Una storia pressoché sconosciuta, fatta di contrasti all’interno dell’associazionismo cattolico e di rapporti difficili con le istituzioni ecclesiastiche, ma contrassegnata da personaggi di una perenne attualità, come dimostra la vicenda emblematica di Giuseppe Donati, primo direttore de Il Popolo dal 1923, grande giornalista d’inchiesta, uomo con la schiena dritta che meriterebbe libri e film lontani da ogni stucchevole agiografia.

Abbiamo parlato di Donati (1889-1931) con Lucio D’Ubaldo, direttore  del sito web Il Domani D’Italia, che esprime una continuità con la storica rivista promossa da Romolo Murri. D’Ubaldo è giornalista e scrittore, già senatore della Repubblica dal 2008 al 2013, fa parte del Consiglio di amministrazione dell’Istituto Internazionale “Jacques Maritain” nonché dell’Accademia degli Incolti, un’antica istituzione romana fondata nel 1658.

Qualcosa si è detto di Donati a proposito del centenario dell’assassinio di Giacomo Matteotti, a proposito del quale inquietano certi fatti recenti come, ad esempio, la decisione del condominio del palazzo dove abitava il deputato socialista che ha voluto escludere il riferimento alla “mano fascista” nel delitto dalla targa commemorativa esposta all’ingresso dell’edificio.

Chi non ha avuto alcun timore di esporsi a difesa della verità dell’omicidio politico di Matteotti nel clima di forte violenza del consolidamento del fascismo, è stato, invece, Giuseppe Donati che pagò la propria determinazione con il confino in Francia dove morì di stenti e malattia nel 1931. Di questo luminoso esempio del cattolicesimo democratico sembra che importi ancora a pochi, probabilmente perché la sua memoria mette in evidenza dei nodi tuttora irrisolti ce cerchiamo di far emergere in questo dialogo con Lucio D’Ubaldo

Il difficile percorso dei primi cristiani democratici – tra questi Giuseppe Donati – da riscoprire nel momento in cui la Chiesa italiana invita ad andare al cuore di una democrazia in pericolo.
Parliamo di Donati, un popolare anomalo perché aderì al partito guidato da Sturzo e De Gasperi dopo aver tentato un diverso percorso politico legato alloriginaria democrazia cristiana di Romolo Murri. In cosa consisteva questa sua originalità e perché era così minoritaria al contrario della formazione politica del Ppi fondato nel 1919?

In realtà, già negli anni ‘10 del Novecento Donati rompeva anche con Murri. Non era convinto che la scelta progressista dei democratici cristiani dovesse motivarsi sulla base di un distinguo polemico dalla Chiesa, mettendo a rischio la fedeltà alla dottrina della fede sulla scia di un movimento, quello modernista, tacciato di eresia. Era doppiamente intransigente, poiché difendeva il richiamo all’ispirazione cristiana nella organizzazione della proposta politica ma, al tempo stesso, rivendicava la piena laicità del partito, così come lui lo immaginava.

Da che formazione veniva Donati?

Prima dell’impegno nella murriana Lega Democratica Nazionale, che volle cambiare in Lega Democratica Cristiana, aveva collaborato con due riviste prestigiose, fuori dal perimetro cattolico: La Voce di Prezzolini prima e L’Unità di Salvemini dopo. Fu quest’ultimo a dare di Donati la definizione di “cattolico anticlericale”: ne ammirava le capacità giornalistiche, come pure il rigore intellettuale e politico. Tra i due, il sentimento di stima non s’interruppe mai. Eppure, quando nel primo anteguerra Salvemini avanzò l’invito a confluire nel partito socialista, quel rapporto così fecondo non fu sufficiente a impedire il rifiuto di Donati, per il quale valeva anzitutto la difesa dell’autonomia politica dei democratici cristiani.

 

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