L’articolo che segue a firma di Anna Maria Pitzolu, Presidente del Consiglio nazionale di Insieme, è un intervento tratto dal libro “Famiglie e religioni – Dai matrimoni interfede all’educazione dei figli: come cambia l’Italia di oggi” a cura di M.R. Ardizzone, F. Baldini, R. Bogliaccino – Progetto della Fondazione Ozanam-San Vincenzo de Paoli (Palombi Editori, novembre 2022 CLICCA QUI)) che sarà presentato a Roma, Martedì 7 febbraio 2023 alle ore 17,15, presso l’Aula Magna dell’Università Lumsa (Via di Porta Castello, 44. Roma)

  1. Premessa

Il diritto di libertà religiosa è riconosciuto e tutelato dagli ordinamenti democratici come espressione della identità della persona, non solo credente, ma anche non credente, e costituisce un valore irrinunciabile rappresentativo del pluralismo “conquistato a caro prezzo nel corso dei secoli… Tale libertà implica, in particolare, quella di aderire o meno a una religione e quella di praticarla o di non praticarla[1].

Si tratta di un diritto inviolabile della persona umana che ha carattere assoluto ed incondizionato quale espressione della libertà di coscienza, ma può essere limitato nelle sue manifestazioni esterne per la tutela di altri valori inderogabili protetti dalle convenzioni internazionali e dalle costituzioni [2].

L’esperienza religiosa nella educazione del fanciullo viene riconosciuta come elemento fondante della sua personalità e del modo in cui egli si rapporta con il mondo[3].

Come si vedrà, la libertà di educazione riconosciuta ai genitori ha trovato un progressivo contemperamento con il riconoscimento dei diritti inviolabili della persona anche in favore del minore e, in particolare, del diritto al pieno sviluppo della sua personalità[4]. L’evoluzione della concezione del rapporto tra genitori e figli ha investito le modalità dell’esercizio della potestà genitoriale, determinando la necessità di tutelare il diritto del minore ad un percorso educativo che gli consenta di maturare una personalità in grado di determinarsi in modo autonomo, facendo propri i valori della comunità a cui appartiene e realizzando proficui rapporti interpersonali.

L’educazione dei minori all’esperienza religiosa è stata al centro di molte controversie tra genitori di confessioni diverse; conflitti determinati nella maggior parte dei casi dalla conversione di uno dei coniugi a un diverso credo religioso nel corso del matrimonio, al quale seguiva con altrettanta frequenza la crisi del rapporto familiare.

Questo breve scritto si propone di analizzare sinteticamente l’evoluzione della tutela della libertà religiosa dei minori sulla base delle norme e delle interpretazioni della giurisprudenza, italiana e non.

  1. I trattati internazionali fondamentali

Il carattere non cogente della Dichiarazione Universale dei Diritti dell’Uomo approvata a Parigi il 10 dicembre 1948 dall’Assemblea delle Nazioni Unite ha reso necessaria l’approvazione di un trattato specifico che rendesse applicabile i suoi principi all’interno degli Stati aderenti. Tale è la Convenzione internazionale sui diritti economici, sociali e culturali, comunemente chiamato Patto sui diritti civili e politici, adottato nel 1966 ed entrato in vigore il 3 gennaio 1976.

Il Patto riconosce agli artt. 18 e 26 il diritto alla libertà religiosa ed alla non discriminazione per motivi religiosi ed accenna al ruolo dei genitori nell’educazione religiosa dei figli, prevedendo l’impegno degli Stati aderenti “a rispettare la libertà dei genitori e, ove del caso, dei tutori legali, di curare l’educazione religiosa e morale dei figli in conformità alle proprie convinzioni”.

Il riconoscimento di una tutela specifica della libertà religiosa del minore si rintraccia solo successivamente, nell’art. 5 della “Dichiarazione sull’eliminazione di tutte le forme di intolleranza e di discriminazione fondate sulla religione o sul credo”, approvata all’unanimità nella seduta dell’Assemblea generale delle Nazioni Unite del 25 novembre 1981, laddove prevede che le pratiche religiose non debbano arrecare pregiudizio alla salute fisica o mentale o al pieno sviluppo del bambino[5].

Una decisiva affermazione di un diritto personale del minore alla libertà religiosa si ravvisa nella Convenzione di New York sui diritti dell’infanzia del 20 novembre 1989, che non si limita a riconoscere alcuni diritti fondamentali del minore, ma detta altresì i principi generali ai quali devono uniformarsi le azioni degli Stati per assicurare l’effettività della tutela riconosciuta.

Particolarmente controversa fu la stesura dell’art. 14, inerente le scelte religiose del minore in età evolutiva[6]. Nella sua prima formulazione, infatti, la norma attribuiva al minore la facoltà di optare per un credo di sua preferenza. La disposizione ha suscitato un’ampia ed accesa discussione, soprattutto nel contesto islamico, all’interno del quale è esclusa una facoltà di scelta religiosa del bambino.

Nella sua formulazione definitiva l’art. 14 della Convenzione di New York riconosce espressamente il minore quale autonomo titolare di un diritto alla libertà religiosa, pur attribuendo ai genitori o ai tutori il diritto, ma anche il dovere, di esercitare il compito di guida nell’esercizio della libertà religiosa “in maniera che corrisponda allo sviluppo delle sue capacità[7]. La stessa norma indica espressamente i limiti che gli Stati possono imporre alla libera manifestazione della propria religione per contenerne l’ambito di discrezionalità.

Anche la Santa Sede, pur essendo tra i primi soggetti internazionali ad avere aderito e ratificato la Convenzione di New York, ha espresso una riserva sull’art. 14 per sostenere e garantire il diritto primario ed inviolabile della famiglia all’educazione religiosa dei figli.

L’omessa previsione di una espressa facoltà di scelta non ha impedito, tuttavia, l’attribuzione al minore, capace di discernimento, di una sua partecipazione nelle specifiche decisioni concernenti la sfera spirituale, posto che il riferimento normativo allo sviluppo delle sue capacità implica la necessità di renderlo partecipe e progressivamente responsabile delle proprie scelte.

Sotto questo profilo, dunque, la Convenzione di New York introduce un elemento nuovo che emerge dalla evoluzione della concezione della potestà genitoriale sul minore, fondata originariamente sull’idea che il minore fosse un oggetto da plasmare secondo la volontà dei genitori quali unici soggetti deputati ad assicurare il suo benessere, per arrivare alla diversa visione che indica nel minore un soggetto da rispettare nelle sue potenzialità, pur tenendo sempre in debito conto l’età ed il grado di maturità raggiunto.

Si afferma, dunque, un orientamento che tende a conciliare il diritto dei genitori a svolgere la funzione educativa del minore con la nuova posizione attribuita al medesimo, quale soggetto titolare di autonomi diritti, riconoscendo tutela al preminente interesse superiore del fanciullo sancito dall’art. 3 della Convenzione di New York[8].

Con diverse parole lo stesso Papa Francesco ha sottolineato l’esigenza di tutelare l’interesse dei minori, sui quali pesa il macigno dell’incertezza, del disorientamento e della mancanza di effettiva libertà, causata troppo spesso dall’egoismo degli adulti[9].

Resta essenziale il ruolo dei genitori, congiuntamente responsabili dell’indirizzo educativo della prole, ma anche tenuti a considerarne le capacità, le inclinazioni naturali e le aspirazioni.

La stessa Convenzione, agli artt. 28 e 29, detta alcuni principi in materia di educazione ed istruzione del bambino, configurando un percorso di sviluppo della sua personalità ispirato alla tolleranza ed al rispetto dei diritti dell’uomo[10].

  1. Le regole europee

Nella normativa europea assumono rilievo gli artt. 9 e 14 della Convenzione Europea per la salvaguardia dei Diritti dell’Uomo e delle Libertà Fondamentali (CEDU), sottoscritta a Roma il 4 novembre 1950[11], e l’art. 2 del Protocollo addizionale n. 1, sottoscritto a Parigi il 20 marzo 1952, che riconosce il diritto dei genitori di educare i figli secondo le proprie convinzioni religiose e filosofiche[12].

Alla CEDU si è aggiunta la Convenzione di Strasburgo sull’esercizio dei diritti dei minori del 25 gennaio 1996, che ha l’obiettivo di promuovere i diritti dei minori e di agevolare l’esercizio di diritti procedurali nei procedimenti innanzi all’autorità giudiziaria, attribuendo al minore il diritto ad essere adeguatamente informato e consultato e disponendo il correlato dovere dell’autorità giudiziaria di accertare e tutelare l’esercizio di tali diritti e di tenere in debito conto l’opinione del minore. Con la stessa Convenzione è stata prevista la mediazione familiare ed il diritto del minore al gratuito patrocinio legale ed alla rappresentanza giuridica in taluni casi.

Con la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione Europea siglata a Nizza il 26 febbraio 2001 è stato completato il quadro normativo europeo sulla tutela dei diritti di libertà religiosa con forti connotazioni antidiscriminatorie.

  1. Uno sguardo agli altri continenti

Nel continente asiatico può farsi riferimento alla “Dichiarazione dei diritti umani” adottata dalla Associazione delle nazioni asiatiche sud-orientali (ASEAN) il 18 novembre 2012. Essa non interessa l’intero continente asiatico, ma solo dieci Stati appartenenti all’area sud-orientale[13]. A livello pan-asiatico, infatti, nessuno dei tentativi di pervenire alla redazione di una Carta dei diritti, portati avanti da organizzazioni non governative piuttosto che da entità statali o sovranazionali, è mai andato in porto[14], anche per la difficoltà di rintracciare elementi comuni in culture assai diverse da quella occidentale.

La citata dichiarazione, all’art. 22, contiene un riferimento al diritto alla libertà di coscienza, pensiero e religione, raccomandando agli aderenti di adottare un divieto di discriminazione o di incitamento all’odio sulla base della religione.

Nel contesto musulmano, l’adozione della Carta araba dei diritti umani (ACHR), adottata dal Consiglio della Lega degli Stati Arabi il 22 maggio 2004, non supera le riserve già espresse dagli Stati arabi in sede di approvazione della Convenzione di New York a causa delle forti limitazioni imposte alla scelta religiosa dal rilievo normativo attribuito alla sharia.

In Africa un significativo riconoscimento dei diritti del minore si è avuto con l’adozione della Carta Africana dei diritti e del benessere del fanciullo, adottata dalla Conferenza dei Capi di Stato e di Governo dell’Organizzazione per l’Unità Africana ad Addis Abeba l’11 luglio 1990, con la quale, all’art. 9, è stato riconosciuto il diritto alla libertà di coscienza, pensiero e religione e sono stati imposti precisi doveri a carico de genitori di guidare e consigliare la prole, mentre all’art. 12, par. 5, è stato introdotto un divieto di espulsioni collettive di gruppi religiosi, unica norma nel suo genere nella disciplina internazionale[15].

Infine, nel continente americano la Dichiarazione americana dei diritti e doveri dell’uomo, siglata a Bogotà nel 1948, sei mesi prima della Dichiarazione universale dei diritti dell’Uomo,  e la Convenzione americana dei diritti umani, in vigore dal 18 luglio 1978, benché simili alla CEDU nei contenuti, non hanno generato una prassi applicativa significativa[16].

  1. La prassi applicativa degli organismi internazionali indipendenti

Il Comitato sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite si è occupato raramente dei minori ed in modo generico, limitandosi a suggerire che coloro che abbiano superato i 16 anni debbono essere lasciati liberi di scegliere la propria fede e raccomandando agli Stati l’accesso ad un sistema scolastico libero da condizionamenti religiosi e improntato alla tolleranza, al rispetto dei diritti umani ed alla non discriminazione.

Il Comitato sui diritti del fanciullo ha affrontato più volte temi riguardanti i minori come la libertà di scelta religiosa e di manifestazione del proprio credo ed i confini del progetto educativo, senza però adottare un General Comment specifico sul tema[17]. Il criterio interpretativo sembra essere quello generale di una attenzione allo sviluppo delle capacità del minore in relazione all’età ed al grado di maturità, ma il ruolo dei genitori e degli altri attori istituzionali viene sostanzialmente sottaciuto[18].

Più equilibrate appaiono le osservazioni del Relatore speciale sulla libertà religiosa delle Nazioni Unite, il quale pone l’accento sulla necessità di bilanciamento tra il ruolo dei genitori ed il minore all’interno della comunità, anche religiosa, alla quale appartengono, all’interno di un percorso educativo volto ad evitare che il minore possa subire una dipendenza psicologica che potrebbe rivelarsi deleteria in età post-adolescenziale. Vengono stigmatizzati, in particolare, gli atti destinati a provocare lesioni dei diritti fondamentali, come i matrimoni forzati, il diniego di accesso ai servizi pubblici o l’indottrinamento forzato.

In ambito europeo gli orientamenti del Relatore speciale sono stati ripresi dalle Corte europea dei diritti dell’Uomo, ma anche dagli Organi giudiziari nazionali, i quali hanno cercato un punto di equilibrio tra il legittimo diritto dei genitori di trasmettere le proprie convinzioni religiose ai figli, i limiti all’intervento dello Stato nel rispetto dei principi del pluralismo confessionale e della neutralità, il diritto del minore ad essere educato secondo le sue capacità ed inclinazioni e nel rispetto del suo benessere fisico e psichico.

6. La prassi applicativa della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo

La legittima aspettativa dei genitori di educare i propri figli anche nell’ambito religioso ha trovato riscontro nella giurisprudenza della Corte Europea, che ne ha riconosciuto il valore di diritto tutelabile anche da illegittime o sproporzionate ingerenze da parte dello Stato. Allo Stato compete, tuttavia, la funzione di tutelare il preminente interesse del minore e, in particolare, la sua integrità fisica e psichica, nonchè quello di assicurare il diritto del minore ad un’istruzione pluralistica e non discriminatoria.

E’ stata rilevata la contrarietà all’art. 9 della CEDU dell’applicazione di punizioni corporali[19], così come l’elusione dei genitori all’obbligo di vaccinare i figli[20] ed il loro rifiuto alla trasfusione di sangue quali Testimoni di Geova[21]. Peraltro, con riferimento a questi ultimi, ormai esistono nelle strutture sanitarie protocolli terapeutici riservati ad essi, che prevedono scelte terapeutiche alternative per evitare, per quanto possibile, emotrasfusioni e, soprattutto, il ripetersi di casi come quello della piccola Oneda e dei suoi  genitori, condannati per omicidio per essersi rifiutati di sottoporre la figlia ad emotrasfusione, con esiti purtroppo letali[22].

Per quanto riguarda l’esercizio della libertà religiosa nei luoghi pubblici e, in particolare, nella scuola, sono state distinte le posizioni dei docenti rispetto agli studenti.

Quanto ai primi, è stata sottolineata la possibile influenza della manifestazione del proprio credo da parte dei docenti su minori molto piccoli, lasciando ai singoli Stati ampio margine di discrezionalità nella disciplina da adottare. In considerazione di tale evenienza, sono stati dichiarati infondati i ricorsi avverso norme che proibivano l’uso del foulard islamico e altri abiti religiosi da parte di docenti durante lo svolgimento delle lezioni in istituzioni pubbliche a bambini tra i 4 e gli 8 anni[23].

Sull’uso del velo o di altri simboli religiosi da parte degli studenti di scuole, collegi o licei pubblici, la Corte, attestandosi sempre sul riconoscimento di un ampio margine di discrezionalità dello Stato, aveva, in ossequio al principio di laicità dello Stato, ritenuto legittimo il rifiuto dell’amministrazione scolastica di autorizzare gli studenti musulmani al suo uso[24].

Non ci si può esimere dal notare che la questione, nella società multietnica e pluralista che si va delineando, avrebbe meritato maggiore attenzione. La volontà di indossare simboli religiosi potrebbe essere frutto di una libera determinazione del minore, meritevole di tutela, ma potrebbe anche essere la conseguenza di una imposizione dei propri genitori, rispetto alla quale il minore ha il diritto di essere protetto nell’ambiente scolastico, che dovrebbe educarlo a valori come il rispetto di sé e degli altri.

Su questa linea sembra muoversi la decisione della Corte che ha rigettato il ricorso di genitori musulmani avverso il rifiuto delle autorità svizzere di esonerare le proprie figlie da corsi di nuoto misti. In questo caso la Corte, in considerazione del ruolo della scuola nel processo di integrazione sociale, ha ritenuto che l’interesse dei minori a una scolarizzazione completa prevalesse sulle convinzioni religiose dei genitori e che fosse importante per la minore svolgere insieme ai compagni la pratica sportiva, seppure indossando il burkini[25].

Particolarmente significativo appare il diverso ragionamento condotto dalla Corte in relazione alla esposizione del crocifisso nelle aule scolastiche, a seguito di una vicenda giudiziaria insorta in Italia. In questo caso il Collegio ha rilevato che esso costituiva un simbolo passivo, espressione di legittime istanze culturali e religiose identitarie, e non implicava, da parte del potenziale destinatario, alcun atto anche implicito di adesione o di ossequio ad esso, né manifestava, in quanto espressione di una consolidata tradizione storica, lo specifico sostegno del Governo italiano alla religione cattolica[26].

Altre decisioni in materia di insegnamento religioso sono state sorrette da un accertamento del caso concreto sottoposto all’attenzione della Corte. E’ stato ritenuto conforme all’art. 9 della CEDU ed all’art. 2 del Primo Protocollo addizionale l’istituzione di un corso di educazione sessuale per bambini tra i 9 e gli 11 anni, rilevando il carattere meramente informativo del programma[27], così come ,l’impartizione di insegnamenti di etica e religione corredati da informazioni obiettive, critiche e pluralistiche[28], mentre è stata rilevata la non conformità alle norme CEDU delle regole sull’insegnamento della religione maggioritaria in Turchia, constatandosi la sproporzione tra le parti di programma dedicate alla religione islamica e quelle dedicate ad altre religioni o riti islamici[29].

Il principio di neutralità dello Stato rispetto alle diverse fedi religiose è stato ribadito allorché è stata ritenuta discriminatoria la scelta del Giudice nazionale di fissare la residenza abituale del minore presso un genitore solo in considerazione della diversa religione praticata dall’altro, Testimone di Geova[30], o di stabilire modalità di esercizio della responsabilità genitoriale lesive della libertà di uno dei genitori di manifestare la propria fede religiosa[31].

  1. Gli orientamenti del Giudice Italiano

Le decisioni del Giudice Italiano sono state caratterizzate dalla ricerca dell’esclusivo interesse del minore, evitando criteri discriminatori nella scelta del genitore affidatario e con lo scopo di procurare il minor danno al minore stesso, già provato dal conflitto tra i genitori e dalla disgregazione della famiglia.

Con la legge n. 54/2006 è stato riconosciuto il principio della bigenitorialità, in base al quale il minore ha diritto ad avere rapporti continuativi ed equilibrati con entrambi i genitori e con il nucleo familiare di appartenenza anche in caso di separazione o divorzio.

Il principio di bigenitorialità ha attribuito una importanza decisiva all’ascolto nei procedimenti giudiziari del figlio maggiore di 12 anni, o del minore capace di discernimento; strumento già previsto dalla Convenzione di Strasburgo del 1996, sopra richiamata, e volto ad assicurare la partecipazione del minore alle decisioni che lo riguardano.

L’ascolto del minore è stato riconosciuto come elemento strutturale del procedimento giudiziario, in linea con quanto stabilito dalla norma internazionale, poiché “diretto ad accertare le circostanze rilevanti al fine di determinare quale sia l’interesse del minore ed a raccoglierne opinioni e bisogni in merito alla vicenda in cui è coinvolto[32]. E’ stata affermata, di conseguenza, l’obbligatorietà dell’audizione del minore, diretta o tramite una consulenza tecnica disposta dall’ufficio o personale dei servizi sociali, salvo che il Giudice non ritenga l’esame, con specifica e circostanziata motivazione, manifestamente superfluo o in contrasto con l’interesse del minore [33].

In applicazione di tale principio, è stata cassata una decisione della Corte d’Appello di Milano la quale, pur affermando il principio di neutralità dello Stato rispetto alle differenti religioni cattolica e geovista dei genitori, aveva ritenuto che al figlio dovessero essere impartiti gli insegnamenti della religione cattolica, già praticata prima della separazione dei genitori, per evitare confusioni, disorientamenti e appesantimenti i quali, tuttavia, non emergevano dagli atti del giudizio, non essendo stato ascoltato il minore, neppure con l’ausilio di una consulenza tecnica[34].

In un analogo caso di conflitto, in cui il genitore di fede geovista voleva convertire la figlia alla propria religione, il Giudice, nella valutazione delle esigenze di bilanciamento tra il diritto all’educazione del genitore ed il diritto di libertà religiosa del minore, ha ritenuto che lo stato di disagio manifestato dalla figlia nel corso dell’audizione costituisse manifestazione di un comportamento del genitore impositivo e limitativo nel perseguimento della sua personalità[35].

Sono stati oggetto di acceso dibattito anche i patti impliciti o espressi sull’indirizzo educativo intervenuti tra i genitori.

In linea di principio non pare che il Giudice, in caso di disaccordo tra i genitori nelle scelte fondamentali per il figlio, possa discostarsi dalle proposte avanzate dagli stessi genitori, salva l’ipotesi di comportamenti pregiudizievoli per il figlio che impongono il suo intervento a tutela del minore.

Seconda una nota decisione del Tribunale di Prato, tuttavia, i patti sulla educazione religiosa del minore si porrebbero in contrasto con la libertà di religione, la quale comprende anche la facoltà di convertirsi ad altro credo e non può essere ostacolata nel suo esercizio nell’ambito delle funzioni attribuite a ciascun genitore nell’educazione del proprio figlio. Essi, dunque, potrebbero dar luogo ad un’obbligazione morale, ma priva di effetti giuridici vincolanti[36].

La decisione è stata criticata, ritenendosi che un accordo tra i coniugi sull’educazione religiosa sia possibile e addirittura auspicabile, posto che un conflitto in questo ambito nuocerebbe al figlio e che una limitazione della facoltà di uno dei genitori può rispondere all’interesse del minore ad una educazione omogenea, pur improntata al pluralismo ed alla tolleranza, che gli consenta una libertà di scelta allorché raggiunga una certa maturità. Unico limite a simili accordi sarebbe, dunque, l’esistenza di un pregiudizio per il figlio.

Le critiche mosse dalla dottrina sono state accolte in altra decisione relativa alla omologazione di un accordo tra i genitori, all’interno del quale il padre aveva chiesto l’inserimento di un impegno alla educazione del figlio secondo la religione cattolica per evitare che il minore, collocato prevalentemente presso la madre, potesse subire una influenza significativa dal compagno della madre, di fede islamica. In questo caso, l’obbligo era stato assunto reciprocamente da entrambi i genitori[37].

Nel caso di conflitti, il Giudice è chiamato ad applicare i medesimi principi di neutralità e non discriminazione, ma soprattutto ad individuare l’interesse del minore tenendo conto della situazione specifica, procedendo a verificarne con l’ascolto le inclinazioni ed orientamenti, se capace di discernimento, o adottando la soluzione meno traumatica se il bambino è in tenera età, normalmente individuabile nella adozione di un criterio di continuità con le scelte precedenti e fatta salva la possibilità di addivenire a scelte diverse all’esito della maturazione del minore.

  1. Conclusioni

L’interesse del minore costituisce attualmente il principio cardine sul quale si fonda sia la legislazione familiare e minorile, sia la normativa sociale nella maggior parte dei paesi occidentali.

Esso non può propriamente qualificarsi come interesse, ma costituisce un vero e proprio diritto inviolabile complesso, fondato sui reali bisogni e sulle concrete esigenze di una personalità in evoluzione, volto ad assicurarne la crescita e lo sviluppo secondo le proprie attitudini e capacità.

La dimensione religiosa costituisce un elemento fondamentale della educazione ed istruzione del minore.

Il diritto dei genitori a educare la prole secondo le proprie convinzioni religiose e filosofiche deve trovare il suo contemperamento nell’esigenza di assicurare il benessere fisico e psicologico del minore, mentre è compito dello Stato assicurare che la sua istruzione sia improntata al pluralismo, alla tolleranza ed alla tutela dei diritti umani.

Si fa cenno, infine, al tema particolarmente dibattuto dell’insegnamento della religione cattolica nelle scuole, oggetto di uno specifico impegno dello Stato Italiano con i Patti Lateranensi. L’esigenza di assicurare la libertà di religione nell’ambito di un pluralismo confessionale ha reso facoltativo l’insegnamento della religione cattolica, pur essendone stata riconosciuta la rilevanza ai fini del percorso formativo. Quest’ultimo aspetto ha dato luogo ad ulteriori contestazioni sulla discriminazione che la scelta introduceva tra coloro che aderivano all’insegnamento religioso e gli altri studenti. Le contestazioni sono state superate con l’inserimento della possibilità di opzioni alternative rientranti nel percorso formativo. Il tema meriterebbe approfondimenti maggiori sulla opportunità di individuare percorsi alternativi che tengano conto dell’importanza educativa della dimensione religiosa ed etica in una società pluriconfessionale e multietnica.

Sotto tale profilo, va superata una concezione di laicità, di matrice francese, volta a costruire uno spazio pubblico neutrale privo di qualsiasi riferimento religioso, ritenuta l’unica opzione idonea ad assicurare il pluralismo e la tutela delle differenti identità. In un contesto pluriconfessionale, la stretta neutralità dello spazio pubblico appare più discriminante rispetto ad un modello che consenta a tutti di manifestare le proprie convinzioni religiose o antireligiose, soprattutto nelle scuole, all’interno di un percorso di rispetto reciproco e di coesione sociale.

Desidero tanto che in questo tempo che ci è dato di vivere, riconoscendo la dignità di ogni persona umana, possiamo far rinascere fra tutti un’aspirazione mondiale alla fraternità … Sogniamo come un’unica umanità, come viandanti fatti della stessa carne umana, come figli di questa stessa terra che ospita tutti noi, ciascuno con la ricchezza della sua fede o delle sue convinzioni, ciascuno con la propria voce, tutti fratelli!” (Enc. Fratelli Tutti, 8).

Anna Maria Pitzolu

 

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* Anna Maria Pitzolu, avvocato patrocinante nelle Magistrature Superiori, legale rappresentante e consigliere di varie associazioni del Terzo Settore, tra cui la Lega dei Diritti dell’Uomo, Componente della Commissione di Diritto dell’Ambiente e di Diritto dell’Intelligenza artificiale e della tecnologia dell’informazione presso l’Ordine degli Avvocati di Roma, Coordinatore del Consiglio Nazionale di INSIEME, già cultore di diritto costituzionale, docente a contratto di project financing all’Università di Roma Tor Vergata, consigliere di amministrazione di Società e Parchi tecnologici, Vice sindaco di Pomezia.

[1] Corte EDU caso Kokkinas c. Grecia 25.3.1993. Cfr. anche il General Comment n. 22 del Comitato dei diritti civili e politici (doc CCPR/C/21-Rev.1/Add.4) previsto dal Patto Internazionale dei diritti civili e politici delle Nazioni Unite del 6 dicembre 1966.

[2] In relazione alle recenti limitazioni imposte dalla pandemia cfr. A.Licastro, La Messe est servie. Un segnale forte dal Consiglio di Stato francese in materia di tutela della libertà religiosa, in Consulta on line, 3 giugno 2020

[3] Si richiama Benedetto XVI, Lettera alla Diocesi e alla Città di Roma sul compito urgente dell’educazione, 21 gennaio 2008.

[4] Papa Giovanni XXIII: “In una convivenza ordinata e feconda va posto come fondamento che ogni essere umano è persona e quindi soggetto di diritti e di doveri, che scaturiscono immediatamente e simultaneamente dalla sua stessa natura: diritti e doveri, perciò, universali, inviolabili e inalienabili”- Pacem in Terris, n. 5, 11 Aprile 1963

[5] Art. 5.Par.5.: “Practices of a religion or belief in which a child is brought up must not be injurious to his physical or mental health or to his full development, taking into account article 1, paragraph 3, of the present Declaration”.

[6] A. Palma, “Libertà religiosa del minore e responsabilità genitoriale nella dialettica del rapporto educativo familiare” pubblicato il 9 luglio 2019 in Civile, Famiglia, pag.5, che richiama T. Di Iorio, “Società multietnica e libertà religiosa del minore tra affidamento ed autodeterminazione”, Editoriale Scientifica, Napoli, 2013, pag. 16.

[7] Art. 14 Convenzione di New York del 20 novembre 1989: (1) Gli Stati parti rispettano il diritto del fanciullo alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione. 6/23 (2) Gli Stati parti rispettano il diritto ed il dovere dei genitori oppure, se del caso, dei rappresentanti legali del bambino, di guidare quest’ultimo nell’esercizio del summenzionato diritto in maniera che corrisponda allo sviluppo delle sue capacità. (3) La libertà di manifestare la propria religione o le proprie convinzioni può essere soggetta unicamente alle limitazioni prescritte dalla legge, necessarie ai fini del mantenimento della sicurezza pubblica, dell’ordine pubblico, della sanità e della moralità pubbliche, oppure delle libertà e diritti fondamentali dell’uomo.

[8] Art.3 Convenzione di New York: “1. In tutte le decisioni relative ai fanciulli, di competenza delle istituzioni pubbliche o private di assistenza sociale, dei tribunali, delle autorità amministrative o degli organi legislativi, l’interesse superiore del fanciullo deve essere una considerazione preminente”.

[9] Papa Francesco, Visita alle sessioni unite del Congresso U.S.A., “Address of the Holy Father”, Settembre 2015.

[10] L’art. 29 della Convenzione di New York, in particolare, prevede: “(1) Gli Stati parti convengono che l’educazione del fanciullo deve avere come finalità: a) di favorire lo sviluppo della personalità del fanciullo nonché lo sviluppo delle sue facoltà e delle sue attitudini mentali e fisiche, in tutta la loro potenzialità; b) di inculcare al fanciullo il rispetto dei diritti dell’uomo e delle libertà fondamentali e dei principi consacrati nello Statuto delle Nazioni Unite; c) di inculcare al fanciullo il rispetto dei suoi genitori, della sua identità, della sua lingua e dei suoi valori culturali, nonché il rispetto dei valori nazionali del Paese nel quale vive, del Paese di cui può essere originario e delle civiltà diverse dalla sua; d) di preparare il fanciullo ad assumere le responsabilità della vita in una società libera, in uno spirito di comprensione, di pace, di tolleranza, di uguaglianza tra i sessi e di amicizia tra tutti i popoli e gruppi etnici, nazionali e religiosi, con le persone di origine autoctona; e) di inculcare al fanciullo il rispetto dell’ambiente naturale….”

[11] Articolo 9 CEDU-Libertà di pensiero, di coscienza e di religione “1. Ogni persona ha diritto alla libertà di pensiero, di coscienza e di religione; tale diritto include la libertà di cambiare religione o credo, così come la libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo individualmente o collettivamente, in pubblico o in privato, mediante il culto, l’insegnamento, le pratiche e l’osservanza dei riti. 2. La libertà di manifestare la propria religione o il proprio credo non può essere oggetto di restrizioni diverse da quelle che sono stabilite dalla legge e che costituiscono misure necessarie, in una società democratica, alla pubblica sicurezza, alla protezione dell’ordine, della salute o della morale pubblica, o alla protezione dei diritti e della libertà altrui.” Articolo 14- Divieto di discriminazione: “Il godimento dei diritti e delle libertà riconosciuti nella presente Convenzione deve essere assicurato senza nessuna discriminazione, in particolare quelle fondate sul sesso, la razza, il colore, la lingua, la religione, le opinioni politiche o quelle di altro genere, l’origine nazionale o sociale, l’appartenenza a una minoranza nazionale, la ricchezza, la nascita od ogni altra condizione.”

[12]Articolo 2 Prot. Add.n.1 CEDU- Diritto all’istruzione “Il diritto all’istruzione non può essere rifiutato a nessuno. Lo Stato, nell’esercizio delle funzioni che assume nel campo dell’educazione e dell’insegnamento, deve rispettare il diritto dei genitori di provvedere a tale educazione e a tale insegnamento secondo le loro convinzioni religiose e filosofiche.”

[13] Si tratta di Indonesia, Malesia, Filippine, Singapore, Thailandia, Sultanato del Brunei, Vietnam, Laos, Myanmar e Cambogia

[14] Anna Maria Lecis Cocco-Ortu, “L’Associazione delle Nazioni Asiatiche Sud-Orientali adotta la prima dichiarazione dei diritti umani: l’alba di un nuovo sistema regionale di tutela dei diritti?”, IANUS n. 7-2012, pag. 358

[15] Art. 9 Carta Africana: “1. Every child shall have the right to freedom of thought, conscience and religion. 2. Parents, and where applicable, legal guardians shall have a duty to provide guidance and direction in the exercise of these rights having regard to the evolving capacities, and best interests of the child”.

[16] Cfr. Marcella Di Stefano, “Il diritto dei minori alla libertà religiosa tra norme e prassi internazionali”, in “Stato, Chiese e Pluralismo confessionale”, Rivista telematica, fasc. n. 19 del 2020 ed i richiami ivi contenuti.

[17] Il General Comment n. 14 si riferisce, più in generale, alla tutela dell’interesse preminente del minore.

[18] Le osservazioni del 2003 e del 2011, ad esempio, dedicano molto spazio ai limiti della educazione religiosa nelle scuole, che non possono essere affrontati in questa sede per la loro complessità, anche in considerazione della evoluzione di taluni orientamenti.

[19] Abrahamsson c.Suède, 5.10.1967

[20] Boffa et autres c. Saint-Martin, 15.1.1998

[21] Les témoins de Jéhovah de Moscou c. Russie, 10.6.2010. In Italia

[22] Corte d’Assise di Appello di Cagliari, 13.12.1982, in Giurisprudenza Italiana, II, UTET 1983, p. 366.

[23] Dahlab c. Suisse, 15.2.2001.

[24] Gamaleddyn c. France, Aktas c. France,Ranjit Singh c. France, Jasvir Singh c. France,30.6.2009.

[25] Osmanoglu et Kocabas c. Suisse, 10.4.2017

[26] Lautsi c. Italia, 18.3.2011, Grand Chambre

[27] Kieldsen. Busk Madsen et Pedersen c. Danemark, 7.12.1976.

[28] Folgero c. Norway, 29.6.2007.

[29] Hasan et Eylem Zengin c. Turkey, 9.10.2007.

[30] Hoffmann c. Autriche, 23.6.1993; Palau-Martinez c. France, 16.12.2003; Ismailova c. Russie, 29.11.2007

[31] Deschomets c. France, 16.5.2006.

[32] Cass. N. 19202/2014, richiamata da Cass. N. 6129/2015

[33] Cass. n.11687/2013, Cass. N. 6129/2015, Cass. N. 12957/2018, Cass. N. 15365/2015.

[34] Cass., Sez. I, n. 21916 del 14.9.2018-30 aprile 2019

[35] Cass. 24.5.2018, n. 12954

[36] Trib. Prato, 25.10.1996, in Il Diritto Famiglia Persona, Giuffrè, Milano, 1997, pag.1012, richiamata da A. Palma, Libertà religiosa…, cit.

[37] Trib. Rimini, 9.6.1998, in Quaderni di Diritto e Politica Ecclesiastica, I, Il Mulino, Bologna, Aprile 2000, p. 759, richiamata da A. Palma, Libertà religiosa…, cit.

 

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