Pochi giorni fa, un autorevole osservatore della politica italiana, ha fatto giustamente notare, sul Corriere della Sera, come la volatilità del voto degli italiani stia facendo un’altra vittima illustre: la Lega di Matteo Salvini. Gli ultimi risultati amministrativi, per lui, sono impietosi. In Umbria, la Lega è passata dal 37 per cento delle scorse regionali al 7 per cento. In Emilia Romagna, il capitombolo va dal 31 al 5 per cento.
Con questi numeri, nota opportunamente Aldo Cazzullo, qualsiasi leader di partito dovrebbe rassegnare le dimissioni. E invece, no! Lui, il Capitano, imperterrito e spavaldo continua a “intignare”, come dicono qui a Roma. E’ sempre più deciso a difendere i confini della patria, per poi farla uscire dall’Europa e gettarla nelle braccia di Trump.
Nessuno, però, gli ha fatto notare – eccetto forse quel galantuomo di Zaia – che il neo presidente americano non andrà tanto per il sottile con noi europei. Lui non vede l’ora di farci la festa, con i dazi, col protezionismo e col disimpegno dalla Nato.
A differenza di quei “Terroni” dei Romani che conquistarono e civilizzarono mezzo mondo per oltre sette secoli, la Lega Nord sembra che, dopo “soli” 30 anni , sia già arrivata al capolinea. Fallito il progetto di renderla un partito nazionale, dovranno acconciarsi a difendere quei pochi accampamenti rimasti nel Lombardo-Veneto. Con i Fratelli d’Italia sempre più alle porte, anche al Nord prima o poi, la Lega andrà incontro allo stesso destino che le ha riservato il Sud: Una lenta e inesorabile emorragia, causata non tanto da scarsità di voti, quanto da mancanza di visione, da inconsistenza politica, da zero prospettive.
E allora, tanto per rinfrescarci la memoria, analizziamola un po’ questa parabola della Lega. Nacque nel 1991 grazie ad Umberto Bossi e subito si caratterizzò come Movimento regionalista e autonomista. Voleva rappresentare gli interessi del Nord Italia, in opposizione alle politiche centraliste dello Stato. Promuoveva l’idea di “Padania” e si batteva per un federalismo radicale o addirittura per la secessione del Nord. Con l’arrivo di Salvini, nel 2013, le cose cambiarono radicalmente. Le istanze secessioniste furono ben presto abbandonate per inseguire un altro, ambizioso progetto: trasformare la Lega Nord in un partito nazionale.
Da allora in poi, la “Lega” passò, come se niente fosse, dall’indipendenza della Padania ad una una retorica nazionalista e sovranista, facendo leva su temi come l’immigrazione, la sicurezza e la critica all’Unione Europea. Parallelamente, Salvini insisteva sull’autonomia differenziata, ma limitandola alle Regioni più ricche del Nord. Fu proprio quest’ atteggiamento politico disinvolto a creare nuove tensioni. Da un lato cercava di attrarre consensi al Sud; dall’altro, però, sosteneva politiche che favorivano palesemente le Regioni settentrionali. Batti oggi e batti domani, gli elettori meridionali non hanno più gradito. E così il progetto di espansione al Sud, così come tutto lascia presagire per quello sull’Autonomia differenziata, è rimasto solo “in mente Dei”.
Dopo un iniziale successo nelle elezioni europee del 2019, quando la Lega al Sud superò il 20% , il suo consenso è rapidamente evaporato. Le ragioni? Innanzitutto le sue contraddizioni politiche. La retorica nazionalista di Salvini mal si conciliava con le richieste di autonomia differenziata per il Nord, sempre più percepite come una forma di “egoismo regionale” a danno delle Regioni meridionali.
Aggiungiamo poi la fragilità della struttura locale. Al Sud, la Lega non ha mai costruito una rete di radicamento territoriale solida. Si è affidata, senza alcun discernimento, a ex esponenti di altri partiti, spesso percepiti come opportunisti. Un altro fattore che ha affossato il suo progetto va cercato nelle sue Politiche divisive. L’insistenza su temi come l’immigrazione ha mobilitato una parte dell’elettorato, ma ha anche allontanato chi, al Sud, vive in contesti dove la solidarietà e l’integrazione sono più sentite.
A tutto questo andrebbe aggiunta la nota, forse la più dolente di tutte: la mancanza di visione locale: Salvini ha puntato su un modello di propaganda “nazionale” senza sviluppare proposte concrete per le specificità e i problemi delle Regioni meridionali. Nel Centro Italia, invece, la Lega ha sofferto la concorrenza della destra tradizionale rappresentata da Fratelli d’Italia. Un partito che ha eroso il suo spazio politico proponendosi come una forza più coerente e radicata. Ed ecco allora sopraggiungere la crisi: le recenti sconfitte elettorali in Umbria ed Emilia Romagna non fanno altro che confermare il declino della leadership di Salvini.
Un declino, tanto per capirci, dovuto a diversi fattori. In primis, la perdita di credibilità. L’uscita dalla maggioranza nel 2019, con la caduta del governo Conte I, ha danneggiato l’immagine di Salvini, percepito come un politico incapace di gestire il potere. Poi è arrivata l’ascesa di Giorgia Meloni che ha occupato lo spazio lasciato libero da Salvini, proponendosi come leader della destra italiana. Lei, molto più astutamente, è riuscita a unire una base elettorale più ampia e trasversale, indebolendo fortemente la Lega. Nel contesto più generale della sua crisi, va considerato anche il suo logoramento interno. La Lega è oggi divisa tra l’ala nordista, fedele alle radici storiche del partito e l’ala salviniana.
La leadership di Salvini, ormai, è contestata anche all’interno del suo stesso partito. Con richieste di un ritorno a una linea più marcatamente autonomista. E infine, incidono sul suo declino, le strategie comunicative, percepite sempre più come vecchie e obsolete. La retorica aggressiva e il forte utilizzo dei social media che avevano caratterizzato l’ascesa di Salvini, appaiono oggi meno efficaci e non incantano più nessuno, tantomeno l’elettorato conservatore.
E così, siamo arrivati ai giorni nostri. Tutti ormai sono convinti che il tentativo di Salvini , di trasformare la Lega in un partito nazionale, è miseramente fallito. Ha cercato, invano, di conciliare due obiettivi incompatibili, in un paese già profondamente diviso come l’Italia. Ha voluto rappresentare le istanze autonomiste del Nord e al tempo stesso ha tentato di costruire una base di consenso nel Sud. Il risultato è stato un crollo di voti sia al Nord che al Sud. Con una Lega in crisi di identità e consensi, il futuro politico del Capitano, ormai di “breve corso”, appare sempre più incerto. Minacciato, com’è, da una leadership interna contestata e da una destra nazionale che ha trovato in Giorgia Meloni il suo nuovo punto di aggregazione e riferimento.
Michele Rutigliano