e ambizione di potere ( competition diffidence and glory, i fondamenti della guerra secondo Hobbes) come base delle relazioni internazionali e anche delle relazioni interne tra i cittadini degli stati.

Finisce così per sparire ogni soluzione di continuità tra pace e guerra, e diviene problematica ogni PACE che sia intesa come patto o accordo per l’ eliminazione della fonte di  conflitto. Il conflitto è infatti destinato a permanere, magari mutandosi  o trasferendosi ad altro.  La pace diviene una TREGUA tra due guerre o una pace impossibile.

Il secondo concetto di PACE: il  FOEDUS  ovvero la pace EX ANTE

Resta allora l’altro concetto di PACE elaborato dai Romani e ripreso in epoca moderna dall’ Illuminismo e dalla rivoluzione americana,  nonché dal federalismo europeista. Una pace costruita in modo autonomo, non ricavata per negazione dal concetto di guerra, un concetto affine peraltro al concetto escatologico, ebraico e cristiano di shalom, il che spiega il contributo essenziale del cristianesimo alla sua costruzione, soprattutto a partire dal XX secolo.

E’ la  PACE, definita dal termine FOEDUS, inteso come alleanza inclusiva, come costruzione ex ante della relazione a prescindere da eventuali conflitti precedenti. Nell’esperienza degli antichi Romani anche i vinti in fatti  si includono nel foedus sia pure in condizioni differenziate, , cosa che Sparta ed Atene non fecero mai, portando al disastro la Grecia classica, che tentò anche essa  di costruire la propria unità, ma senza mai impiegare il concetto e la sostanza del  foedus.   Gli “altri” per i Greci erano inferiori in tutto, per i Romani no, erano inferiori solo nel mondo del potere e del diritto.

Sentirsi comunità politica prima e comunità universale poi ecco il segreto dei  Romani, che continuarono a preservare  anche nella fase imperiale e decadente.  Noi abbiamo invece lasciato sbriciolare la comunità nella nostra società mediatica , siamo divenuti agglomerati di individui separati spazialmente e connessi mediaticamente, per cui l distanza tra realtà e finzione, vero e falso non esiste più.

Rispetto alla PAX classica, il federalismo è un modo di ragionare rovesciato, si ragiona a partire dalla pace, non più dalla parte della  guerra. Cosa è infatti un FOEDUS? E’, in politica internazionale, patto, alleanza, lega, unione inclusiva.  E’ l’operazione con cui si stabilisce un accordo permanente di cooperazione tra soggetti diversi che si sentono parte di una medesima comunità. Così si è allargata la Comunità Economica Europea, così si è allargata anche l’ UE  per accessione libera di Stati diversi.

Se vogliamo dirla tutta è una PACE PREVENTIVA , una concordia ordinata,  fondata sulla FIDES, sulla fiducia  e sulla lealtà che si attende in cambio, sulla possibilità di conciliare interessi diversi che non si ritengono conflittuali, ma compatibili.   Nella visione dei padri federalisti  americani che elaborarono un nuovo tipo di costruzione statale il federalismo era un metodo di garantire una pace interna fondata sul compromesso tra interessi diversi, la cui varietà e il cui pluralismo, lungi dal generare conflitto, serviva a costruire una democrazia  in cui le maggioranze erano costruzioni deliberative e non espressioni immediate ed estemporanea- non mediate da deliberazione razionale-  di interessi omogenei, “espressioni della pancia del popolo” diremmo oggi,   che potevano essere anche una minaccia per i diritti delle minoranze.

Nel  federalismo: nessuno può pensare se stesso come potenza assoluta Nessuno può essere un soggetto assoluto  nel foedus ci completiamo a vicenda, troviamo una compiuta realizzazione del nostro essere, un po’ come è nello shalom ebraico e cristiano.  E’ quindi il sistema del foedus che consente di costruire la comunità di stati e di popoli di cui l’unità europea  doveva essere solo un modello.  Il foedus  che configura rapporti basati sulla fiducia configura una comunità di popoli, un insieme di popoli e Stati che non vivono in quella situazione di  competizione perenne in cui ciascun Stato reclama la propria sovranità assoluta ed il diritto ad appropriarsi singolarmente dei beni rari necessari al progresso per poter sopravvivere. Il foedus esclude la lotta belluina per la sopravvivenza.

Il federalismo è il punto centrale del  Manifesto di Ventotene. Ma non è nato a Ventotene. Ciò che scrissero gli uomini di Ventotene ( 1941) non è molto diverso da quanto scrissero due anni dopo gli uomini del Codice di Camaldoli ( 1943/45). Vi è una comunità internazionale (“ una vita comune internazionale”) di popoli e Stati da costruire per superare il dogma della sovranità assoluta dei poteri statali. Afferma il Codice di Camaldoli

“La creazione di una vita comune internazionale operata attraverso la cura e la gestione di interessi comuni ai vari popoli è la premessa ed il supposto indispensabile per la formazione di una società politica internazionale avente per finalità la armonia e la solidale e ordinata convivenza di queste libere forze e la loro azione comune e quindi la creazione di un vero e non fittizio o formale ordine giuridico che subordini o conformi la politica degli stati alla superiore esigenza della comune vita dei popoli. Solo e soprattutto con la formazione di questa libera società internazionale delle forze sociali nella piena espansione della loro natura, potrà essere superato effettivamente e nella realtà storica il falso dogma della sovranità assoluta dello stato, fonte e premessa di ogni ingiustizia e di ogni violenza internazionale e ragione precipua delle crisi e dei fallimenti avvenuti in tutti i tentativi di organizzazione di una comunità internazionale”.( Punto 96 del Codice di Camaldoli)

Questo non è questo facile irenismo. E’ invece il realismo profondo di chi sa distinguere tra Stato-persona e Stato-ordinamento. Uno Stato-ordinamento infatti  diversamente dallo Stato-persona  non può essere un soggetto assoluto e chiuso in se stesso. E’ un soggetto aperto verso il basso, verso le diverse formazioni sociali, ma aperto anche verso l’alto, verso una “comunità internazionale” da cui non è separabile.

Il sistema degli Stati infatti costituisce una “comunità”, cioè un insieme non legato da interessi e convenienze, ma anche da solidarietà e doveri reciproci ( “communitas” da “cum munus”, con il dovere). La “comune vita dei popoli” non ha nulla in comune con la globalizzazione, che – oggi lo vediamo col trumpismo in atto-  ha  moltiplicato  i muri e le linee di divisione  ed ha portato al parossismo la competizione, pure in sé utile.

Come non vedere in questo approccio l’origine delle “comunità europee” nate non per combattere un nemico o un sistema di potere non democratico, ma per rispondere in positivo a quel bisogno di “vita comune dei popoli” che la globalizzazione ha invece disastrato? Come potrebbe oggi l’ Europa negare questo senza negare se stessa? Come non vedere qui l’origine di un “ordinamento” che  supera i confini nazionali e  che si fonda su una logica opposta a quella della forza e della guerra globale e diversa anche da quella di chi considera la pace trascorsa come un puro risultato della deterrenza nucleare?,  E’ questa l’unica logica che consente di far prevalere il diritto che è “fine” sulla forza, che è “mezzo” e tale deve rimanere. L’unica logica che ci impedisce di confonderli l’uno con l’altra.

L’Atto finale di Helsinki del 1975 è un modello di questa PACE FEDERATIVA come anche la costituzione della CECA nel 1951. Qui sta il cuore del vero federalismo, quello da cui può rinascere quel modello di Europa  e di unità europea di cui il mondo ha oggi urgente bisogno.

Umberto Baldocchi

About Author