Nessuno bambino dev’essere discriminato. Su nessun bambino può essere scaricata una sorta di “colpa” per il fatto di essere nato o per la modalità con cui è comparso alla vita. Nessun bambino deve essere posto nella condizione di sentirsi “diverso” e basta poco per indurre un sentimento del genere, potenzialmente devastante. Basta anche solo il fatto di non essere iscritto alla stessa anagrafe che compendia la generalità delle persone, come se la comunità non lo riconoscesse, inchiodandolo ad una sorta di solitudine ontologica.

Questo è un punto su cui dovremmo essere tutti d’accordo per una elementare ragione di umanità che nessuno ha il diritto di rovesciare in una contesa ideologica. Tanto meno la politica, tanto meno una politica che non sappia fare altro se non chiudersi a riccio su sé stessa per coltivare riti di reciproca delegittimazione tra le parti che ne soffocano lo spirito e la funzione. Dall’uno e dall’altro campo si ascoltano grida sguaiate ed argomenti sulfurei che andrebbero subito abbandonati.

Su questo terreno non si discute, ad esempio, di PNRR o di altri argomenti similari, pur rilevanti, ma piuttosto della Vita, del suo fondamento, del suo primo apparire, del suo essere in ogni caso “donata”. Ci vuole ponderazione e rispetto, capacità d’ascolto anche delle opinioni avverse, attitudine a vigilare come venga brandita la lama tagliente della propria ragione e chiarezza interiore. Se su questo punto è necessario da parte di tutti convenire, ce n’è un secondo altrettanto irrinunciabile e da condividere e sostenere, anche qui concordemente, ancora una volta da tutti e da ognuno.

E’ urgente dire “no” alla maternità surrogata, via preferenziale di filiazione delle coppie omosessuali. Pure qui non si possono agitare vessilli ideologici, fino a smarrire la “ratio” dell’argomento nella notte buia di una ragione contorta. La “maternità surrogata” è una violenza inaudita nei confronti della gestante e del cosiddetto “prodotto del concepimento” ed un atto di egotismo narcisistico da parte del committente.

Quel poco che finora sappiamo della relazione tra la gestante ed il feto lascia intuire che il molto che ancora ci resta da scoprire confermerà una simbiosi tale da trascendere l’ aspetto meramente biologico per investire, a pieno titolo, il versante psicologico, incidere perfino sulla cifra temperamentale del nascituro, tracciarne la stessa attitudine cognitiva e mentale.

Un certo numero di cellule del feto permangono nella donna che lo ha ospitato nel grembo per anni, senza che siano eliminate, pur essendo geneticamente differenti, e questo ha molto da dire su quanto lo stesso sistema immunitario venga rimodulato, pur di consentire una affinità talmente profonda ed inesplorata.

Il concerto ormonale tra gestante e feto documenta che “quella” donna si sta apprestando ad essere la madre di “quel” figlio. Ed il parto non cancella affatto questa sinfonia. Interromperla è un atto avvilente, disumano e volgare.
Dopo di che nessuna può negare o irridere il sentimento sincero che genitori omosessuali manifestano nei confronti del bambino che “sentono” come figlio, senonché è forse opportuno chiedersi come un rapporto d’amore – che, in quanto tale, ha una struttura ed una complessità che va oltre l’alea del sentimento – possa prendere le mosse da un processo di brutale vilipendio delle istanze più elementari del nostro essere umani.

Siamo sicuri della piena legittimità morale di simili comportamenti ? Ad ogni modo, per quanto su un tema del genere sia necessario tornare, fin d’ ora se ne possono trarre due indicazioni che chiamano in causa anche la politica.
Anzitutto, quest’ ultima, chiaramente, a fronte delle sfide epocali della scienza e delle tecnologie che ne derivano, soprattutto, in campo biomedico, ha bisogno di quella che potremmo chiamare una vera e propria “rifondazione antropologica”.

In secondo luogo, è del tutto evidente come abbiamo davvero bisogno di una unità europea che sia in grado anche di armonizzare le legislazioni dei vari Paesi in ordine a temi assolutamente delicati, che, per quanto rimessi alla responsabilità dei singoli Stati, devono pur svilupparsi entro una cornice comune.

Domenico Galbiati

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