La manifestazione “no-wax” di Novara getta una luce sinistra sull’intero movimento, al netto delle strumentalizzazioni della destra. 

Si fa presto a dire che si tratta di “ignoranza”, ma in effetti così si resta del tutto in superficie. Intanto, se non altro, si dovrebbe prendere atto che l’ignoranza è contagiosa, o meglio si autoalimenta e cresce su se stessa come un bubbone purulento. In un contesto civile ad alto tasso di comunicazione, finisce per generare un crescendo incredibile di atteggiamenti che, come in questo caso, essendo costretti ad innalzare incessantemente la posta, pur di mantenere alto il livello di audience e di impatto sulla pubblica opinione, perdono del tutto il contatto con la realtà e si risolvono in provocazioni insensate.

Qui, per la verità, siamo di fronte ad un fenomeno che dobbiamo tener presente e dal quale guardarci, nella misura in cui rischia, al di là della vicenda “no-wax”, di rappresentare una deriva caratteristica del nostro tempo, potenzialmente in grado di riprodursi su altri versanti.

La crescita esponenziale della comunicazione offre un formidabile megafono al tasso di ipocriticita’ di molte persone, al punto di porlo come fattore di aggregazione di movimenti, nel cui ambito, a loro volta, questi convincimenti paradossali fermentano gli uni sugli altri fino a costruire, confortandosi e confermandosi a vicenda, impalcature mentali francamente deliranti, come dimostra il fatto che siano inattaccabili da ogni appello alla ragione.

In un mondo che ha smarrito molti punti di riferimento storicamente consolidati, e ancora non riesce a costruirne altri, cosicché adotta il relativismo come postura generalizzata, a maggior ragione queste folate  di irrazionalità dilagano e spazzano con violenza le lande sterminate del cosiddetto “pensiero debole”, che sembra essere la più lussuosa certezza che oggi ci possiamo concedere. Il mondo di una comunicazione a tutto campo, che immaginiamo debba essere aperta, scorrevole e fluida in ogni direzione si rivela, al contrario, attraversato da linguaggi dissonanti che creano barriere di incomprensione e di ostilità pregiudiziale.

Le motivazione dei “no-wax” sono varie, da chi teme effetti collaterali, anche a lunga distanza, a chi neppure crede alla diffusione del virus oppure all’efficacia dei vaccini, a chi teme di essere manipolato, addirittura sotto il profilo genetico, ma tutte convergono verso un sentimento di diffidenza e di paura, accompagnato dal timore di essere invasi e colonizzati da forze imponderabili o addirittura condotte da poteri opachi che occultano le loro intenzioni malevoli. Nascono, infatti, le teorie del complotto che mostrano, sul piano collettivo, molti caratteri del cosiddetto “delirio di riferimento”, sintomo che, nel singolo paziente, orienta francamente la diagnosi verso una condizione di grave sofferenza psichica.

Le subentranti manifestazioni di piazza  dei “no-wax”, a parte il moltiplicatore mimetico che le sospinge da una città all’altra, rappresentano il precipitato di tanti atteggiamenti individuali, che pur non raggiungendo l’omogeneità di un “movimento” nel senso proprio del termine, rappresentano il coagulo di una qualche identità. C’è, peraltro, un altro livello di analisi del fenomeno “no-wax” che evoca una domanda ineludibile, per quanto priva di una definizione certa: noi “abbiamo” un corpo o “siamo” un corpo?

E’ vera l’una e l’altra cosa e in epoche diverse, in condizioni differenti, e anche secondo gli ondeggiamenti della vita di ciascuno,  può prevalere una delle due opzioni, senza escludere l’altra. In nessun caso, però, il corpo può essere osservato da fuori, quasi fossimo spiriti disincarnati e trattato come una sorta di bestia da soma, da considerare con distacco e sufficienza. Non c’è da sorprendersi, dunque, se, dopo un evento coinvolgente la fisicità di ognuno com’è stata la pandemia e com’è il vaccino, l’ago che punge e lo inocula, in un certo qual senso, trafigga anche la persona come tale.

Può succedere, dunque, che un sovraccarico emotivo ci faccia sentire colonizzati e pervasi, posseduti, nostro malgrado, da qualcosa di alieno e minaccioso, come forse succede a molti che non intendono sottoporsi alla vaccinazione anti-Covid. Anche la Scienza può trarre da tutto ciò un avvertimento. La presunta onnipotenza che esibisce o le viene attribuita suscita sì fiducia e speranza, ma, al tempo stesso, genera un timore opaco e confuso che disorienta molti. 

La Scienza deve sapersi comunicare in modo chiaro e vincente, cosa che non sempre avviene, senza chiudersi in un linguaggio elitario ed esclusivo. Soprattutto, deve riconoscere il limite che è tenuta ad osservare, maturando piena consapevolezza del valore umano che la sua impresa mette in gioco. Se dovesse persistere nella trappola della sua autoreferenzialità , cadrebbe in un circolo vizioso destinato a farla incespicare nei suoi stessi passi.

Domenico Galbiati

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