Questo è il primo di due articoli relativi alla discussione attuale sulla ripresa. Il primo è focalizzato sul concetto di sostenibilità in senso stretto, il secondo sul concetto di equità, cioè di evidenze attuali sulle disuguaglianze.

In questi tempi di decisioni per la ripresa e per la fase oltre l’emergenza del Coronavirus,  le priorità, in termini di sviluppo in senso equo e sostenibile, non devono cambiare, altrimenti saremo sul sentiero di crisi sempre più ricorrenti e profonde e ci ritroveremo sempre più impreparati (vedi il grafo sulle relazioni tra i rischi globali elaborato dal World Economic Forum Global Risks 2020).   E’ necessario quindi sviluppare un “metodo nazionale” più capace di reagire a shock, con una prospettiva non solo di gestione delle emergenze, ma di più lungo respiro e visione sistemica. E’ proprio ora il momento di discutere sulla ripresa del lavoro (in senso quantitativo), ma anche e soprattutto di quale lavoro, della sua qualità in termini di benessere duraturo. L’occasione non può essere perduta.

Adottare quindi i criteri della sostenibilità e dell’equità del benessere significa anche capire i pericoli di una divisione globale e se si sceglierà la via della solidarietà si potrà vincere non solo contro il Coronavirus, ma anche contro tutte le crisi che potranno colpire il mondo del XXI secolo. Un derivato di questo è che nel perseguire le politiche europee, oggi più che mai, bisogna utilizzare regole nuove nell’interesse comune, nonché secondo gli obiettivi di sviluppo sostenibile delle Nazioni Unite, che rappresentano un’altra occasione di solidarietà internazionale da non perdere.  Oggi più che mai occorre averli come obiettivi di politica comune.

Sposare i criteri di sostenibilità ed equità vuol dire ripensare anche il ruolo dello Stato, che diventa centrale. Abbiamo ormai avuto parecchie prove che il capitalismo (di per sè e soprattutto neoliberista)[1], non consente di affrontare tali crisi (ci sono state almeno 4 gravi crisi dal 2008 ad oggi:  2008-09 economico-finanziaria, 2011-12 del debito, 2016-18 migratoria, 2020 sanitaria). L’intervento dello Stato, come nel secondo dopoguerra, si deve manifestare non solo nel ripristinare un welfare universale, ma anche nell’indirizzo della produzione, nell’organizzazione dei mercati e nell’orientamento delle imprese attraverso una politica industriale e del lavoro, nel gestire le emergenze climatiche, sviluppando una politica ambientale a tutto campo e nel ridurre il ruolo della finanza per ridare all’economia reale il ruolo centrale.

In particolare questa crisi derivante dal Coronavirus ci insegna anche che la salute delle persone è strettamente connessa con la salute del pianeta (Riccardini et all 2016, “ Benessere e sviluppo sostenibili – una lettura per l’Italia) e quindi diventa fondamentale capire le vulnerabilità e le resilienze in tutte le dimensioni della vita naturale e umana. La diffusione dell’inquinamento, l’alta connettività delle zone industriali, l’anzianità della popolazione e il clima, invero, sono caratteristiche delle aree di massima diffusione del virus (Becchetti et all 2020). La perdita di biodiversità, le deforestazioni e la desertificazione, combinati all’aumento della popolazione globale, amplificano la possibilità di diffusione di nuovi virus e comportano cambiamenti che hanno impatti sui fondamentali della vita delle persone: il cibo, l’acqua e l’energia (Riccardini De Rosa 2016,  Nexus cibo, acqua e energia un approccio al benessere),  con la conseguenza che la competizione per le risorse, compreso il suolo, si intensificherà.

Allora occorre rafforzare il welfare (sia pubblico, sia del terzo settore) per gestire le crisi sempre più frequenti senza farci cogliere impreparati. Un welfare diffuso, che miri al diritto all’esistenza e alla salvaguardia di ogni forma di vita per ogni componente delle nostre società, proteggendo soprattutto i più deboli, che sono enormemente colpiti in questa tragica situazione, come succede purtroppo per la maggior parte delle crisi. L’aver disinvestito nella sanità pubblica ci ha portato ad una condizione di vulnerabilità evidente. Non solo la sanità, ma anche l’istruzione, l’assistenza e la previdenza rivestono un ruolo centrale nel ricostruire un welfare universale come quello costruito nel secondo dopoguerra e che diversi studi hanno mostrato essere positivamente correlato con l’aumento di benessere per i Paesi che lo hanno adottato (Esterlin 2016).

Investire nel welfare diffuso creerà nuovi posti di lavoro, oltre a renderci più resilienti e meno vulnerabili, se ovviamente l’attenzione sarà posta anche verso le parti più deboli della nostra società e ci consentirà di affrontare anche la crescente disoccupazione che seguirà al lockdown.

Allo stesso tempo, tuttavia, occorre ridurre l’impatto antropico sull’ambiente e aumentare la responsabilità sociale dei settori istituzionali:

  1. Le produzioni devono mirare alla riduzione dell’impatto ambientale fino a renderlo minimo  mediante l’economia circolare e allo stesso tempo le imprese devono orientarsi ad obiettivi di benessere dei lavoratori e dei territori dove operano e non squisitamente a obiettivi di profitto tout court, ma di creazione di valore duraturo nel tempo e nello spazio. Primi segnali di questo processo nel nostro sistema produttivo ci sono, come evidenzia uno studio fatto dall’Istat e pubblicato nel 2020 ( CLICCA QUI ) da cui risulta che il termine “sostenibilità” entra sempre più nel linguaggio comune e si diffonde nelle imprese italiane (imprese con 50 ed oltre addetti) sotto forma di una nuova strategia volta alla creazione del valore. Secondo l’Istat le grandi imprese italiane mostrano chiari segnali di orientamento allo sviluppo sostenibile e accresciuta attenzione all’ambiente naturale e sociale, sia interno sia esterno. L’attenzione ambientale rispetto a quella sociale è meno marcata percentualmente nel numero delle imprese. Nello specifico settoriale poi è il settore manifatturiero quello che registra una migliore performance in rapporto alla sostenibilità ambientale. Sicuramente l’immaterialità o meno del processo produttivo, oltre alla dimensione di impresa, gioca un ruolo nella sensibilità ambientale. Proprio qualche giorno addietro l’Istat ha pubblicato anche i dati di censimento e la loro analisi su questi temi della sostenibilità nelle imprese ( CLICCA QUI ).

Questi dati tuttavia ci dicono che non basta certo e quindi proprio ora occorre investire nella riconversione dei processi di produzione in ogni settore, non solo quelli a più alto impatto ambientale, ma anche verso gli altri secondo una logica della sostenibilità diffusa, finanziando proprio quelle imprese che hanno maggiori difficoltà verso la conversione.  Incentivare quindi il comportamento “sostenibile” ed estendere le rendicontazioni non finanziarie a tutte le dimensioni di impresa, quale contabilità analitica che consente di misurare quali sono gli impegni delle imprese su questi temi. Oggi più che mai le imprese hanno capito che la loro catena del valore si può interrompere e sono propense a fare ragionamenti verso la sostenibilità. La loro responsabilità sociale, (in termini di benessere dei lavoratori, di sviluppo professionale del personale, di formazione, di parità di genere, di favorire l’occupazione locale e di promuovere buone cause per il territorio, nonché di salvaguardare la salute e la sicurezza del personale) è un altro aspetto della sostenibilità che deve trovare le imprese “sensibili” ad assumerla, al fine di avere, come detto, un visione di valore – che ingloba le esternalità negative e positive – che dura nel tempo e nello spazio.  Si è visto, inoltre, che adottare modelli  di business “sostenibili” è compatibile con una maggiore produttività (Rapporto annuale dell’Istat 2019, capitolo 5) e anche per questa via si possono creare più posti di lavoro nel territorio dove operano le imprese.  Con i criteri ESG (Environmental, Social and Governance) anche il sistema finanziario si è accorto che investire in sostenibilità da parte delle imprese ha un suo valore, riducendo gli impatti dei rischi derivanti dai cambiamenti climatici e dalle instabilità sociali.  Se si vuole dare delle priorità in termini di settori verso un’economia circolare e verde ci si potrebbe concentrare sul settore alimentare, dell’energia, dei rifiuti, delle costruzioni, accanto a quello della mobilità.

  1. Pubblica amministrazione. Contribuire ad aumentare la consapevolezza che la sostenibilità e l’equità, attraverso la fornitura di servizi pubblici orientati a questi principi, risulta essere una chiave di svolta fondamentale per la ripresa (si è già detto della sanità, istruzione, assistenza e previdenza, ma anche servizi alle imprese, servizi ai cittadini, quali giustizia, trasporti-mobilità, servizi ricreativi, infrastrutture digitali, ricerca). Infatti ad esempio la mobilità e le infrastrutture sostenibili, la digitalizzazione sono di fondamentale importanza per la ripresa del dopo Coronavirus. Anche la gestione dei dipendenti della PA presuppone un cambio di paradigma, con lo sviluppo del principio di attenzione del benessere dei lavoratori pubblici e di equità (servizi di welfare per i dipendenti, salute e sicurezza, pari opportunità, sostegno alla genitorialità…), insieme al processo di fornitura dei servizi pubblici che prevede la diffusione massima di acquisti verdi, di pratiche di riciclo dei rifiuti, di pari opportunità, ampliamento della flessibilità del lavoro e supporto alla genitorialità, di pratiche diffuse di smart working e telelavoro. In generale, come è noto,  i servizi offerti dai soggetti istituzionali della P.A.  riguardano: i servizi generali di amministrazione pubblica, servizi per la gestione del territorio, servizi per la gestione dell’ambiente, servizi per la gestione del settore sociale, servizi per la gestione della sanità, Infrastrutture e trasporti, servizi per la gestione dell’istruzione, servizi per la gestione dell’ordine pubblico e sicurezza nazionale, servizi per la gestione della cultura e dei beni culturali, servizi per la gestione dello sport e ricreazione, turismo, gestione delle attività economiche, agricoltura, commercio e artigianato, attività di federazioni e consigli di ordini e collegi professionali, giustizia ed attività giudiziarie (civile e penale), assicurazione sociale obbligatoria, affari esteri e attività di organizzazioni associative. Tali servizi vanno ripensati, in termini di fornitura efficiente ed efficace, da parte della varie istituzioni pubbliche (centrali e locali, vari enti pubblici e altre forme giuridiche), peraltro in modo complementare con il terzo settore, in un’ottica di benessere e sviluppo sostenibile (CNEL, Relazione 2019 al Parlamento e al Governo sui livelli di qualità dei servizi pubblici).
  2. Cittadini-famiglie. Il periodo di revisione dei consumi e delle abitudini che ci attende (restrizioni nei viaggi, requisiti di igiene maggiori, protezione di gruppi più vulnerabili, acquisti on-line, utilizzo dei beni di ricreazione in modalità che non prevedono assembramenti, diffusione a tappeto di apparecchiature elettroniche-digitali, ecc., potrebbe essere visto come un’opportunità di cambiamento nei modelli di consumo verso la sostenibilità e quindi di sviluppo anche della domanda verso beni e servizi più sostenibili. Orientare i comportamenti dei consumatori significa informare e incentivare consumi alimentari più salubri, agevolare il risparmio di energia e promuovere la gestione familiare responsabile dei rifiuti, stimolare ad abitare edifici che usano materiali e layout sostenibili. La digitalizzazione e lo sviluppo tecnologico, ora più che mai, avrà enormi impatti sui comportamenti dei cittadini e famiglie e a tale fine va ridotto completamente il digital divide, che ancora oggi persiste nell’ambito delle famiglie, imprese e P.A.. (Riccardini F. e Fazio M., Measuring Digital Divide in Italy, IAOS Conference, Official Statistics and the New Economy, London 2004)  ed anche su questo fronte l’obiettivo della sostenibilità ed equità deve essere la linea guida.
  3. Terzo settore (non profit). Rafforzare la missione tradizionale del settore non profit quale fornitore di welfare e rispettoso dell’ambiente è elemento essenziale in questo periodo, creando condizioni lavorative più favorevoli per i lavoratori nel settore e condizioni migliori per il finanziamento.  La diffusione del terzo settore in Italia, come è noto, è ampia (Istat, Censimento permanente istituzioni non profit 2017). Nel 2016 il non profit contava oltre 300 mila istituzioni e impiegava oltre 800 mila dipendenti. Oltre il 50 % delle istituzioni non profit sono attive nel Nord contro il 27 % del Mezzogiorno[2].  Per questa emergenza sanitaria è proprio grazie alla pronta attivazione del settore, non solo in campo sanitario ma anche nell’assistenza dei più vulnerabili, che si è riusciti a diminuire le negatività di questa crisi.

Politiche prioritarie collegate:

  • sviluppo welfare (sanità, istruzione, assistenza sociale e previdenziale) non solo come gestione delle emergenze, ma anche come prevenzione e precauzione; l’istruzione è ancor più oggi determinante per il cambiamento, così come la formazione professionale a tutte le età (sfruttare il periodo attuale di istruzione a distanza attraverso la tecnologia digitale per proseguire su questa via) dove stato e terzo settore si devono integrare;
  • politica industriale orientata alla sostenibilità ambientale e responsabilità sociale, attraverso incentivi, sussidi e detassazioni per le imprese finalizzandoli alla riconversione verso la riduzione degli impatti sull’ambiente, e facendo anche un riordino dell’attuale sistema di incentivi e sussidi che spesso è contrastante ( tasse sugli inquinanti e incentivi alle energie fossili …), estensione dell’obbligo delle dichiarazioni non finanziarie, nonché stimolare la responsabilità sociale delle imprese e il contributo che esse danno al territorio in cui operano; sostenere la finanza per la sostenibilità  e continuare con la “nuova Sabatini” per il 2020, semmai ampliarla anche ad altri comportamenti virtuosi. Fare in modo che a livello europeo si prosegua nell’implementazione del Green Deal, politica europea fondamentale;
  • sgravi fiscali per comportamenti virtuosi di famiglie e terzo settore, con possibilità di maggiori finanziamenti;
  • sviluppo digitalizzazione e tecnologico ma con obiettivi di sostenibilità ed equità.

Conclusioni.

Vedo i rischi attuali molto elevati di una “ripresa” globale come prima,  guidata dalla finanza, dalle multinazionali digitali e da Paesi che hanno modelli di decisione centralizzati e distanti dal nostro.  Spero tuttavia che non siano questi a prevalere nel futuro, altrimenti l’umanità potrebbe essere destinata al definitivo declino, se non saremo in grado di “gestire” i rischi locali e globali.

L’Italia per il suo ruolo anche internazionale non può avere una ripresa lasciando inalterata la situazione come prima, proprio perché il problema già esisteva prima: la limitata crescita economica, le disuguaglianze, le ancora timide politiche ambientali, il debito crescente, la vulnerabilità territoriale, tanto per limitare i problemi.

Il modello di sviluppo dunque deve essere sostenibile ed equo, e il modello italiano della ripresa deve dotarsi di studi sul futuro, nel senso di vedere un futuro non solo prossimo ma di più lungo respiro, e deve sviluppare una ricerca che consenta di stare al passo con gli altri paesi più avanzati. Il ruolo dello Stato deve, quindi, essere rivisto e fatta emergere la necessità di ipotizzare nuove reciproche relazioni tra Stato, imprese, finanza, terzo settore e cittadini, nel costruire lo sviluppo auspicato del Paese.

Ora è proprio il momento per il cambiamento, non cogliere l’occasione risulta molto rischioso e ci pone, ancora una volta, in una posizione di vulnerabilità crescente.  I finanziamenti  per la ripresa, di cui tanto si discute, sia di fonte europea, sia nazionale (anche a pioggia) devono tuttavia essere finalizzati alle linee di riconversione nel rispetto ambientale e sviluppo di responsabilità sociale di tutti i settori istituzionali. Solo in questo modo i finanziamenti potranno avere un’utilità che supera il presente e che da soli non possono costruire le idee del futuro che vogliamo.  La visione del futuro sarà sostenibile nella misura in cui sapremo cogliere dalla crisi attuale l’opportunità di cambiamento, sia come intera collettività, sia come individui, fondando l’idea di Paese, inserito tra quelli europei, sulla Carta costituzionale nazionale che ancora ha una lungimiranza, completezza e solidarietà che oggi serve più che mai alla salute delle persone e del pianeta. ( Segue )

Fabiola Riccardini

 

[1] Tra i numerosi studi sul tema, vale citare il recente lavoro di Mauro Gallegati su L’economia utile e  il teorema di Greenwald-Stiglitz, che dimostra che allocazioni efficienti da parte del mercato non possono essere raggiunte, senza l’intervento dello Stato, ogniqualvolta vi sono imperfezioni informative e/o mercati incompleti. Il teorema dimostra che i mercati reali sono inefficienti, ovvero che le condizioni necessarie – concorrenza perfetta, assenza di asimmetrie informative – non sono mai verificabili.

[2] Le istituzioni non profit sono attive per ordine di importanza nei settori della cultura, sport e ricreazione, istruzione e ricerca, sanità, assistenza sociale e protezione civile, ambiente, sviluppo economico e coesione sociale, tutela dei diritti e attività politica, filantropia, cooperazione internazionale, religione, relazioni sindacali e rappresentanza interessi.

 

Immagine utilizzata: Pixabay

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