Il recente risultato elettorale della Moldavia che ha visto premiate le forze politiche pro-europee, accorcia la strada per l’ingresso nell’Unione Europea anche di quel paese alla frontiera orientale. Nei prossimi anni si delinea dunque la possibilità di un ulteriore importante allargamento dell’Unione nei Balcani e ai confini con la Russia (Ucraina e Moldavia appunto). Questo importante sviluppo suggerisce qualche riflessione sulla “geografia dell’Unione”, su come sia mutata nel tempo e con quali conseguenze.

Dai sei paesi fondatori del cuore carolingio del continente siamo arrivati oggi a 27 paesi e potremmo salire a 35 nei prossimi anni. Con l’eccezione della Russia euro-asiatica e del suo satellite la Bielorussia (e dall’altro lato del Regno Unito) l’Unione Europea si affermerebbe pienamente come la forma politica dell’Europa.

Questa espansione della UE se da un lato evidenzia l’attrattività politica ed economica dell’Unione e il successo di un modello basato sulla libera scelta dei paesi aderenti (in contrapposizione al modello russo di espansione territoriale attraverso la forza), dall’altro lato è stata a volte criticato per le difficoltà che questo allargamento porrebbe al
funzionamento dell’Unione stessa.

Credo che questo giudizio negativo sia fondamentalmente sbagliato per più di un motivo. In primo luogo, perché l’apertura ai successivi allargamenti deve essere considerata il principale strumento utilizzato sino ad oggi di politica estera “pacificatrice” dell’Unione.

Importanti aree del continente con forti potenziali di conflitto tra stati (per presenza di minoranze etniche a cavallo dei confini e per rivendicazioni territoriali) sono state incorporate all’interno di un sistema istituzionale capace di gestire pacificamente i conflitti. E su questa strada si deve continuare.

In secondo luogo, perché l’accesso all’Unione ha favorito il consolidamento dei processi di democratizzazione nei paesi europei dalla Grecia dopo il regime dei colonnelli, al Portogallo e alla Spagna post-franchista, ai paesi liberatisi dall’egemonia sovietica, sino all’odierna Ucraina. A questo si deve aggiungere che l’Unione stessa si è positivamente trasformata proprio per gestire gli allargamenti: dopo l’ingresso di Grecia, Portogallo e Spagna sono state sviluppate le politiche di coesione per ridurre il divario economico tra le regioni del Sud Europa e quelle del Centro e Nord.

Dopo l’unificazione tedesca è stata creata l’Unione monetaria e introdotta la moneta unica. E negli ultimi anni i rischi di degenerazione della democrazia di alcuni paesi dell’est stanno spingendo verso una maggiore attenzione alla qualità democratica all’interno dell’Unione e al rafforzamento di meccanismi di controllo.

Certamente, le maggiori diversità esistenti in una Unione Europea allargata (tra Nord e Sud, tra Est e Ovest), oltre ad essere una ricchezza se non si ritiene che l’uniformità sia il modello preferibile di assetto politico-sociale, pongono problemi di coesione che emergono soprattutto di fronte a gravi crisi esogene come quella finanziaria del 2008, quella pandemica del 2010 o oggi quella delle guerre  ai confini dell’Unione. Poiché l’impatto delle crisi non è uguale per tutte le regioni dell’Europa il tema della solidarietà diventa essenziale per la tenuta dell’Unione.

L’esperienza delle due prime grandi crisi ci ha però insegnato che, seppure con qualche “fatica decisionale” ed errori, la solidarietà comunitaria si è affermata e l’intervento dell’Unione (vedi le azioni della Banca Centrale Europea a garanzia dei debiti sovrani e il Quantitative Easing nella prima e seconda crisi o i programmi di finanziamento promossi dal Consiglio Europeo e dalla Commissione come il MES nella crisi finanziaria e il Next Generation EU o il SURE nella crisi del COVID) ha dato un sostegno decisivo agli stati in difficoltà e ha salvaguardato la coesione europea.

Nella crisi odierna, con la guerra che ha ripreso a dominare la scena internazionale, e che minaccia sia il fronte Est dell’Unione che quello Mediterraneo, l’Unione è chiamata ancora una volta a garantire la coesione del suo largo perimetro geografico assicurando le esigenze di sicurezza di tutti i paesi e la difesa comune di un ordine internazionale basato sul diritto e non sulla prevaricazione della forza.

È una responsabilità nuova per l’Unione e questo spiega incertezze e ritardi, e tuttavia anche in questa crisi un non trascurabile cammino comune è stato intrapreso prima di tutto sul fronte ucraino (fornendo importanti aiuti al paese aggredito), ma progressivamente anche su quello della guerra di Gaza (aumentando la pressione su Israele e a difesa del futuro di una Palestina indipendente).

La “grande” Europa può e deve riconoscere che ha un ruolo da giocare sulla scena internazionale.

Maurizio Cotta

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