L’immagine del Presidente Mattarella solo davanti all’ Altare della Patria, a tu per tu con quel Milite Ignoto che simboleggia il sacrificio di tanti italiani, così come l’immagine di Papa Francesco solo nell’enormità di Piazza San Pietro, danno l’idea di un grande vuoto e suggeriscono il sentimento di una attesa. Infatti il vuoto, come tale, non esiste.
Si potrebbe dire che è colmo di spazio e del tempo di un nuovo inizio, costantemente percorso da energie potenziali che attendono di attestarsi in un mondo nuovo. Tale è la potenza evocativa di immagini che trascendono la pedanteria dei nostri concetti ed impongono una riflessione che vada oltre gli schemi abusati della mentalità corrente.
Quando il virus ha fatto irruzione nelle nostre vite, violando il nostro orizzonte mentale e riducendolo alla monotematicità che lo riguarda, i mezzi di comunicazione più attenti agli sviluppi della “tecno-scienza”, da tempo insistevano, in modo particolare, sui progressi nel campo della robotica umanoide e della cosiddetta Intelligenza Artificiale. Finalizzata, quest’ultima, ad estrarre dai “big data”, attraverso appropriati algoritmi, una serie di ricorsività e di corrispondenze – relative, ad esempio, a nostri comportamenti, anche i più usuali – capaci di rilevare profili e motivazioni di molte scelte e di gesti quotidiani che non sempre mettiamo coscientemente a tema, ma che, una volta portate alla luce, possono essere tradotte in suggestioni o messaggi, più o meno subliminali, in grado di condizionarci più di quanto sospettiamo.
E’ solo un esempio, abbastanza nuovo e, ad oggi, almeno in questa forma, forse il più sofisticato, dei diversi meccanismi di omologazione che, quanto più la realtà sociale si mostra ampia, slabbrata e frammentata, tanto più cercano di introdurre elementi di uniformità che la riportino in un alveo di atteggiamenti sufficientemente condizionati da essere predicibili e, dunque, in buona misura, governabili, in vista di interessi preordinati a monte ed occultati nell’algoritmo adottato per definire la massa enorme dei dati accumulati ed intrecciati da più fonti.
Insomma, temo, per ottenere conferma di una tesi predeterminata o per tracciare percorsi adatti ad imporla.
Insomma, siamo liberi, sicuramente affidati al nostro arbitrio, ma esattamente quest’ultimo non sempre è guidato da quell’autonomia di giudizio e da quella criticità che lo attestino come effettivamente libero. Si potrebbe, in sostanza, ricorrere ad un ossimoro per affermare che siamo sì uomini liberi, ma nel roboante frangente della storia che abbiamo vissuto fin qui, la nostra – per restare al lessico dei nostri giorni – è una sorta di “libertà di gregge”, con tutto il rispetto per la disciplinata mansuetudine delle pecore.
Siamo liberi; questa, almeno, è la nostra percezione, ma anche condotti per mano, plasmati da un ambiente avvolgente, sollecitati ad aderire all’indirizzo prevalente, indotti a conformarci e delegare alla moda del momento o all’uomo forte di turno. Ora si apre una stagione nuova che ci impone domande dirimenti, ad esempio in ordine al modello di convivenza civile, in particolare relative a struttura e fisionomia della democrazia da costruire nel nuovo tempo post-pandemico.
Già lo si intuiva, senonché ora è, a maggior ragione, evidente che quanto più un sistema sociale è complesso, fitto di connessioni ed interferenze che si incrociano da un campo tematico all’altro, tanto più la sua governabilità non dipende da più o meno sofisticati apparati istituzionali che pur sono indispensabili, bensì,  anzitutto, da un alto, crescente tasso di maturità civile cui deve concorrere l’autonoma, personale consapevolezza di ogni cittadino. Il punto di composizione del conflitto, il luogo ideale in cui l’ intreccio delle quotidiane contraddizioni trova se non una armonizzazione, almeno un accettabile equilibrio, non può consistere in una virtuosa dinamica delle parti sociali, se non vive prima nello spessore interiore della coscienza di ciascuno.
Viviamo da tempo in una sorta di “stato eretistico” collettivo, percorso da folate di nervosismo, da toni sopra le righe, da eccitabilità esagerate, da reazioni spesso scomposte e fuori misura. In questo clima surriscaldato e cangiante, ogni cittadino può funzionare o assorbendo nella sua interiorità le mille provocazioni che lo bersagliano, mediandole così da restituirle al contesto civile, dopo averle ragionevolmente moderate oppure, se e’ privo di questo spessore interno in cui ospitarle, le riflette, a mo’ di specchio, nell’ambiente circostante, amplificandole, esasperandole, concorrendo ad una sorta di reazione a catena, alla fin fine incontrollabile ed esplosiva.
Insomma, dobbiamo convincerci che entriamo in un tempo che ci chiede di abbandonare, al di qua del crinale che stiamo attraversando, tutti gli orpelli ideologici che ci stiamo ancora malamente trascinando, per focalizzare sulla “persona” come tale il baricentro di una nuova stagione sociale, culturale e politica che si va avviando ed è forse la vera data di nascita del XXI secolo. Nel segno di un nuovo umanesimo di ispirazione cristiana?
È possibile, ma a condizione che i credenti sappiano vivere e testimoniare, dunque mostrare ed offrire il valore umano e civile che è intrinseco, strutturalmente inscritto nella concezione cristiana dell’uomo e della vita. Una ricchezza che non dobbiamo trattenere gelosamente, custodire nei nostri forzieri per alimentare una “identità” rigida, inossidabile ed ossificata da esibire orgogliosamente, quasi fosse il distintivo di una superiorità.
Piuttosto, un campo di forze da proporre come spazio di possibile convergenza per chiunque creda e rispetti la dignità della persona, pur sul piano di una considerazione meramente naturalistica del suo essere, ed accetti di assumerla come piattaforma di un comune disegno politico. Più di quanti crediamo guardano ai valori che noi, senza merito, abbiamo avuto in dono in uno con la fede.
Molti lo fanno con pudore, altri con ragionato interesse, altri con iniziale curiosità, altri con nostalgia, altri ancora con diffidenza, quasi con malcelato sospetto, eppure lo fanno. Intendiamoci, non sono legioni; piccole teste di ponte, forse. Ma i “segni dei tempi” vanno colti da lontano; un po’ come gli indiani, mettendo l’orecchio a terra per avvertire se la cavalleria avanza.
Vi sono alcuni, pochi pensatori non credenti o dichiaratamente atei che danno del cristianesimo una lettura più intensa e penetrante di quanto non sappiamo fare noi. C’è, evidentemente, anche sul piano della riflessione culturale, una economia della “grazia” che cammina per vie insondabili che neppure sappiamo sospettare? Insomma, anche la politica deve concorrere a ricostruire quel senso compiuto della vita e della storia che dà sapore e consistenza ai gesti di ogni giorno.
A maggior ragione, appare evidente come una particolare responsabilità morale e civile competa a chi riconosce principi e criteri del “personalismo cristiano” come proprio riferimento essenziale.
Domenico Galbiati

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