Il DisPARI – Disentangling inequality and food Poverty amongst Adolescents: concepts, measures and local action strategies, è un progetto di ricerca realizzato dal Dipartimento di Scienze Politiche e Sociali dell’Università degli Studi di Milano e ActionAid Italia grazie al sostegno di Fondazione Cariplo attraverso il Bando Inequalities Research 2023.
Il progetto parte dal presupposto che con povertà alimentare si fa riferimento ad una condizione complessa fatta di esclusione, perdita di autonomia e negazione del diritto di scegliere cosa, come e con chi mangiare. Un fenomeno multidimensionale, tra bisogni materiali, emotivi, sociali e culturali.
Allo sviluppo dello studio, ancora in una fase preliminare dedica un intervento Percorsi di Secondo Welfare con il seguente articolo a firma di Monica Palladino, Carlo Cafiero e Roberto Sensi.
La povertà alimentare non è solo mancanza di cibo, ma una condizione complessa fatta di esclusione, perdita di autonomia e negazione del diritto di scegliere cosa, come e con chi mangiare. Un fenomeno multidimensionale, tra bisogni materiali, emotivi, sociali e culturali.
Povertà alimentare o insicurezza alimentare?
Nonostante vi sia un ampio consenso sulla definizione di sicurezza alimentare proposta dal World Food Summit (FAO, 1996), ovvero la condizione in cui “tutte le persone, in ogni momento, hanno accesso fisico, sociale ed economico a un’alimentazione sufficiente, sana e nutriente”, la sua traduzione concreta resta complessa. Difficoltà teoriche e pratiche emergono nel misurare ogni dimensione della sicurezza alimentare e nel cogliere le molteplici forme di privazione legate all’insicurezza alimentare. In particolare, la dimensione sociale, introdotta nei primi anni Duemila, coinvolge aspetti immateriali – culturali, simbolici ed emozionali – difficili da analizzare, ma centrali nelle insicurezze lievi o moderate, tipiche dei paesi ad alto reddito. In questi contesti, al termine food insecurity si affianca spesso quello di food poverty.
I due termini, che dovrebbero fare riferimento allo stesso fenomeno, si prestano a interpretazioni diverse a seconda del contesto in cui vengono usati. Peraltro, le traduzioni in italiano come “insicurezza alimentare” e “povertà alimentare” sono spesso usate come sinonimi, anche se i termini in inglese derivano da prospettive teoriche e culturali diverse, ancora oggi oggetto di dibattito nella letteratura internazionale, su cui serve fare una riflessione.
Negli Stati Uniti, e nelle organizzazioni internazionali come FAO, UNICEF, WFP, da sempre il termine food poverty è legato specificamente a indicatori di povertà monetaria, come quelli della Banca Mondiale, basati su redditi e spese delle famiglie, rimandando così a una lettura fondamentalmente economica dell’accesso al cibo. In questo senso, esso indica “la condizione in cui una persona non dispone di risorse sufficienti per soddisfare i propri bisogni alimentari minimi” (Walton 2020).
Negli anni ’80 comincia a essere usato anche il termine food insecurity, evidenziando che il problema va oltre il reddito. In un rapporto del 1990 compare la definizione per cui: “la food insecurity [insicurezza alimentare] si verifica quando la disponibilità di alimenti sicuri e nutrizionalmente adeguati, o la possibilità di accedervi in modo socialmente accettabile, è limitata o incerta” (Anderson 1990, 1575–76), che accoglie i risultati del lavoro del gruppo di ricerca dell’università di Cornell, e in particolare quello di Kathy Radimer. che individua quattro dimensioni – quantitativa, qualitativa, psicologica e sociale – nell’esperienza vissuta da donne nello stato di New York (Radimer et al. 1992).
È proprio a partire da questa definizione che la letteratura britannica ha proposto il termine povertà alimentare per descrivere una realtà che include, oltre alla scarsità di mezzi economici, anche esclusione sociale, perdita di autonomia e disagio emotivo. Dowler (2002), e O’Connor et al., (2016) più tardi chiariscono come la definizione di food poverty derivi direttamente dalla definizione di food insecurity di Radimer et al. (1992), ed è per questo che, in questo articolo, useremo i due termini in modo intercambiabile.
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