“Non la guerra ma la pace è la madre di tutte le cose”. Sono queste le parole dell’economista Ludwig von Mises, considerato tra i maggiori interpreti del movimento “neoliberale” – sempre che questo termine significhi qualcosa. La citazione ci consente di introdurre l’antologia curata da Nicola Iannello e da Alberto Mingardi, dal titolo: Pace e mercato. Le relazioni internazionali nella tradizione liberale.
Il volume riporta brani noti e inediti di alcuni tra i maggiori interpreti del liberalismo, da Montesquieu a Smith, da Constant a Cobden, da Bright a Pareto, passando per Alberdi, Spencer e Molinari.
Le parole di Mises sono importanti perché mostrano come una delle voci più influenti del liberalismo contemporaneo neghi una delle convinzioni più consolidate della filosofia politica moderna e contemporanea. L’idea, mutuata dalla nota massima eraclitea che polemos, il demone della guerra, sia padre di tutte le cose. Buona parte della filosofia politica moderna da Machiavelli a Spinoza, passando per Hobbes, e la linea di pensiero che va da Hegel a Humblodt, passando per Gentile, secondo l’interpretazione del filosofo Sergio Cotta, è dominata dall’idea che in principio è la guerra, sia per ragioni antropologiche: “homo homini lupus”, sia per ragioni di forza vitale: la pace è la quiete nella quale le acque imputridiscono.
Ebbene, di fronte a una simile interpretazione dell’agire umano, spicca la prospettiva liberale di chi, invece, benché scevro da qualsiasi illusione circa l’innata bontà dell’uomo: “homo homini natura amicus”, comprende che le ragioni della pace risiedono in quella “insocievole socievolezza” che, in determinate circostanze, spinge le persone a collaborare pacificamente.
Tra le forme di collaborazione che contribuiscono a consolidare l’idea che convenga vivere in pace, abbiamo la pratica del commercio, la regolata concorrenza che fonda il libero mercato. Ed è questo il cuore stesso dell’antologia curata da Iannello e Mingardi, i quali, riprendendo il pensiero di Cobden, affermano che la guerra è qualcosa che tutta la società paga, affinché gli aristocratici ci si balocchino. Gli aristocratici di allora sono parte del ceto politico di oggi e segmenti di mondo produttivo che vive di commesse dello Stato.
Siamo così giunti al cuore del pensiero liberale classico e a una fondamentale chiave di lettura dei fenomeni civili. Nella realtà, esistono le persone o esistono gli stati e le nazioni? Se leggiamo i fenomeni con le lenti del personalismo o dell’individualismo metodologico, in concreto esistono solo persone: solo le persone pensano, amano, soffrono e gioiscono. Se invece ragioniamo con le lenti del collettivismo, gli “Stati” e le “Nazioni” diventano enti che vivono di vita propria, la loro postura sarà quella del gladiatore nell’arena, e il “Noi” che sbandierano altro non è che l’espressione di un “Io” che ce l’ha fatta, rispetto a una moltitudine di io chiamati a soccombere.
Flavio Felice