Nel primo canto dell’Inferno Dante vede un leone (vv. 34-38), raffigurazione poetica della superbia:

“Questi parea che contra me venisse

con la test’alta e con rabbiosa fame,

sì che parea che l’aere ne tremesse.

Molti anni dopo, Hieronymus Bosch raffigurò la superbia in una parte del famoso dipinto (1500-1525) dei sette vizi capitali conservato al Museo del Prado di Madrid: una donna si pavoneggia davanti ad uno specchio offertole da una creatura infernale.

La superbia è definita dall’Istituto Treccani (CLICCA QUI) come la “radicata convinzione della propria superiorità, reale o presunta, che si traduce in atteggiamento di altezzoso distacco o anche di ostentato disprezzo verso gli altri, nonché di disprezzo di norme, leggi, rispetto altrui”. Wikipedia invece (CLICCA QUI) preferisce definirla come “la pretesa di meritare per se stessi, con ogni mezzo, una posizione di privilegio sempre maggiore rispetto agli altri. Essi devono riconoscere e dimostrare di accettare la loro inferiorità correlata alla superiorità indiscutibile e schiacciante del superbo”. Questo atteggiamento, frequentissimo anche se quasi sempre misconosciuto dall’interessato, ha una forte valenza narcisistica. Infatti, ingloba la vanagloria: “sentimento di vanità, di fatuo orgoglio, per cui si ambisce la lode per meriti inesistenti o inadeguati; … immoderato desiderio di manifestare la propria superiorità e di ottenere le lodi degli uomini” (Treccani,CLICCA QUI).

Secondo la medicina medievale, fondata sull’equilibrio dei quattro umori, al superbo avrebbe potuto essere attribuito un eccesso di sangue che lo rende di tempra sanguigna; invece, tutte le volte che non avesse ottenuto soddisfazione alle sue pretese avrebbe potuto acquisire una tempra collerica, per un eccesso di bile gialla. La medicina moderna, prima dell’uso degli inibitori di pompa protonica, avrebbe fatto dei superbi e vanagloriosi frustrati candidati elettivi all’ulcera peptica duodenale e spesso all’intervento di gastro-duodeno resezione. I nuovi farmaci hanno quasi abolito le conseguenze dell’insoddisfazione di simili persone ma non la sua scaturigine: se esse falliscono nei loro intenti continuano a rosicare, consumandosi in un risentimento costante verso chi ignora il loro genio.

Tale rodimento interiore è sostenuto anche dall’invidia: “sentimento spiacevole che si prova per un bene o una qualità altrui che si vorrebbero per sé, accompagnato spesso da avversione e rancore per colui che invece possiede tale bene o qualità; anche, la disposizione generica a provare tale sentimento, dovuta per lo più a un senso di orgoglio per cui non si tollera che altri abbia doti pari o superiori, o riesca meglio nella sua attività o abbia maggior fortuna” (Treccani, CLICCA QUI). Al superbo vanaglorioso appare inconcepibile che un collega di lavoro abbia riconoscimenti superiori ai propri: se questo accade non può che essersi verificato un errore di valutazione o un complotto ai suoi danni. Non è difficile imbattersi nei giudizi astiosi di scrittori, attori, musicisti, pittori, uomini politici, manager verso i loro colleghi. Si percepisce spesso un’acrimonia che fa capire subito che c’è in ballo qualcosa di ben diverso dalla critica obiettiva e competente, qualcosa di irrazionale da cui il giudicante è stato vinto e posseduto: il rosicamento.

Un simile “eccesso di bile gialla” è la fortuna dei cosiddetti talk-show e – in tempi di sindemia – delle interviste giornalistiche a virologi, infettivologi e uomini politici. Ai conduttori è richiesto di “fare share”, con ogni mezzo, perché da tale (supposto) indice di gradimento dipende tutto il complesso sistema dei contratti pubblicitari ed un enorme giro di denaro: essi devono renderne conto ai loro padroni. È risaputo che la rissa televisiva “rende” più del dibattito approfondito e rispettoso: come ai tempi del Colosseo, i telespettatori italiani sono stati diseducati dalle reti commerciali (le ha lanciate lui, in Italia: che genio, eh?, che gran favore ci ha fatto, vero? si merita davvero il Colle! …) a pensare, riflettere, chiedere conto, verificare, apprezzare le argomentazioni. Essi sono ormai dipendenti dall’ “odore di sangue”, da modelle/i seminudi, da pubblicità allusive e al limite del pornografico, da personaggi eccentrici che propalano i lori vizi come libertà e diritti, da spot LGBTQ di quantità assai superiore alla rilevanza numerica dei soggetti interessati. La RAI (finita l’epoca Bernabei) si è accodata ben volentieri. Pecunia non olet.

Durante la sindemia è stato un gioco da ragazzi scovare politici ignorati dai loro partiti, medici esclusi dal Comitato tecnico consultivo dell’ISS, virologi e infettivologi estromessi dalle grandi decisioni, medici ospedalieri bramosi di esprimere il loro risentimento verso la classe universitaria che da sempre li penalizza e li irride, medici universitari ormai invisi al loro mentore che non si rassegnano a non arrivare nemmeno al rango di professore associato, tanti tecnici non interpellati: a tutta quest’orda di rosicanti è stato dato diritto di parola non solo nelle grandi reti televisive ma anche in quelle assolutamente minori, nei social, alle radio, sui “giornaloni” come sulle testate di piccola tiratura. Ed essi non si sono sottratti: alla domanda “Lei è d’accordo?” hanno dato la stura ad infiniti travasi di “bile gialla”!

La medicina è un’arte che si avvale di tecniche ed approcci scientifici. Ma la buona scienza non è infallibile: essa progredisce per tentativi ed errori. Ha sufficiente auto-regolazione per riconoscere – prima o poi – i propri sbagli e farne occasione di nuove ipotesi e ricerche. Questo atteggiamento virtuoso e realistico le impedisce di diventare scientismo, esattamente come la fede senza il dubbio diventa fanatismo. Il magistrale articolo di Guy Consolmagno, direttore della Specola Vaticana, su “COVID, fede e fallibilità della scienza” (La Civiltà Cattolica 2022 I 105-119) lo chiarisce in modo esemplare. Lo scienziato (nella latitanza degli psichiatri) ipotizza un possibile meccanismo che potrebbe spiegare il motivo per cui menti anche colte finiscano per accogliere le teorie “no-vax”: egli parla della brama di ritenersi depositari di una “conoscenza segreta”, in analogia con gli gnostici già del II e III secolo.

Il rosicante (uomo o donna che sia), più o meno consapevolmente, estrae la sua arma ad effetto, la sua “conoscenza segreta” di cui è in possesso assieme a pochissimi altri eletti e la mette sul piatto, per l’ingordigia emotiva dei suoi ingenui e impreparati ascoltatori. Ha un bisogno coatto di accentuare i distinguo, di prendere le distanze dall’ovvio della realtà già acclarata, di insinuare dubbi sull’operato dei colleghi lasciando chiaramente intendere che se certe decisioni e certi incarichi fossero stati affidati a lui … Può discettare, ad esempio, sull’analisi dei dati della pandemia perché lui conosce la statistica meglio degli esperti dell’ISS: con consumata arte da guitto trasmette con linguaggio non verbale il suo scetticismo, la sua diffidenza verso tutto ciò che non è frutto del suo pensiero e delle sue mani. “Sono qui per caso … avrei molto altro da fare … me l’hanno chiesto … ho deciso di farvi questo favore, per illuminarvi un po’ …”, lascia intendere: in realtà, da quando è nello studio televisivo o in onda è preda di un delirio di onnipotenza e di un’eccitazione pre-orgasmica. È il suo momento: ha fatto di tutto, contattando tutte le sue conoscenze, per avere quella opportunità febbrilmente agognata. Se saprà usarla bene lo richiameranno, diventerà famoso; la sua opinione, rimbalzata dai mezzi di comunicazione, sarà finalmente considerata come merita perché è una “cosa segreta che lui solo sa”; sarà lui – finalmente – a condizionare gli altri e chi non l’aveva ancora apprezzato dovrà farlo pubblicamente perché – in caso contrario – lui potrebbe distruggerlo mediaticamente; i potenti lo vorranno nelle loro cerchie ristrette; avrà successo, molti soldi e molte chance sessuali. Dopo aver svuotato la sua cistifellea ingorgata torna a casa, sollevato. Ha instillato scetticismo, confusione, sgomento, paura, disperazione; ha dato un’infinità di assist all’ideologia “no-vax”; ha bruciato la fiducia dei concittadini nelle istituzioni; ha sollevato veri e finti problemi senza avere la benché minima proposta di soluzione; è stato manicheo, subdolo, infido, brutale. Ma si sente bene, finalmente: e il benessere del suo ego non ha prezzo!

I rosicanti non ci servono. Non aiutano la Scienza, non avvicinano alla Verità, non facilitano il confronto, non contribuiscono al progresso. Sono “tritasassi” che stritolano chiunque non tributi loro un consenso idolatrico.

Purtroppo, abbiamo constatato, sono tanti. Troppi. L’unica consolazione è che la loro coazione al riconoscimento universale del valore del proprio sé li ha portati a scoprirsi, a farsi riconoscere: così è facile schivarli appena ne sentiamo la voce o ne vediamo la faccia.

Roberto Leonardi

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