Che cos’è la politica? A cosa serve la politica? Per chi è la politica? Queste sono le tre principali domande che uno studente universitario si pone, o dovrebbe porsi, quando varca la porta dell’ateneo. Ogni due anni, verso fine aprile-inizio maggio, l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano si riempie di manifesti di tutti i colori, sui muri dei chiostri del Bramante compaiono centinaia di volti e decine di slogan di ogni genere. Fuori dall’ingresso di Largo Gemelli ogni giorno ci sono ragazzi con volantini in mano su cui si trova generalmente scritto: “Siamo l’alternativa, siamo il cambiamento: votaci!”.

È sempre affascinante vedere quanto coinvolgimento ci sia in quei giorni, quanta voglia di poter dire la propria in merito a questo o a quello. Allo stesso tempo, però, nei mesi che seguono si sente già una profonda amarezza nei confronti di chi, una volta occupato il seggio, poi se ne disinteressa, preferisce rimanere nell’ombra e non dire più la sua. Mi viene da pensare che forse a tante persone piace avere il controllo della situazione, ma poi non piace comandare e con questo intendo prendersi la responsabilità di una decisione, accettare di poter sbagliare talvolta o di trovarsi di fronte ad un “no”.

Penso che sarebbe più appropriato, a questo punto, ritornare all’etimologia di “politica”, così che possa indicarci un metodo e una direzione di sguardo. Dal greco antico politikḗ (a sua volta da “polis”, ovvero città, ma anche comunità di cittadini) e con sottinteso il lemma téchnē, la politica è quindi l’arte dello stato, l’arte della comunità. Ma cosa si intende in questo ambito per arte? Innanzitutto, una solida conoscenza degli organi di rappresentanza, dei loro poteri, di cosa è stato fatto negli anni passati e cosa c’è da portare a termine per quelli futuri. Sono sicura, allo stesso tempo, che questo però non basti. Oltre a una buona dose di disciplina e serietà, è necessario un reale coinvolgimento nella vita comunitaria e uno spassionato interesse verso l’altro.

La politica, soprattutto negli anni universitari, serve, infatti, per conoscere persone, aprire i propri orizzonti e uscire dai propri schemi precostituiti. Questi sono concetti universali di umanità che quindi valgono anche al di fuori dell’ambito prettamente elettorale. Facciamo un esempio: uno studente della facoltà di Lettere e Filosofia decide di andare a insegnare in una scuola superiore. Dunque, può diventare un docente che impartisce nozioni in maniera unilaterale: un soggetto A che si rivolge a una massa di soggetti B. Oppure può intraprendere un’altra via, ovvero quella di trasmettere anche dei progetti, delle idee e dei metodi, adattando di volta in volta il proprio pensiero e le proprie capacità alla persona che ha davanti. Quest’ultimo metodo è quello vincente, perché permette una crescita anche dell’insegnante, che non smette di scoprire e si rimette continuamente in gioco.

In questi giorni di full immersion di campagna elettorale, mi sono accorta che c’è sempre un motore che deve muoverci e stimolarci: il fatto che questo momento possa essere un’occasione innanzitutto per sé; un’occasione per incontrare nuovi sguardi, un’occasione per prendere consapevolezza del luogo in cui si è, dei suoi limiti e delle sue potenzialità, un’occasione per diventare adulti. In secondo luogo, è un’opportunità per crescere insieme a persone che sono compagne in questo percorso universitario. Un evento del genere non è affrontabile singolarmente, sia perché a presentarsi è una lista e non direttamente un individuo, sia perché c’è bisogno dell’unione di tante forze e di tante menti. Da questa semplice contingenza viene fuori l’aspetto più interessante della politica, quello che mi è stato insegnato chiamarsi “fare con”: un “io” che agisce, che si mette in moto ma è affiancato da un “tu” che a sua volta si muove e ha bisogno di essere sorretto. Questo “tu” di cui parlo è riconducibile sia agli amici e ai colleghi che si affiancano vicendevolmente, si dividono i compiti e si scambiano opinioni, sia al pubblico a cui ci si rivolge. Non si fa politica, infatti, se non si ha qualcuno a cui proporre e verso il quale far valere le proprie idee e i propri programmi.

Grazie a questa esperienza che sto facendo, mi è sempre più chiaro che la politica non è per tutti, come spesso ho sentito dire. I portavoce di slogan, i trasportatori di folle, gli individualisti e gli incalliti non fanno davvero politica, semmai tendono ad un atto persuasivo talvolta manipolatorio e spesso riduttivo nei confronti della persona verso la quale si interloquisce. La politica è per persone che hanno a cuore un progetto, che sono razionali al punto da essere saldi sulle proprie idee, ma allo stesso tempo pronte a rimettersi costantemente in gioco.

Maddalena Verga

 

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