L’Istituto nazionale per le analisi delle politiche pubbliche (Inapp) di cui è Presidente Natale Forlani ha presentato ieri il Rapporto istituzionale per il 2024. L’Inapp effettua analisi, monitoraggio e valutazione delle politiche del lavoro, delle politiche dell’istruzione e della formazione, delle politiche sociali e, in generale, di tutte le politiche economiche che hanno effetti sul mercato del lavoro. È quindi un osservatorio molto interessante per diversi motivi.

1) Il Rapporto conferma gli aspetti positivi riscontrati, sul piano quantitativo e qualitativo dell’ occupazione, senza nascondere i limiti e gli squilibri non ancora superati. I dati ripresi nel Rapporto sono noti perché sono gli stessi che vengono certificati da tutte le istituzioni che si occupano della materia, ma che non vengono condivisi dalle opposizioni politiche e sindacali, le quali si ostinano a manipolarli per diminuire l’importanza, mentre avrebbero buon gioco a richiamare il Governo e la maggioranza al cammino che resta da compiere.

2) Il Rapporto, come vedremo, approfondisce aspetti particolari che individuano talune specificità meritevoli di segnalazione per una più compiuta rappresentazione della realtà che è non è affatto uniforme in Italia, il Paese dei dualismi.

3) Il Rapporto esamina ed evidenzia gli effetti della principali politiche del lavoro avviate negli ultimi anni, allo scopo di meglio valutare l’impiego e la destinazione delle risorse, senza arrendersi a un trionfalismo inutile o a una critica pregiudiziale, al solo scopo di lotta politica in un Paese in cui si è indotti a prendere una posizione di appartenenza su tutti gli argomenti anche i più banali e meno significativi (come nella canzone in cui Giorgio Gaber si sforzava a classificare come di destra o di sinistra le azioni della vita quotidiana delle persone).

Iniziamo dal primo punto. Negli anni successivi alla pandemia da Covid-19 – conferma il Rapporto -, la crescita dell’economia italiana è stata imponente, +4,2% nel quarto trimestre del 2023 rispetto all’analogo periodo del 2019, inferiore nel gruppo dei Paesi Ocse solo a quella degli Stati Uniti (+8,2%) e del Canada (+4,4%). Un risultato maggiormente apprezzabile in termini di aumento del reddito pro capite (+4,9%), se si tiene conto della concomitante riduzione della popolazione residente. La crescita dell’occupazione è risultata allineata a quella dell’economia, +3,5% del tasso di occupazione, equivalente a +1,043 milioni di nuovi posti di lavoro rispetto al mese dicembre 2019 e a una riduzione quasi simile del numero dei disoccupati, -1,009 milioni (Istat, ottobre 2024). Numeri che hanno consentito il raggiungimento del record storico in termini di occupati (24,1 milioni) e di tasso di occupazione (62,5%).

Tutti i grandi aggregati delle attività economiche – e siamo al secondo punto – hanno contributo al risultato finale. I nuovi posti di lavoro sono equamente distribuiti in termini di genere (+532 mila maschi e +511 mila femmine). L’aumento nelle regioni del Mezzogiorno (+4,2%) risulta superiore a quello delle regioni del Nord (+1,8%). Nel complesso, circa la metà è stata generata dai comparti dei servizi ad alta intensità di occupazione. L’incremento del numero assoluto degli occupati si concentra nella coorte dei lavoratori over 50 che negli ultimi due anni è diventata la componente più numerosa (41%) superando quella tra i 35 e i 49 anni. Nell’opinione comune questa distribuzione delle coorti generazionali è indicata come un limite ai danni dell’occupazione giovanile, mentre non si presta la dovuta considerazione ai dati demografici (in fondo la piramide dell’occupazione si sta profilando su quella della popolazione), né all’incremento della consapevolezza di una più lunga permanenza al lavoro per tutelare gli equilibri dei grandi apparati del welfare.

È migliorata – secondo l’Inapp – anche la qualità dei nuovi rapporti di lavoro. La crescita dei rapporti a tempo indeterminato (+1,375 milioni) compensa la riduzione di quelli a termine (-288 mila) e di una quota dei rapporti part-time (-3%). La questione del part-time (soprattutto se involontario) è vista dalle prefiche nostrane come la prova della maledizione del lavoro, dimenticando che in Europa l’utilizzo lavoro a tempo parziale è più elevato specie da parte delle lavoratrici.

Circa il 70% della carenza italiana di occupati risulta concentrata nei comparti influenzati dalla spesa pubblica: la sanità e l’assistenza (-1,270 milioni); la Pubblica amministrazione (-689 mila); l’istruzione (-315 mila). I posti di lavoro risultano superiori alla media nelle attività manifatturiere (+360 mila), nel lavoro domestico (+287 mila), negli alberghi e ristorazione (+127 mila), in agricoltura (+107 mila).

Sul versante delle professioni, il deficit occupazionale viene riscontrato per: le professioni di elevato contenuto intellettuale e scientifico (-2,260 milioni); gli imprenditori e l’alta dirigenza (-503 mila); le professioni tecniche (-296 mila); le professioni esecutive specializzate e qualificate (-393 mila). Il Rapporto, poi, si sofferma sull’aumento della difficoltà di reperimento di lavoratori qualificati da parte delle imprese (mismatch), riscontrato anche dalle indagini Excelsior Unioncamere-Ministero del Lavoro, è stato imponente, 47,8% nel 2024, +22,5 punti percentuali rispetto al dato medio del 2019. Il fenomeno risulta amplificato da un complesso di fattori: la riduzione della popolazione in età di lavoro; la carenza di competenze per i profili esecutivi; le offerte di lavoro che non riscontrano le disponibilità da parte delle giovani generazioni. La crescita dei rapporti a tempo indeterminato e la capacità di resilienza dei lavoratori anziani vengono interpretate da molti osservatori come risposte da parte delle imprese alle difficoltà di reperimento del personale.

Per quanto riguarda – siamo al terzo punto – le politiche attive del lavoro, le risorse messe a disposizione dal Pnrr hanno consentito di finanziare il Programma nazionale di politiche attive del lavoro Gol (Garanzia di occupabilità dei lavoratori), dotato di 5,4 miliardi di euro, che propone di raggiungere nell’arco del quinquennio 2021-2025 una serie di obiettivi (target): la presa in carico di almeno 3 milioni di beneficiari delle misure, tra i quali il 75% disoccupati di lunga durata, donne, giovani under 30, disabili, lavoratori over 55; 800 mila beneficiari di attività di formazione tra i quali 300 mila per le competenze digitali. Il Programma viene affiancato da un ulteriore intervento per potenziare i Centri per l’impiego al fine di garantire l’erogazione di servizi relativi ai Livelli essenziali delle prestazioni (Lep) nell’80% degli sportelli pubblici di ogni regione.

Il varo del Programma Gol ha rappresentato una novità importante nello scenario delle politiche attive del lavoro per i livelli di cooperazione attivati dal ministero del Lavoro e delle Politiche sociali nella programmazione delle attività e per la gestione degli interventi sulla base di standard e di informazioni condivise. Il Programma ha consentito, in prima istanza, di elevare la partecipazione formale alle politiche attive del lavoro delle persone in cerca di lavoro (+178%) e di costruire modelli di valutazione (assessment) per orientare i percorsi di inserimento dei disoccupati sulla base dei fabbisogni formativi personalizzati e per adeguare o riqualificare le competenze con il coinvolgimento a valle dei soggetti privati e del privato sociale accreditati. Dall’avvio del Programma Gol al 30/11/2024 sono oltre 3,1 milioni gli individui presi in carico attraverso la sottoscrizione di un patto di servizio. Di questi, circa 1,9 milioni (61,3%) hanno avviato o concluso una politica attiva o un tirocinio extracurriculare.

Escludendo la componente dei cd. work-ready (percorso 1 di reinserimento lavorativo), corrispondente a circa la metà degli individui presi in carico, la quota di individui avviati a un’attività formativa supera di poco il 20% (328 mila individui). La metà del bacino è rappresentata dagli adulti tra i 30 e i 54 anni e, sommando la quota degli over 55, supera il 70%. Gli individui non immediatamente occupabili sono quelli che presentano maggiori caratteristiche di vulnerabilità. Il 25% richiede percorsi di formazione per adeguare le competenze, e il 21,4% per riconvertirle, il 56% è costituito da donne. Il 45,3% delle persone prese in carico risulta disoccupato da oltre 12 mesi. La misura per l’inserimento lavorativo più utilizzata è quella dei tirocini extracurriculari che riscontrano buoni esiti occupazionali. Sul totale dei tirocini avviati e conclusi nel 2021 e con almeno un mese di esposizione alla ricerca di lavoro (pari a 312.894), il 48,6% ha una Comunicazione obbligatoria (Co) per lavoro a un mese dalla conclusione dell’esperienza, pari a 151.987 tirocini. Al 30 novembre 2024 il sistema delle Co segnalava un esito occupazionale positivo per 1.139 mila lavoratori, pari al 36,6% del totale dei presi in carico, tra i quali il 58% assunti con contratti di natura temporanea. I tassi di occupazione risultano più elevati (45,5%) per il contingente delle persone più prossime al mercato del lavoro, o che richiedono un percorso di parziale adeguamento delle competenze (37,2%). I valori si abbassano per quelle avviate ai percorsi di formazione per la riconversione delle competenze (18,3%) o se associati a programmi di inclusione sociale (19,7%).

Le attività di monitoraggio segnalano diverse criticità. In particolare, una crescente difficoltà: nel sincronizzare le modalità e i tempi delle prese in carico con l’attivazione delle misure formative e con i fabbisogni della domanda di lavoro; nel valutare l’efficacia delle misure di politica attiva utilizzate per le finalità occupazionali, per il mancato funzionamento delle condizionalità previste per i beneficiari dei sostegni al reddito. Due linee di intervento, quella finalizzata all’inserimento dei soggetti con elevati livelli di disagio e quella relativa ai programmi collettivi di reinserimento dei lavoratori nelle aree di crisi, non riscontrano significativi risultati. Queste criticità risultano accentuate dalla carenza di solide modalità di coinvolgimento dei soggetti accreditati privati e del privato-sociale nella valutazione dei fabbisogni e dei relativi interventi.

Le criticità evidenziate motivano l’esigenza di una riforma organica delle politiche attive del lavoro orientata dalla necessità di concorrere alla riduzione del mismatch e dei tempi delle transizioni lavorative: per sviluppare modelli di governance multilivello capaci di coinvolgere nella programmazione e nella progettazione degli interventi il complesso delle Istituzioni, delle Parti sociali e dei soggetti accreditati per la formazione e l’intermediazione della domanda e offerta di lavoro; per favorire la diffusione di modelli cooperativi (ad esempio, le associazioni di scopo), finalizzati a offrire servizi integrati di orientamento e di formazione; per favorire lo sviluppo del Sistema informativo per l’inclusione sociale e lavorativa (Siils) con letture evolute delle transizioni lavorative e con l’introduzione e diffusione del fascicolo del lavoratore come strumento in grado di favorire la crescita dell’autostima personale e la produttività dei percorsi di attivazione delle misure; per rendere effettive le condizionalità per i beneficiari di sostegni al reddito. Tutte le offerte di lavoro coerenti con il profilo professionale delle persone dovrebbero essere accettate, anche per aumentare il tasso di impiego nei settori con elevata mobilità e ridurre la quota dei lavoratori con bassi redditi. L’accettazione dei rapporti di breve durata potrebbe essere incentivata rendendo compatibile entro certi limiti la continuità del sostegno pubblico e il salario percepito.

Nelle conclusioni della Relazione del Presidente viene ribadita l’esigenza di un cambio di paradigma nell’affrontare i problemi per mettere al centro delle politiche economiche e del lavoro l’obiettivo di aumentare i livelli di produttività e le competenze dei lavoratori, nonché il pieno impiego delle risorse umane. Per le caratteristiche della nostra demografia – la bassa natalità, il progressivo invecchiamento della popolazione in età di lavoro, l’aumento delle persone anziane non attive – questa non è un’opzione, ma rappresenta la condizione primaria per mantenere livelli di benessere ritagliati sui fabbisogni emergenti della collettività. Le criticità evidenziate possono diventare esplosive per l’impatto dell’invecchiamento della popolazione e per la pervasività delle tecnologie digitali, ma possono rappresentare anche la riserva da valorizzare per recuperare i ritardi storici.

Giuliano Cazzola

Pubblicato su www.ilsussidiario.net

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