“In rerum natura non ci sono che due generi di cose: sostanze e accidenti; e se io provo che il contagio non può essere né l’uno né l’altro, avrò provato che non esiste, che è una chimera”. Così disquisiva il don Ferrante dei Promessi Sposi che aveva bisogno di negare l’esistenza di quella peste che, poi, finì per portarselo via.
E’ un po’, ovviamente augurandole un esito diverso, quel che fa pensare Giorgia Meloni quando nega la portata dei dazi indiscriminatamente confermati da Donald Trump. Le borse precipitano con conseguenti danni plurimiliardari anche per giganti come la Apple; il dollaro si svaluta; quasi tutti i settori produttivi, stranieri, ma paradossalmente pure americani, ne risentono duramente; e c’è chi già vede un abbassamento globale del Pil mondiale di almeno l’%. Eppure, Giorgia Meloni non vede effetti catastrofici. Che invece ella ben sa quanto siano già in corso.
E quindi, verrebbe da chiedersi, perché un simile atteggiamento? I motivi sono di vario genere. Intanto, questa “calma e gesso”, nonostante il danno enorme che ricadrà su tutta la nostra struttura produttiva, che vive principalmente di esportazione, serve per schierarsi senza enfasi, e comunque il meno possibile, lungo quel solco europeo che, fatalmente, sarà frutto di un comune agire da cui l’Italia non potrà sottrarsi. Pure Giulio Cesare dovette soppesare quel passaggio del Rubicone che la Meloni dovrebbe guadare all’incontrario. E senza avere dietro troppe “legioni” da gettare sul campo di battaglia: con Trump o con l’Europa.
Con l’auspicio, ovviamente, che siano gli stessi americani a valutare se le promesse di Donald Trump, che a lungo termine prevede un’America più ricca di prima, valgano le sofferenze di un periodo più o meno esteso. Abituati come sono, e questo è frutto anche di una loro cultura politica ed esistenziale consolidata, ad illudersi di poter avere tutto e subito. O almeno, nell’arco dei quattro anni di durata certa di una Presidenza.
Queste sono le mattine in cui la prima colazione a base di uova e latte, i cui prezzi stanno schizzando alle stelle, e più di quanto non accadesse ai tempi d’inflazione in ascesa con la Presidenza Biden, è accompagnata dai notiziari sui crolli della borsa di New York e del valore dei bit coin, sulla crescita dei costi degli “i phone” e di tante altre cose di cui gli americani non riescono più a fare a meno. E così, Giorgia Meloni, ma non solo lei, spera che, mentre resta sospesa la domanda se i dazi siano “sostanze o accidenti”, la questione si possa risolvere da sola in un periodo di mesi, invece che di anni. E la qual cosa, la salverebbe da fare i conti con i compagni di avventura di questa maggioranza, in particolare Matteo Salvini.
C’è sempre da sperare che, con l’arrivo pasquale di Vance a Roma, possa scattare lo “stellone” cui gli italiani si affidano sempre quando non sanno che pesci prendere. Ma scatterà davvero per un Paese che ha uno di surplus tra i più rilevanti di quelli europei rispetto agli Stati Uniti? Al punto che, se invece come per tutti gli europei colpiti con il 20%, Trump avesse fatto bene i conti, all’Italia sarebbe toccato un ben più costoso 31%. E allora potremmo persino chiederci se in taluni ambienti di Palazzo Chigi non pensano quanto, addirittura, ci sia andata bene… e se non sia meglio incassare e portare a casa.
Vedremo che diranno alla Meloni i rappresentanti del nostro mondo produttivo che, con troppa calma, si è decisa a convocare solo per la prossima settimana. Dopo che i suoi portavoce hanno ironizzato sull’incontro da Macron organizzato subito, invece, con gli industriali francesi non appena si è conosciuta la portata dei dazi trumpiani.
Giancarlo Infante