Uno dopo l’altro, non sono pochi i politologi d’assalto che, per almeno trent’anni, hanno impugnato il vessillo del “maggioritario” ed oggi hanno il buon senso di ricredersi, motivando puntualmente il loro diverso avviso in ragione dell’evoluzione del contesto politico ed istituzionale. Prendono atto che il bipolarismo, generato dai sistemi elettorali schiettamente maggioritari, o comunque orientati a produrre un effetto di tal segno, ha fatto il suo tempo e non è in grado di leggere, interpretare, governare una realtà sociale non riconducibile ad una illusoria e schematica semplificazione. In sostanza, si prende atto che la cosiddetta “seconda repubblica” è finita ed è davvero necessario, com’è nei presupposti originari della nostra iniziativa e dello stesso primitivo Manifesto (CLICCA QUI) da cui ha preso le mosse INSIEME, pensare ad una autentica “trasformazione” del nostro sistema politico.

L’attesa virtuosità della cosiddetta “alternanza” è stata smentita su tutti i fronti, dalla stabilità dei governi, alla proliferazione dei partiti ed alla volatilità dei gruppi parlamentari. Legata ad una impressionante transumanza dall’uno all’altro, tale da cancellare quell’ultima traccia di rapporto vitale tra elettori ed eletti, compromesso dalla modalità di formazione delle liste dei candidati che pone questi ultimi alla mercé delle segreterie di partito.

Delle sette legislature che si sono succedute dal ‘94, due si sono concluse in un paio d’anni, le altre sono sopravvissute passando, ciascuna, attraverso una giostra di governi, spesso espressione di un orientamento difforme da quello originario rispondente al dato elettorale, fino al pasticcio del quinquennio che Draghi si sforza faticosamente di condurre alla sua scadenza fisiologica della prossima primavera.

Per quanto concerne le figure emblematiche della “seconda repubblica” -i “campioni” dei due schieramenti – Berlusconi è stato rilevato due volte in corso d’opera, la prima da Dini, la seconda da Monti. Prodi una volta ha vinto, una seconda ha sostanzialmente pareggiato, in ambedue le occasioni non è stato in grado di governare, se non per un paio d’anni. La legislatura avviata nel 2913 è vissuta della controversia, tutta interna al PD, tra Letta e Renzi, alla fine medicata da Gentiloni, con il risultato di consegnare il primato della rappresentanza alla dabbenaggine dei 5Stelle, alla disinvoltura trasformista ed alla pochezza politica di Conte che tuttora ci affligge. A suggello di un tale disastroso percorso intriso di antipolitica e di demagogia, non poteva mancare l’umiliazione del Parlamento ed il vulnus inferto alla rappresentanza.

La riduzione del numero dei parlamentari avrebbe dovuto essere temperato, secondo le intese a suo tempo intervenute tra PD e 5 Stelle, dalla riforma proporzionale della legge elettorale. Ma Zingaretti ha preferito lasciar perdere oppure non ha avuto la capacità politica e la forza di esigere il rispetto dei patti, anche per lo stato di guerra intestina e d’inerzia cui aveva condotto il PD, che tuttora, per la verità, fatica a riprendersi.

Fa bene Draghi a sfidare la palude melmosa in cui vorrebbero spingerlo Conte e Salvini, due “statisti” dello sfascio, attratti ciascuno dalle affinità elettive dell’antipolitica e, nel contempo, necessariamente conflittuali, dato che ambedue campano di demagogia.

Domenico Galbiati

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