In fondo, la Piramide di Panseca – esibita al Congresso socialista del 1989, età dell’oro dell’epopea craxiana – era uno scherzo, a fronte del gigantesco albero natalizio, abbacinante in una spirale di luci, che campeggia al Circo Massimo di Roma che, forse, non hai mai conosciuto altrettanto splendore. Neppure quando sui fatali colli di Roma aleggiava l’ “impero”, quello vero, non la ribollita di cartapesta del secolo scorso.
Non manca il Presepe. Anche in quanto ad evocazione di simboli cristiani, il povero Salvini, con i suoi rosari, deve battere in ritirata – del resto ci ha fatto il callo – di fronte all’offensiva delle “Sorelle e Fratelli d’Italia” di Giorgia Meloni. In effetti, la messa in scena della kermesse di FdI – impreziosita della cortese presenza di Bertinotti, sponda elegante, nel portamento e nell’eloquio, di un confronto aperto a tutte le voci – una sorta di liturgia laica che celebra il momento della riconquistata “grandeur” nazionale dell’Italia.
Senonché – e la storia non manca di ammaestramenti in tal senso – l’insidia maggiore da cui deve guardarsi Giorgia Meloni non è il pallido languore di un’opposizione che non ha contezza di sé, ma piuttosto quel tanto di ebbrezza che sempre accompagna il compiacimento autoreferenziale del potere. Quanto più ci si innalza, tanto più l’atmosfera rarefatta si impoverisce di ossigeno ed, a quel punto, un lieve e soporoso stordimento e’ il primo sintomo di un malessere ingravescente.
“Sobrietà”, dunque. Come nell’operosa Milano, dove mai si sta con le mani in mano, in occasione della prima della Scala, molti – e, tra i primi, giustamente la Seconda carica dello Stato – hanno all’unisono invocato, da mondo della politica a quello delle imprese, delle arti e della cultura.
Ogni cosa a suo tempo. E questo non è il tempo dell’ autocelebrazione. Meno ancora di una sorta di spirale narcisistica in cui anche la politica rischia di avvitarsi.