Le otto del mattino di un malaugurante venerdì 13 erano passate da appena due minuti quando tanto France Télévision quanto l’Agence France Presse davano una notizia il cui significato non poteva lasciare spazio ad equivoci. Il presidente Macron, che martedi scorso, prima dipartire per la Polonia si era ieri impegnato a risolvere la crisi di governo entro 48 ore aveva fissato per le 8:30 un appuntamento con Francois Bayrou, il cui nome era stato più volte ripetuto dopo la sconfitta del governo uscente, sia con parole di sostegno che di critica.
La critica più decisa all’incarico la formare il nuovo governo, conferito al Sindaco di Pau, che è anche più illustre esponente del Modem, è subito venuta da Manon Aubry, eurodeputata della France Insoumise, la coalizione di sinistra fortemente impegnata nell’integrazione delle minoranze di origine straniera nella dinamica politica. Ma la sua era anche un’analisi assai esplicita di un timore molto diffuso nell’opinione pubblica: “posso darvi il nome del nuovo Primo Ministro, lo conosciamo: si chiama Emmanuel Macron”, aveva detto la Aubry, brillante diplomata di SciencesPo-Paris, e Co-Presidente a Strasburgo del gruppo “Sinistra Unita”. Un’affermazione paradossale ed ironica con cui si voleva sottolineare come Bayrou sia sempre stato uno dei più convinti sostenitori del Presidente. Alimentando cosi il timore che si rivelasse un semplice yesman, e che il nuovo governo si muovesse, come il precedente, su una linea di semplice continuità con il macronismo; di cui non solo la sinistra, ma la Francia nella sua larga maggioranza appare ormai assai insoddisfatto.
Una serie di imprevisti
Poco più di un’ora dopo dall’arrivo di Bayrou all’Eliseo, alle 9:40, viene dato l’annuncio che la cerimonia del passaggio dei poteri dal Primo Ministro uscente a quello subentrante avverrà a fine mattinata. Un tappeto rosso viene perciò disteso nel cortile del numero 57 di rue de Varenne. E tutti i ministri uscenti vengono invitati ad essere presenti.
Attorno alle 10:15, però, al termine del colloquio con Macron, le cose sembrano andare diversamente dal previsto. Bayrou lascia l’Eliseo attraverso una porta secondaria e si infila nella tua automobile senza fare dichiarazioni. La cerimonia prevista per la fine della mattinata appare silenziosamente rimandata, e fonti ufficiose e poco discrete fanno sapere che la conversazione tra il capo dello Stato ed il più autorevole rappresentante del movimento cristiano-democratico di Francia non è andata molto bene. Che la conversazione tra i due esponenti politici non abbia portato a niente di conclusivo è peraltro indirettamente confermato dal fatto che ancora poco prima dell’una del pomeriggio nessuna notizia ufficiale viene comunicata alla stampa.
E’ infatti solo a quel punto – alle 12:55 – che viene ufficialmente annunciato che il Presidente della Repubblica ha conferito a François Bayrou la carica di Primo Ministro e gli ha dato mandato di formare un nuovo governo. Il passaggio dei poteri, a quel punto, “è previsto nel corso della giornata”. E non si svolgerà effettivamente che nel pomeriggio inoltrato: alle 17h25.
Ma cosa è dunque successo nelle ore che vanno dall’arrivo dell’esponente democristiano all’Eliseo e il momento in cui avrà finalmente luogo il passaggio dei poteri? È accaduto che un certo numero di eventi ci sono incaricati di smentire il lapidario commento di Manon Aubry.
Il Primo Ministro non sarà solo un yesman: egli lo ha probabilmente detto a Macron, nei termini appropriati all’occasione ed ai ruoli. Non sarà un suo sosia, come l’azzimato Attal, con l’aggiunta di qualche ritocco per rendersi più accettabile. Gli ha probabilmente parlato della sua intenzione – come dirà successivamente – di “ne rien cacher, ne rien négliger et ne rien laisser de côté”. E di essere perfettamente consapevole della complessità della sfida con cui egli è destinato a confrontarsi; del fatto “che di fronte a noi abbiamo l’Himalaya, e difficoltà di ogni genere”.
Uno scontro personale, ma anche politico
Secondo indiscrezioni degne di fede l’andamento della conversazione sarebbe stato addirittura contrastato quanto esplicito. All’inizio dell’incontro, Emmanuel Macron è ancora tentato dall’idea di “un Premier Ministre collaborateur”. “François Bayrou è troppo libero, per potergli piacere” dirà un commentatore televisivo. Parla perciò di scegliere Roland Lescure. Ministro uscente della Difesa o più probabilmente Sébastien Lecornu, Ministro uscente dell’Industria, per la carica di Primo Ministro. A questi farneticamenti dell’inquilino dell’Eliseo, il Presidente del Modem avrebbe risposto con voce calma, ma con freddezza impersonale e senza esitazione. “Nel 2017, io mi sono unito a lei per fare grandi cose, non piccole combines. In questo caso, le nostre strade sarebbero inevitabilmente diverse”. Sconcertato, a questo punto, Macron avrebbe deciso di fare una pausa di riflessione, e verso le 10:15 Bayrou lascia l’Eliseo. Non è stato investito della carica, ma Macron gli ha preannunciato una sua chiamata telefonica a breve. E questa telefonata, che effettivamente risulta esserci stata, alle 11:30 lo riporta – sempre attraverso vie e porte che sfuggono ai reporters – al cospetto del su interlocutore. Il quale annuncia al leader del Modem di aver preso una decisione a favore del suo nome.
Che questo sia stato il tono del colloquio – o meglio del “braccio di ferro” – si è ovviamente riflesso in quanto verrà dichiarato dopo il passaggio dei poteri. Quando il nuovo Primo Ministro parlerà esplicitamente della “gravità della situazione” riguardo ai deficit, affermando che si tratta di “affrontare ad occhi aperti” il pericolo di un debito e di un deficit pubblico abissali. Il saggio realismo del nuovo Primo Ministro, notoriamente assai vicino al sofisticato gruppo della rivista Commentaire, diretta dall’economista Jean Claude Casanova, sarà peraltro confermato nella notte del 14 dicembre, pochi minuti prima dell’una, da un annuncio a sorpresa proveniente dall’America: l’agenzia di rating Moody’s. ha deciso di declassare di un notch il rating sovrano della Francia, portandolo da Aa2 ad Aa3 con outlook stabile.
“Abbiamo il dovere” [….] di affrontare con occhi aperti, senza timidezza, la situazione ereditata da interi decenni in cui la ricerca di equilibrio non è stata considerata necessaria e urgente”, aveva intanto affermato François Bayrou. Il deficit e il debito “sono una questione che pone un problema morale, non solo finanziario”. Che ha anche messo in guardia contro “il muro di vetro che si è formato tra i cittadini e le autorità”, e ha aggiunto di considerare “un sacro dovere” quello di “dare delle opportunità a coloro che non le hanno” .
François Bayrou sembra insomma pienamente consapevole del duro ed audace compito storico che – dopo un quarantennio di impegno politico – egli si è infine assunto. Ed a cui non potrà facilmente sottrarsi, se non vorrà essere solo un’ombra fuggevole in un passaggio storico che si annuncia – a livello francese come a livello internazionale – tanto complesso quanto tragico.
Con Bayrou cambia il caso francese ?
Che quel che è emerso nel corso del colloquio a due protagonisti della giornata di ieri sia stato percepito anche fuori delle mura dell’Eliseo, è indirettamente confermato dalle reazioni dei principali esponenti politici. E soprattutto da una presa di posizione ufficiale, quella dei Socialisti, che apre – per il nuovo governo – un assai significativo spiraglio a sinistra.
I Socialisti non avranno infatti nei confronti del nuovo governo l’atteggiamento che hanno tenuto nei confronti del precedente, e che li ha spinti a votare a favore della mozione di censura. E a non tener conto di come Moody’s avesse già in ottobre assegnato un outlook negativo al rating francese Aa2. E soprattutto di come – alla vigilia del 4 dicembre, giorno del voto di censura contro il governo di Michel Barnier – avesse avvertito che questo voto avrebbe potuto avere un impatto negativo sul rating sovrano della Francia.
Le forze politiche – François Bayrou e il suo Modem in testa – non hanno insomma mancato di tener conto del fatto che il paese è molto stanco del macronismo e dei suoi pietosi giochetti tendenti alla sopravvivenza giorno per giorno. E soprattutto i Socialisti hanno preso atto del fatto che mantenere la Francia senza governo – al prezzo di una totale sospensione di ogni politica pubblica – solo per difendere una vacillante posizione personale di potere, porterebbe rapidamente ad una crisi incontrollabile.
Una ulteriore mozione di censura a danno della futura compagine governativa di François Bayrou porterebbe anzi ad un così grave discredito di Macron da costringerlo alle dimissioni. E quindi ad elezioni presidenziali anticipate caratterizzate dalla sfida per la mera sopravvivenza politica. Ma, soprattutto, ad uno scontro diretto tra due sole formazioni politiche significative, il sempre più ambiguo Rassemblement National e la France Insoumise, coraggiosa, ma talora un po’ troppo audacemente, per tempi che corrono, proiettata verso un futuro migliore.
Giuseppe Sacco