“Mai come oggi si avverte l’urgenza di un’alleanza educativa che abbia al centro la persona umana e la costruzione del bene comune. Educare è un atto comunitario.”
Educare è un Bene comune: la sfida collettiva
La responsabilità educativa è una delle più alte forme di impegno sociale. In una società attraversata da rapide trasformazioni tecnologiche, culturali e demografiche, l’educazione dei più giovani non può più essere demandata a compartimenti stagni. È un processo che chiama in causa tutta la comunità: famiglie, scuole, istituzioni pubbliche, associazioni, media e imprese. In questa prospettiva, educare diventa un bene comune: un patrimonio collettivo che appartiene a tutti e di cui tutti dobbiamo prenderci cura.
L’educazione non può essere lasciata al caso o alla buona volontà dei singoli. Deve essere una responsabilità condivisa, sistemica e coordinata, capace di generare fiducia e futuro. Il “Patto Educativo Globale” promosso da Papa Francesco e l’insegnamento di Giovanni Paolo II, che ribadiva il valore della persona come centro e fine di ogni processo formativo, ne sono la dimostrazione più alta: ogni bambino è titolare di diritti e ogni adulto è portatore di doveri.
Coordinare le agenzie educative: non un’opzione, ma una necessità
In Italia, spesso la scuola è lasciata sola nel compito educativo, schiacciata tra aspettative crescenti e risorse decrescenti. La famiglia, a sua volta, vive disorientamento, fragilità relazionali e precarietà economiche. Eppure, nessuna delle due può funzionare da sola. L’educazione integrata richiede un patto pedagogico tra scuola e famiglia, fondato su corresponsabilità, ascolto e fiducia reciproca. A questo si deve affiancare il ruolo di una società educante, in cui ogni attore – dal volontariato al mondo produttivo – riconosce la centralità della formazione come leva di coesione sociale.
Il modello vincente è quello della “comunità educante”, dove le istituzioni scolastiche non sono isole, ma hub civici che aggregano soggetti diversi e valorizzano tutte le forme di apprendimento – formali, informali e non formali – capaci di nutrire l’interiorità e il senso critico dei ragazzi.
I diritti dei minori: istruzione come chiave di giustizia sociale
L’articolo 26 della Dichiarazione Universale dei Diritti Umani stabilisce che ogni persona ha diritto all’istruzione. Ma quali sono le condizioni per garantire questo diritto in maniera equa? Le disuguaglianze territoriali, economiche e digitali, come hanno dimostrato le esperienze della DAD durante la pandemia, rischiano di escludere milioni di bambini e adolescenti.
Per questo motivo, è essenziale tradurre i Livelli Essenziali delle Prestazioni (LEP) in ambito educativo in strumenti concreti che garantiscano pari opportunità a tutti i minori. Un bambino che nasce in un quartiere fragile, o in una famiglia migrante, deve poter accedere alla stessa qualità educativa di un coetaneo che vive in una zona privilegiata. Questo è un principio di giustizia che chiama in causa la responsabilità etica e politica degli adulti.
Il dovere degli adulti: non solo genitori, ma testimoni
Educare non è solo trasmettere contenuti, ma generare senso. I ragazzi cercano riferimenti autentici, non figure perfette ma coerenti, capaci di testimoniare valori come la solidarietà, la responsabilità, la legalità, la cura. L’adulto educante è colui che non abdica alla propria funzione generativa, anche quando si sente inadeguato. Per questo, servono percorsi di formazione per genitori, docenti, educatori, che aiutino a riscoprire il valore dell’educazione come relazione trasformativa.
Come ci ricorda il pedagogista Riccardo Massa, educare è “un atto di fiducia nel futuro dell’altro”. In questa prospettiva, ogni atto educativo è anche politico: costruisce cittadinanza, senso di appartenenza, capacità di immaginare e generare futuro.
Costruire alleanze: il ruolo del Terzo Settore e delle comunità
L’Associazione FareRete InnovAzione BeneComune lavora da anni affinché la responsabilità educativa diventi una pratica collettiva. I nostri progetti nelle scuole, nelle periferie, nei luoghi della salute e del lavoro hanno sempre avuto un elemento in comune: la promozione di reti collaborative che mettono al centro la persona e il bene comune.
Le associazioni, i gruppi informali, le parrocchie, le cooperative possono essere protagonisti attivi di una “pedagogia di comunità”, dove si educa anche attraverso la cultura, lo sport, la partecipazione civica, l’ambiente. In questo senso, l’educazione non è più solo “compito degli altri” ma orizzonte condiviso di trasformazione social
Conclusione: educare è seminare Bene comune
In un tempo segnato da individualismo, frammentazione e sfiducia, parlare di educazione come Bene comune significa riaffermare che ogni bambino è un investimento sul futuro e ogni adulto è chiamato a farsi seminatore di possibilità.
La responsabilità educativa non può essere “delegata” né privatizzata. È un dovere collettivo, che si esprime in politiche pubbliche inclusive, in alleanze civiche, in pratiche quotidiane di cura e di ascolto. Solo così potremo costruire una società giusta, inclusiva, generativa. Una società in cui educare significa anche custodire l’umano, in tutte le sue dimensioni.
Rosapia Farese