INSIEME si avvia al suo primo congresso nazionale, previsto a Roma, i prossimi 3 e 4 luglio, esattamente nove mesi dopo l’ assemblea fondativa dello scorso ottobre.

Quando si deve compiere un passo in avanti decisivo è necessario uscire dalla concatenazione dei gesti in cui la vita quotidiana di una qualunque organizzazione afferma, ma inevitabilmente anche diluisce e stempera i motivi del proprio lavoro, per riandare all’intuizione originaria e su questa misurare le ragioni cui ricondurre la propria identità e la cifra del proprio impegno.

Un partito che intenda essere “programmatico”, come nel nostro caso, non è esonerato dalla fatica di risalire dai contenuti che, in tal senso, assume, alla forma compiuta di un “progetto” sufficientemente organico da poter, a sua volta, dar conto di una cultura politica, giustificata da valori e principi che rappresentino gli assiomi, si potrebbe dire, di un sistema di pensiero, che, peraltro, anziché chiudersi su sé stesso in una postura ideologica, si mantenga aperto alle suggestioni che il contesto sociale in cui vive incessantemente propone.

Non si tratta di dar vita ad un inconcludente gioco di rimandi che ruoti su sé stesso  e non approdi a nulla, ma piuttosto di assicurare alla  proposta politica che si pone in campo, una coerenza interna che, per un verso, la renda comprensibile a chi la accosta per la prima volta ed, in secondo luogo, le consenta di mantenere la propria fisionomia all’impatto con il pluralismo divisivo oggi imperante in ogni campo, anzi le dia forza sufficiente ad organizzare i temi sparsi e spesso sconnessi dell’agenda politica del momento, in un campo di forze che incroci sinergicamente una tematica con l’altra.

In una stagione in cui la comunicazione ha un’ enorme capacità di selezionare, condizionare, indirizzare i temi e gli argomenti su cui la politica è chiamata a sviluppare la sua quotidiana fatica, può essere forte la tentazione di pensare al programma come ad un “lenzuolata” di questioni più o meno sgranate, tenute insieme più che altro dall’opportunità di consenso elettorale che ciascuna di esse lascia supporre.

Insomma, anche i partiti della post-modernità se vogliono essere tali, cioè nel senso pieno del termine “forze politiche” e non meri “aggregati elettorali”, devono porsi come espressione contingente, cioè commisurata a quel particolare frangente temporale, di una “cultura politica” che, al contrario, trascenda la specificità di una singola fase o sia pure di altre che via via si succedano, per affermare la continuità e la “durata” di un pensiero, di un impianto concettuale che sia in grado – o almeno  aspiri e ci provi – di accompagnare e sollecitare il corso degli eventi, anziché subirli passivamente, orientandoli secondo un concerto di criteri che, fin dove possibile, imprima un senso compiuto alle vicende dei nostri giorni, cioè ne facciano una “storia”, non un mero accadere.

Il “nuovismo” che permea il nostro tempo, se, per un verso, attesta, a suo modo, la domanda insopprimibile di quell’ “andare oltre” che abita sempre il cuore dell’uomo, assunto acriticamente, nel campo della politica, come fosse un valore a prescindere, ci impedisce di cogliere come, al contrario, le culture politiche concettualmente e storicamente consolidate mantengono una persistenza che si prolunga nel tempo ben più di quanto immaginiamo ed una potenzialità ancora inespressa che ci impedisce di spogliarcene, buttandole alle ortiche o, tutt’al più, ricavandone scampoli da mischiare con altri, di differente provenienza, in una sorta di patchwork culturale, sostanzialmente sterile.

INSIEME nasce dal paziente lavoro di tanti amici che condividono la necessità  di riportare la cultura politica del cattolicesimo democratico e popolare nel  cuore del confronto politico in un tempo di transizione su cui ricade il peso di delineare percorsi destinati ad incidere per un lungo tratto di strada sul nostro domani.

Viviamo un tempo “drammatico” nel senso proprio del termine, cioè una stagione che è sì dominata da conflitti , ma che pur nasconde nelle sue pieghe  una creatività ed un’attesa di speranza che pur fatichiamo a cogliere.

I nostri punti di riferimento – la Dottrina Sociale della Chiesa e la Costituzione – rappresentano il punto focale di una visione che vuole sottrarre la presenza politica dei cattolici ad una obbligata dipendenza ora dalla destra, ora dalla sinistra.

L’autonomia che rivendichiamo, prima che in termini di schieramento, deve attestarsi sul piano di una elaborazione culturale e politica che cerchi di dar corpo a quel processo di “trasformazione “ che rappresenta il cuore del nostro Manifesto.

Non significa autosufficienza, tanto meno pretesa di algida autoreferenzialità, ma, al contrario, consapevolezza di un limite e di una insufficienza rispetto al compito che ci poniamo, tale da invocare il concorso di tanti amici, purché condividano francamente il nostro disegno e l’ambizione che lo anima.

Autonomia significa responsabilità, esige competenza, evoca una nuova classe dirigente. Vuol dire personale e diretta assunzione dell’onere di pensare ed agire affrontando a viso aperto le contraddizioni di un mondo che sfida la nostra e le altre culture. Senza sperare, invocare, meno che mai pretendere copertura, protezioni, sostegni indebiti. Per quanto ci riguarda come credenti questo significa, dunque, riaffermare la laicità del nostro impegno di forza aconfessionale ed aperta.

Chi ama e rispetta la Chiesa sa che in nessun modo deve attendersi, da parte della gerarchia, prese di posizione che, in qualche molo, la compromettano e  la espongano a dover rispondere di errori od omissioni che nel libero esercizio della loro attività politica i credenti sono quotidianamente esposti a commettere.

E’ piuttosto vero il contrario e, cioè, che la militanza politica dei cattolici consenta di assumere, soprattutto in certi passaggi particolarmente delicati e complessi, posizioni chiare e distinte, coerenti all’ispirazione cristiana e personalista che ci anima, senza che la Chiesa come tale debba intervenire, in prima persona, laddove il confronto sia prettamente politico ed istituzionale.

Tutto ciò, nella scia della lezione di Don Sturzo e di De Gasperi, dovrebbe essere semplicemente sottinteso e scontato, eppure va ribadito a scanso di ogni possibile equivoco che evochi la suggestione di quel “partito cattolico” tout-court che noi non siamo, né intendiamo essere.

La politica è ad un tempo, semplice e complessa ed, in ogni caso, i “fondamentali” sul piano del metodo sono pochi, ma essenziali e vanno rispettati fin dal primo esordio, se non si vuole che nasca una cosa sghemba. In vista del nostro congresso è importante ricordarlo.

.Domenico Galbiati

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