Trovo molto interessante il dibattito su questo sito (al quale mi sono unito) sulla guerra in Ucraina. Mi permetto solo una replica, in quanto il mio articolo, titolato giustamente “Verità semplici e domande scomode”, ha suscitato qualche reazione e commento critico.

Mi sono preso persino del filo-Putin, che oggi è come dare a uno dell’omotransfobico, tanto per rimanere nei luoghi comuni.

Pensavo di essermi espresso chiaramente, invece evidentemente non stato così. Ai critici e a Galbiati che imputa a chi indica la strada diplomatica una insufficiente condanna morale dell’aggressore russo, ricordo quanto ho scritto: la guerra preventiva di Putin è un principio pagano che non può invocare nemmeno il principio della legittima difesa, e porta su di sé la responsabilità dei mali e degli eccessi d’ogni sorta generati dal conflitto.

Ma detto questo, oggi il problema non è accusarsi a vicenda, bensì trovare un qualche modo per far uscire l’Ucraina dall’abisso in cui è precipitata e in cui rischia di precipitare l’Europa se non il mondo intero.

Ribadisco che non bisogna riaccendere le cause che portarono alla Prima guerra mondiale: nazionalismo e imperialismo.

Come chiamare la volontà di potenza di Putin se non imperialismo? E come sottovalutare il nazionalismo dalle due parti, a partire dalla prima puntata di questa guerra, quella che nel Donbass ha fatto 14 mila morti in 8 anni?

Mi trovo d’accordo con quell’articolo (ultra citato) di Kissinger di qualche anno fa: “Trattare l’Ucraina come parte di un confronto est-ovest farebbe affondare per decenni qualsiasi prospettiva di portare la Russia e l’Occidente, in particolare Russia ed Europa, in un sistema internazionale cooperativo… Dovremmo cercare la riconciliazione, non il dominio di una fazione. La Russia e l’Occidente, e meno di tutte le varie fazioni in Ucraina, non hanno agito secondo questo principio. Ognuno ha peggiorato la situazione… L’obiettivo di un accordo non è la soddisfazione assoluta, ma l’insoddisfazione equilibrata”.

E anche Prodi ci ha ricordato l’ insipienza dell’Europa, scrivendo sulla Stampa: “Oggi la Russia è un Paese immenso ma fragile e a bassa crescita. La Cina cresce di una Russia all’anno. Ecco perché la Russia non può stare da sola: non ha l’esperienza per tradurre la scienza in prodotto, non ha una potenza produttiva; è l’opposto della Corea del Sud. Per questo o si appoggia all’Europa o alla Cina. L’Europa ha lasciato che scivolasse verso Est”.

Persino l’ineffabile direttore della “Stampa” Giannini, che avvezzo alle posizioni radicali in ogni campo ha cavalcato le posizioni atlantiste più intransigenti per settimane, qualche giorno fa da Fazio, con una giravolta improvvisa, ha citato le tesi di Kissinger come traccia da seguire.

Purtroppo la guerra, come era prevedibile, volge a favore della Russia e una tregua, quando mai ci sarà, è ormai destinata a farsi più alle condizioni di Mosca che a quelle di Kiev e dell’Europa. L’alternativa, come disse già qualche settimana fa a “Porta a Porta” il politologo Edward Luttwak (legato ai settori più conservatori USA) facendo sobbalzare lo stesso Bruno Vespa, è una sola: inviare uomini e non solo armi in soccorso dell’Ucraina. Cioè scendere concretamente in guerra al fianco di essa, ma con conseguenze non calcolabili nella loro gravità. Gli Ucraini, a quanto sembra, da soli possono solo limitare i danni ma non fermare la macchina bellica russa.

Dunque? Che si fa? Chi aveva ragione, quando diceva che il conflitto andava arrestato in ogni modo al più presto possibile e che si è sottovalutata la reazione russa, non calcolando quanto stava avvenendo da anni e anzi cercando di rendere possibile militarmente una riconquista ucraina delle due province secessioniste?

Questa è la realtà: la politica fa i conti con essa, semmai cerca, senza impazienza, di far evolvere le cose tenendo conto di avere di fronte una autocrazia e cercando di evitare che si saldi l’alleanza fra autocrati e dittature varie in un’ottica antioccidentale. Forse non si sa che c’è in giro per il mondo una narrazione (anche fomentata ad arte) secondo cui tutti i mali degli Stati più scassati sono colpa nostra (dell’Occidente): in Africa , in America Latina, in Asia? Non solo la Cina, ma anche l’India, e addirittura il medio Oriente e i Paesi del Golfo rifiutano di applicare le sanzioni alla Russia. Con loro altri grandi Paesi come Pakistan, Brasile, Turchia, Indonesia, Sud Africa e persino il Messico. All’ONU, un gran numero di Stati africani, 26 su 54, il più grande dei quali il Sud Africa, si è astenuto da risoluzioni volte a ostracizzare la Russia per l’invasione.

Questi Stati si oppongono a sanzioni decise senza un mandato del Consiglio di Sicurezza dell’ONU, ritenendo che possano innescare una recessione economica globale che colpirebbe duramente tanti Paesi emergenti e poveri e non aiutino la soluzione del conflitto.

Recentemente persino “The Economist” si è domandato come mai una così ampia parte del mondo non si opponga alla Russia, e perché tanti Paesi emergenti e poveri sottolineino le intrusioni violente e le guerre dell’Occidente e USA in Afghanistan, Iraq, Siria, Yemen, Libia, ex Jugoslavia ecc.

Per essere chiaro, penso non si possa decidere nulla al posto degli ucraini, ma che si possa ragionare insieme, e trattare insieme con l’orso russo senza i nazionalisti più estremi.

Un’ultima notazione: intanto l’inflazione galoppa, è al 7%, un livello che non raggiungevamo dal 1986, spinta soprattutto dalla guerra e dai costi di gas e petrolio: se la matematica non è una opinione, che il problema dipenda quasi tutto dai prezzi energetici e dalla guerra è dimostrato dal fatto che se sottraiamo all’aumento dei prezzi il costo dell’energia osserviamo che la cosiddetta inflazione core è al 2,4%, un livello considerato ottimale dalla Banca Centrale Europea.

Lo stesso Governatore della Banca d’Italia ha ammonito che con una guerra lunga avremo due punti di PIL in meno nel biennio e si rischia di innescare una spirale inflazionistica prezzi-salari, perché per le aziende l’aumento di costi dell’energia si cumulerà con l’aumento del costo del lavoro con ulteriori aumenti dei prezzi, finendo per penalizzare gli stessi lavoratori e i ceti più fragili.

Mi pare se ne debbano trarre le dovute conseguenze e spingere per una trattative vera: la sola arma da brandire non sono i cannoni ma le sanzioni per fermare l’autocrate russo e chiedergli, in cambio di un qualche ammorbidimento di esse, prima la tregua, e poi qualche passo indietro.

Paolo Girola

Pubblicato su Rinascita Popolare dell’Associazione i Popolari del Trentino

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