E se la ricerca del “federatore” -ne Ha parlato anche Giancarlo Infante nel suo importante articolo di ieri (CLICCA QUI) – non fosse se non la manifestazione palese dello stallo in cui versano le opposizioni e della sostanziale impermeabilità tra le parti che la compongono?

Perché, al contrario, non “federare”, se così si può dire, attorno ad un pensiero nuovo, forte, coraggioso che sappia dar conto della direzione di marcia che si intende proporre al Paese, in alternativa all’indirizzo della destra che attualmente lo governa?

La figura del “federatore” non rischia di inscriversi – sia pure in forma più soffice e discreta – nella stessa logica che sovrintende alla cultura dell’ “uomo forte” tipica delle destre? E non finisce, infine, sia pure indirettamente, per darle una parvenza di legittimità?  Si dirà che, gioco forza, bisogna far così.

Nel tempo della dittatura della comunicazione o si cede alla legge sovrana ed inappellabile della “visibilità”
– ovvero alla cultura dell’immagine, piuttosto che del concetto e del pensiero – oppure neanche si esiste. Ma siamo davvero sicuri – senza cercare la controprova – che non si tratti, in fin dei conti, di un luogo comune?

Abbiamo talmente poca fiducia nell’ “intelligenza delle cose” degli elettori, cioè del popolo italiano, da pensare che gli si debba necessariamente somministrare un cibo precotto? Siamo cioè convinti che, al di là di una ragionata riflessione sui programmi avanzati dalle varie forze in campo, senza il traino dell’afflato emozionale suscitato dal più bello e performante del reame, non sia possibile riaccendere percorsi di partecipazione alla vita del Paese che consentano di risalire la china dell’astensionismo?

Inoltre, siamo sicuri che il “federatore”, in quanto tale, sia anche “leader” e, quindi, eventualmente vinta la competizione elettorale, sappia mantenere salda la coalizione che lo ha espresso così da garantire continuità d’azione e l’effettivo “governo” del sistema politico-istituzionale, indicando con chiarezza al Paese un percorso ed una prospettiva?

La storia tormentata della “Seconda repubblica” depone in tal senso? Oppure, attesta il contrario sull’uno e sull’altro fronte, tra legislature prematuramente defunte e governi che, via via, sono caduti per controversie interne alla loro stessa maggioranza, ad un ritmo da far quasi impallidire la “prima repubblica”?

Peraltro, il “leader” – nella misura in cui nasce nel vivo della controversia politica e non a tavolino – o c’è o non c’è. Nessuno lo designa e tanto meno lo elegge. Se c’è, si tratta solo di riconoscerlo. Se non c’è, non c’è. E a quel punto si deve necessariamente pensare al surrogato del “federatore”?

Non è meglio, piuttosto, costruire – per tempo, non, in fretta e furia, a ridosso della scadenza elettorale – un progetto politico serio, declinarlo in puntuali termini di programma, e poi seminarlo in giro per il Paese?

Il federatore, invece, per lo più – per quanto possa essere eminente la figura – nasce da un percorso, più o meno travagliato di confronti, di pretese che si incrociato o piuttosto di vicendevoli veti, di compromessi non sempre nobili che, esibiti di fronte alla pubblica opinione – rischiano, per quanto corredato da un “programmone” cucito ad hoc, di venire azzoppato prima di avviare la corsa. A dispetto della sua vera o presunta appetibilità mediatica.

D’altra parte, mandare a casa la destra – loro dicono “a cuccia” – è una sorta d’azzardo che, gestito con accuratezza collegio per collegio , può occasionalmente riuscire; oppure, dev’essere il portato di una visione e di un disegno che sia francamente alternativo al Governo in carica?

Domenico Galbiati 

 

 

 

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