La liberazione di Giovanni Brusca, mandante ed esecutore di più di centocinquanta assassinii per conto di Cosa Nostra, non poteva che sollevare la riprovazione generale di tutte le forze politiche. Da Letta a Salvini, passando per Meloni, Di Maio e Tajani, tutti si sono fatti interpreti del generale sentimento di sdegno nazionale. Non poteva che essere così. Sul piano politico, qualcuno ha anche proposto di rivedere la legislazione sui collaboratori di giustizia, per evitare che scempi del genere si possano ripetere in futuro.

Tuttavia, una cosa è lo sdegno, altra, l’assunzione di scelte legislative conseguenti allo sdegno. L’unica domanda da porsi allora è questa: è stato utile per fini d’interesse generale ammettere un assassino del calibro di Brusca al programma di recupero e agli sconti di pena? Se la risposta è positiva si deve avere il coraggio (il fegato) di far prevalere la ragione politica sulle ragioni, pur meritevoli, della estrema punizione dei colpevoli.

È sorprendente cogliere la compostezza della mamma di Giuseppe Di Matteo, che non lamenta la mancata comminazione dell’ergastolo da parte dello Stato, ma si limita a dire che l’assassino di suo figlio, strangolato e sciolto nell’acido, lei non lo perdonerà mai. Come potrebbe essere diversamente?

Per la verità è la stessa legge sui collaboratori di giustizia a non consentire nessuna forma di perdono, da imputare alla sfera etico-morale. La legge è dettata unicamente per ragioni di politica giudiziaria: coloro che arrecano un rilevante contributo nella lotta alla mafia possono godere di ragguardevoli sconti di pena. Lo Stato si limita a una fredda valutazione comparativa di utilità, tra il rigore punitivo nei confronti dei trasgressori e il possibile raggiungimento di fini superiori, di utilità generale, nell’interesse della comunità statale. La vittima o le vittime (provo un’istintiva difficoltà anche solo a riferire la cifra delle vittime: centocinquanta) cessano di essere parte attiva del processo e la loro vita finisce per assumere minor peso, di fronte agli interessi dell’intera società: sono il prezzo del sacrificio da pagare per la salvezza dell’intera società.

In più occasioni questo giornale ha invocato il primato dell’interesse collettivo e lo ha proposto come canone di riferimento prioritario, per l’assunzione di ogni scelta politica o legislativa. La scarcerazione di Brusca va letta dentro questa scala di valori. Il sacrosanto dovere della punizione dei colpevoli, da intendere come ristoro morale anche per le famiglie, può cedere davanti a un bene ancora più grande, quello della comunità nazionale.

E’ questo il prezzo da pagare. Come risulta da una serie di oggettivi riscontri, il fenomeno mafioso in Sicilia ha subìto negli ultimi anni colpi durissimi, proprio grazie ai collaboratori di giustizia e, prima o poi, come pronosticato dallo stesso Falcone, finirà.

Ogni atteggiamento punitivo (ritorsivo, talora vendicativo), è innato all’istinto dell’uomo. Consapevoli di ciò, i partiti non potevano che schierarsi, apertamente, come hanno fatto, dalla parte delle vittime. Tuttavia pare legittimo richiedere ai loro dirigenti gesti di responsabilità e di maggiore trasparenza.

Dicano apertamente che, qualche volta, per difendere la democrazia, i valori collettivi della società possono anche prevalere sui valori individuali.

Guido Guidi

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