La “Rete di Trieste” sviluppa il suo cammino e sabato prossimo fa tappa a Milano. Nel contempo, nascono, a latere, più o meno contigue alla Rete, ulteriori iniziative ed altre pare se ne aggiungano, che dovrebbero arricchire – o complicare? – il quadro.
E’ confortante che questo atteso risveglio dell’ area cattolica del nostro Paese, si verifichi in un momento delicato e cruciale sia sul piano interno che internazionale, dove guerre aperte, conflitti locali ed un generale stato di tensione permanente tra i principali attori del “multilateralismo” creano una condizione di precarietà e di insicurezza che non lascia presumere quale sia il cammino verso cui siamo sospinti. Così anche per quanto concerne le questioni “domestiche”: vi sono nodi, taluni immediatamente palesi, altri in qualche modo trattenuti, eppure pronti ad invadere la scena, con i quali si devono inevitabilmente fare da subito i conti.
Si impone, anzitutto, una domanda ed un chiarimento. Il proposito di “fare rete”, cioe’ costruire una presenza dei cattolici che faccia “sistema” e consenta di arricchire il discorso pubblico, aggiungendo alle altre – ammesso che vi siano – una visione di impronta cristiana della vita e della storia, intende trattenersi sul piano “pre-politico” oppure ambisce ad entrare, a pieno titolo, nel confronto espressamente politico aperto nel Paese, nell’ attuale frangente storico? Evidentemente questi due versanti non sono la stessa cosa, ne’ sovrapponibili. Tutt’al più, potrebbe il secondo, a tempo debito, subentrare al primo, ma anche questo sarebbe problematico e dubbio.
Quando si avvia un nuovo cammino i primi passi sono decisivi e l’eventuale pretesa di correggere la direzione di marcia in corso d’ opera, per lo piu’ ingarbuglia il percorso. Peraltro, ambedue i tragitti – il secondo in modo anche piu’ stringente – non possono essere decontestualizzati dal momento storico in cui nascono e si sviluppano. Di quest’ultimo è, dunque, necessario mettere a tema alcuni tratti distintivi che, a loro volta, si tengono e fanno un tutt’uno.
Siamo dentro la cornice di un pluralismo delle opzioni politiche dei cattolici, che – per quanto reciprocamente non si condividano le rispettive posizioni – non rappresenta una dissipazione, ma piuttosto attesta come i cattolici non si siano intruppati in una soffocante spirale ideologica, bensì abbiano sviluppato un’autonoma e personale capacità di giudizio critico.
Superfluo, ovviamente, affermare che non avrebbe alcun senso camminare a ritroso sui passi della nostra storia, rincorrere la ricomposizione della cosiddetta ”diaspora”, costruire il fatidico “centro moderato, che – quasi si trattasse dei “caschi blu” della politica – si interponga tra i due schieramenti contrapposti. Si finirebbe per legittimare – obtorto collo – un sistema politico giunto al capolinea e addirittura spinge gli italiani fuori dal circuito di una fisiologica partecipazione alla vita democratica. Men che meno, avrebbe senso sognare la creazione del “partito cattolico”, che, peraltro, come tale non è mai esistito e, tra l’ altro, rappresenterebbe un ossimoro, pretendendo di associare all’ universalità della religione, la parzialità della politica.
I cattolici devono o almeno dovrebbero percorrere un nuovo cammino, un disegno ambizioso che, come afferma il nostro Manifesto fondativo del novembre 2019( CLICCA QUI), sia finalizzato ad una autentica “trasformazione” del sistema politico italiano. L’Italia ha bisogno di un’ alternativa nel sistema e, nel contempo, “di sistema” che la porti fuori da una coazione bipolare, che, chiunque vinca, allontana gli italiani da una passione civile che sta impallidendo, anche laddove, storicamente, è stata più viva.
In secondo luogo, siamo governati da una destra alla quale ci sentiamo letteralmente antitetici. La quale, non a caso, ancor meno sviluppa – a cominciare dal tema dei migranti – posizioni compatibili con una lettura cristiana del momento delicatissimo che attraversiamo. Una destra rispetto alla quale è necessario costruire un’ alternativa liberal-democratica e popolare di cui ancora non si vedono le premesse.
Siamo presi – terzo punto da considerare – dentro la tenaglia di un bipolarismo maggioritario che destra e sinistra, di comune intesa, custodiscono gelosamente, senonché vive della reciproca delegittimazione dei due schieramenti e genera, dunque, per forza di cose, una conflittualità permanente che soffoca il libero, dialettico sviluppo del discorso pubblico A tal punto – ulteriore considerazione – che, il costante decremento di partecipazione al voto si sta avvicinando ad un livello oltre il quale c’è il rischio di doversi chiedere fino a che punto il consenso ottenuto, su una quota di elettori talmente decurtata, pur essendo formalmente del tutto legittimo, non sia, nel contempo, politicamente ben poco rappresentativo.
In definitiva, vogliamo, con gli strumenti della formazione, della cultura e della socialità fornire equamente armi e bagagli, argomenti, ideali, temi programmatici ai cattolici che militano in ambedue gli schieramenti, senza, peraltro, alla prova dei fatti, esercitare un peso politicamente significativo, né dall’una, né dall’altra parte? Oppure pensiamo che, nel quadro del pluralismo del voto cattolico di cui sopra, sostanzialmente acquisito ed irriducibile, ci possa o ci debba essere anche una forza espressamente “politica” che, laicamente, si rifaccia ad un’ispirazione cristiana e, dunque, introduca nel discorso pubblico, una cultura che, nel solco del movimento cattolico-democratico e popolare, dia cittadinanza ad una lettura del nostro momento storico secondo i canoni di un “umanesimo personalista”? Del quale, abbiamo urgente necessità, anche per assegnare ai “diritti sociali” una priorità programmatica che sappia creare un nuovo sentimento di coesione popolare.
Infine – non ultimo, anzi prevalente connotazione del momento politico – non siamo forse di fronte ad uno studiato assedio alla Costituzione – e fors’anche, più che alla lettera, alla forma della sua genesi storica – che passa dal “premIeriato” alla ventilata revisione dei confini tra esecutivo e potere giudiziario, dalla ricerca puntuale dello scontro con la magistratura, fino, per quanto non si tratta di una legge costituzionale, all’ autonomia differenziata, diretta ad alterare e compromettere tratti fondamentali del nostro ordinamento democratico ?
Ora ci chiediamo: in questo quadro complesso, c’è un bandolo da afferrare per, via via dipanare, la matassa? A nostro avviso, sì. Il bandolo c’è ed è la rigorosa difesa della Costituzione repubblica. E, dunque – in questa fase e fin d’ora, senza lasciare che qualcuno addormenti il gioco, per tentare poi d’andare in rete, con un improvviso contropiede – è necessario, a nostro avviso, prepararsi a combattere la riforma costituzionale avanzata dal governo nel segno del “premierato”. Che, non a caso, Giorgia Meloni, senza infingimenti, con una schiettezza ed un’ onestà intellettuale che le va riconosciuta, chiama “madre di tutte le riforme”. Cioè, non solo provvedimento tecnico-istituzionale, ma segno di altra cultura politica, dove il “principio d’ autorità” – pur senza escluderlo, ne’ lo potrebbe – sopravanzi e preceda il “principio democratico”.
Noi ci auguriamo che qui – contro il premierato, che, tra l’altro, ferisce e limita la piena e costante espressione del titolo di cittadinanza di ogni persona – i cattolici sì diano appuntamento. E ci auguriamo, anzi ci permettiamo di non dubitare che non mancherà la Rete.
Domenico Galbiati