Non era stato facile, a fine Marzo, per chi cerca nell’ispirazione cristiana un criterio di guida per orientarsi nel duro mondo che ci circonda, accettare senza un moto di disgusto il documento messo a punto, non appena l’attuale pestilenza si è abbattuta sul mondo intero, dall’Accademia Svizzera delle Scienze Mediche e dalla Società Svizzera di Medicina Intensiva. E lo è ancora più difficile oggi, di fronte allo spaventoso inverno che ci si prospetta. Perché quel documento metteva in termini espliciti le regole che il personale sanitario avrebbe dovuto seguire nel caso in cui l’epidemia, ed il moltiplicarsi del numero dei casi, avessero determinato una “scarsità di risorse”.

La Confederazione è notoriamente cara a contabili, banchieri ed evasori fiscali, tutta gente che non ama la “scarsità di risorse”. Ma queste regole, oggi più che mai in vigore, lasciano veramente perplessi, perché sono stabilite dalle due massime autorità in campo medico, prevalentemente composte di personalità che hanno prestato il “giuramento di Ippocrate”. E perché la “scarsità di risorse” cui esse si riferiscono non è un qualsiasi “dollar shortage”, ma una scarsità di beni assai più preziosi, la scarsità di letti d’ospedale. Una scarsità, si aggiunga – ed è questo un fattore che aggiunge vieppiù al carattere cupo dell’intera vicenda –  che era ben prevedibile, e cui si poteva quindi porre riparo, a marzo 2020, se solo lo si fosse voluto. Ma contro la quale i Cantoni, (al pari delle nostre patetiche Regioni) non hanno fatto gran che, quando si era ancora a tempo. Preferendo invece, con previdenza tutta svizzera, stabilire i criteri con i quali distribuire le condanne a morte che già allora si prevedeva sarebbero state provocate dalla scarsità di letti d’ospedale.

Si tratta, si noti, di una carenza di letti in genere, non solo di letti attrezzati per la terapia di rianimazione. E per il momento in cui tale scarsità si sarebbe immancabilmente manifestata, che è poi adesso, vengono indicati al personale medico i criteri seguendo i quali dovrà essere effettuata la “selezione dei trattamenti di medicina intensiva”, cioè come decidere chi curare e chi sacrificare, chi provare a tenere in vita e chi lasciare morire soffocato. Perché, come è scritto nel documento in questione, quando la scarsità riguarda i letti di terapia intensiva, “non andrebbe fatta alcuna rianimazione cardiopolmonare”.

Condannati a morte senza appello sono, in primo luogo, quelli per i quali la carta d’identità indica un’età superiore a 85 anni mentre, per tutta la fascia degli ultrasettantacinquenni, la scelta tra una possibilità di salvezza e la condanna a morte è affidata al potere discrezionale del medico. E questo valuterà tendendo conto della presenza di un’altra possibile patologia: cirrosi epatica, insufficienza renale cronica, insufficienza cardiaca, e “sopravvivenza stimata a meno due anni”.

Per quel che riguarda poi i letti di Terapia Intensiva, i criteri per essere ammessi alla rianimazione sono ancora più crudeli. Nessuna possibilità di sopravvivenza sarà concessa a chi ha avuto più di un arresto cardiocircolatorio, oppure ha un tumore abbastanza grave da far pensare a meno di un anno di vita, o una forte insufficienza cardiaca, e altro. E tra queste altre evenienze ce ne è una – la demenza grave – che lascia sospettare l’adozione non solo di criteri medici, ma anche di criteri “eugenetici”, come quelli applicati in Germania negli anni trenta.

Si tratta chiaramente di istruzioni destinate a de-responsabilizzare, almeno parzialmente, i medici, e in qualche caso anche gli infermieri, quando si trovano a dover compiere scelte di questo genere. E magari a risolvere qualche ipotetico problema di coscienza, se mai ve ne fossero. Ma ti tratta di istruzioni che chiaramente risalgono ad un’etica e ad una cultura di tipo positivista, che violano chiaramente l’etica kantiana, e che non possono non suscitare perplessità in chi si vuole – come dicevamo – cristianamente ispirato.  E che dovrebbe spingere chi le ha formulate, e una certa misura anche chi accetta di applicarle, ad esitare almeno un momento, prima di dichiararsi cristiano, per il timore – facendolo – di bestemmiare.

Nell’Italia del 2020, la classe dirigente, i commentatori televisivi – con la sola fortunata eccezione della maggioranza degli scienziati– non ha avuto bisogno di un documento ufficiale per scegliere il lato peggiore dell’alternativa. Anche perché – e bisogna darne atto, tanto a chi ha scritto queste direttive quanto a chi, in Italia non meno che in Svizzera, trova naturale applicarle –  che il loro comportamento non è che l’ultima conseguenza, l’ultimo anello di una catena di comportamenti tra loro collegati ed interdipendenti, e che risalgono tutti a quella che è stata giustamente definita la “alternativa del diavolo”, quella che sceglie il danaro contro la vita.

L’atroce natura della decisione che i medici e gli infermieri del paese in cui il caso ci ha dato la ventura di nascere sono costretti a prendere, non è infatti altro se non la conseguenza delle caratteristiche di una società (e della classe politica cui essa ha dato la possibilità di fingere di far politica) che, tra le conseguenze umane e quelle economiche della pestilenza, negli ultimi mesi ha scelto il lato diabolico, quello di dare priorità all’economia, preparando così il terreno favorevole alla presente seconda ondata del morbo mortale. Ed ha anche lasciato che si creasse il problema della scarsità dei mezzi per combattere l’epidemia, dalla indisponibilità delle mascherine alla insufficienza dei posti letto e persino alla non distribuzione alle Farmacie del vaccino antinfluenzale non depotenziato – quello destinato alle categorie più a rischio – contro l’ordinaria influenza stagionale. Il tutto perché non venissero meno, per orde di sfaccendati e per qualche zotico “influencer”, la possibilità di partecipare ad un “apericena” sui Navigli; e per il giro di delinquenti e spacciatori che ruota attorno alla vita notturna quei flussi illegali di ricchezza che li rendono – agli occhi di certi politici – tanto meritevoli di tutela.

Giuseppe Sacco

 

Immagine utilizzata: Pixabay

 

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