Putin ha bisogno di uno psichiatra, ma di uno bravo. Impossibile formulare a distanza la diagnosi di un disturbo mentale. Tutt’al più si possono unire i puntini di certi fatti, atteggiamenti, dichiarazioni che una volta collegati danno, perlomeno, adito al sospetto che il leader del Cremlino soffra seriamente di un disturbo paranoico della personalità.
In questi casi, il funzionamento cerebrale sembra indenne, senonché ruota attorno ad un’idea malata ed invincibile che sa di ostilità e di minaccia e può spingersi fino al delirio di persecuzione, compensato da un altrettanto delirante sentimento di onnipotenza. Una forma di lucida pazzia difficile da individuale; più difficile da curare. Insomma, “invincibile”, esattamente come Putin ha battezzato il suo nuovo missile intercontinentale a propulsione atomica, che – questo il sottinteso della minaccia – potrebbe portare la guerra su quel suolo degli States, che non la conosce dai tempi della “Guerra di secessione”, per quanto il loro esercito abbia combattuto due conflitti mondiali ed una miriade di scontri armati regionali per ogni dove.
Come, quando e perché succede che un despota – segreta o palese che sia, come nel nostro caso – evochi l’arma risolutiva del conflitto? L’arma totale, talmente distruttiva da fiaccare anche l’anima di un popolo, la sua voglia di continuare a vivere. Il colpo di maglio che, d’un tratto, rovescia le sorti del conflitto e, quasi fosse un’ apocalisse, muta il destino dei popoli.
La violenza, insomma, senza limite, levatrice della storia, feroce, insensata come unico linguaggio di cui si dispone. Hitler lo fece e ricorse alla V2 – la fatidica “ arma segreta”, in cui credeva ciecamente anche il duce – quando cominciò a temere che, nei diversi teatri che aveva aperto, la guerra volgesse al peggio, dopo la mancata invasione della“ perfida Albione”, come la chiamava Mussolini, a Stalingrado ed il 6 giugno ‘44, giorno dello sbarco in Normandia. Anche Putin sogna il “colpo di maglio” che non solo risolva il conflitto ucraino, ma rovesci il complessivo rapporto di forze con il resto del mondo, a questo punto senza più escludere neppure la Cina? Chi si porta dentro questo “demone”, è oggettivamente pericoloso perché è in balia di sé stesso, non ha termini di raffronto con la realtà se non un’ ybris che non conosce il senso del limite e lo rende imprevedibile al suo stesso sguardo.
Detto altrimenti, Putin non può fermarsi perché se pur lo volesse, non saprebbe come fare, se non a prezzo della dissoluzione di un costrutto mentale “bellicista”, irrinunciabile poiché fa tutt’uno con la sua stessa ragione per cui valga la pena vivere. La sua, non a caso, è, in qualche modo, anche una guerra “ideologica”, sostenuta, cioè, nella sua mentalità contorta, da una presunzione morale che lo autorizza a stigmatizzare e condannare la lassità dei costumi del mondo occidentale.
Quando un dittatore, come ha fatto Putin in questi giorni, dismette l’abito civile e si imbalsama dentro la divisa militare, probabilmente vive un momento di recrudescenza di quel culto della propria persona, che sempre lo accompagna, come volesse trasformarsi, secondo una posa marmorea, in monumento a sé stesso, secondo gestualità che, nel secolo scorso, abbiamo visto in Hitler, Mussolini e Stalin. “Invincibile” dunque.
Come il “suo” missile – ed anche qui fa capolino un sintomo – simbolo e proiezione di quell’ “io” ipertrofico in cui sente rivivere, incarnata, la storia e l’anima della Santa Madre Russia.
Domenico Galbiati