Il Cardinale Dolan, arcivescovo di New York, si è augurato che il prossimo Pontefice sia una sintesi degli ultimi tre:
Giovanni Paolo II, Benedetto XVI, Francesco.
Papa Wojtyla proveniva da un Paese dell’ Est comunista. Papa Ratzinger dal cuore dell’Europa. L’uno prima, l’ altro dopo l’89, la caduta del Muro di Berlino e la dissoluzione dell’Unione Sovietica. Papa Francesco dal Paese latino-americano che ha conosciuto Peron, Vileda ed ora è presieduto da Milej. Tutti e tre, nei loro anni giovanili, hanno vissuto, sulla loro pelle, l’inferno delle dittature che hanno funestato il XX secolo, la brutalità di ideologie e rivoluzioni che hanno avuto in comune l’ambizione di creare l’ “uomo nuovo”, destinato a dispiegare le sue potenzialità rigorosamente sul piano dell’ immanenza. Lontano, anzi, contro quella dimensione trascendente, originaria e costitutiva della sua essenza, che trova la sua più esemplare manifestazione nel sentimento religioso, che tali regimi espressamente conculcavano nel cuore e nella mente degli uomini.
Oggi, a poche ore dall’ avvio del Conclave, giganteggiano le grandi figure pastorali di Francesco e di Giovanni Paolo II, che sembrano comprimere e soffocare la figura di Benedetto XVI, il Papa teologo, cui lo Spirito Santo ha affidato il compito di affrontare ed ammonire, a viso aperto, quell’ Europa che crede di essere pienamente secolarizzata, lontana, anzi del tutto indifferente – ed è peggio – al messaggio cristiano, eppure si commuove quando vede Notre Dame in fiamme ed esulta quando le è restituita nel suo originario splendore. Come se conservasse, in fondo al cuore, una inconsapevole e tormentosa domanda di salvezza e di senso della vita e del mondo che non sa mitigare altrimenti, se non riconoscendo, ciascuno nel proprio linguaggio, la sacralità dell’ uomo. Peraltro, il fuoco che ha devastato forse la più maestosa ed iconica Cattedrale non ha potuto compromettere le strutture portanti di una architettura che è rinata dalle sue fondamento, come se simboleggiasse, nel segno del cristianesimo, davvero una transizione epocale, il passaggio dall’ “evo moderno” verso l’ avventura di un nuovo tempo di grazia.
Almeno, questa dovrebbe essere l’attesa dei credenti che pur vivono i giorni che vedono scomporsi vecchi equilibri, dissolversi consolidate certezze, superate, d’ un tratto, attitudini, comportamenti, mentalità, visioni che non reggono l’ onda d’ urto di un tempo nuovo che si impone, irrompe e si fa da sé, perfino a nostro dispetto.
La Chiesa è davvero universale e, quindi, a maggior ragione, non più “eurocentrica”, eppure – al di là della triste e grigia narrazione dello scontro tra Cardinali conservatori e progressisti – non potrà accantonare il Magistero di Benedetto.
“Fides quaerens Intellectum”, Papa Ratzinger resterà una pietra miliare nella storia della Chiesa, in questo drammatico frangente della vicenda umana. Collaborando a lungo con Giovanni Paolo II e vivendo a fianco di Francesco, da Papa Emerito, l’ ultima stagione della sua vita, e’ come se avesse trasmesso il testimone dall’ uno all’altro.
Raccordando – “Intellectus quaerens Fidem” – la loro vocazione pastorale ed universale, l’aprire le porte a Cristo ed il camminare verso le periferie del mondo, al solido “deposito” della fede ed alla sua perenne capacità di illuminare le stagioni della storia che si succedono l’ una all’ altra. E forse qui c’ e’ almeno un accenno alla sintesi di sui parla il Cardinale Dolan.
Ora finalmente cessa il “gossip” sulla figura e sulla provenienza del nuovo Santo Padre. Si apre il Conclave e prende la parola lo Spirito Santo. Ogni Pontefice è un Suon inequivocabile messaggio rivolto alle donne ed agli uomini di quel tempo. E poiché il Vescovo di Roma, a maggior ragione in questo tempo di ferro e di fuoco, continua ad essere la più alta autorità morale al mondo, non c’è che da attendere questa “parola” con un atto di fede da parte dei credenti. E, se non fede, con altrettanta fiducia da parte di chi non crede.
Domenico Galbiati