In via preliminare e come informazione di carattere generale, in un contesto epocale in cui il c.d. “primario” era davvero considerato il fiore all’occhiello dell’economia nazionale, va ricordata la “Riforma agraria” a beneficio di chi, o per motivi anagrafici o per mera ignoranza della storia recente, non ha cognizione.
Tra le direttive fondamentali di quella legislazione piace qui sottolineare le seguenti tre:
a) creare efficienti organizzazioni cooperative,
b) tutelare la “minima unità colturale”,
c) perfezionare il credito agrario.
A distanza di 70 anni è innegabile poter affermare che detti obiettivi, raggiunti solo in parte o per un periodo determinato, nei decenni ’50-’70, dall’attuazione delle “riforma agraria” (1949-’57), ebbene restano intatti e irrealizzati. Sia le comunità valligiane o del “tavoliere”, che quelle montane attendono, impazientemente, una
sacrosanta politica governativa/regionale che si occupi di loro, cioè che rilanci le società cooperative – ora si chiamano “start-up” – possibilmente tra giovani o di genere femminile; salvaguardi e valorizzi la piccola proprietà contadina e l’agriturismo, non soltanto per il tramite degli incentivi fiscali e benefici economici, derivanti dalla
P.A.C. (Politica agricola comunitaria); e detti direttive e misure creditizie, concretamente appetibili, sotto la vigilanza istituzionale della Banca d’Italia.
Da oltre una ventina d’anni le borgate “agrarie” della Puglia e del Mezzogiorno d’Italia sono state abbandonate al proprio destino dallo Stato, inteso sia come governo centrale, sia come regioni, province e comuni. Questi ultimi si sono addirittura sbeffeggiati dell’isolamento sociale e del degrado dei servizi pubblici; un esempio “eccellente”, in
tal senso, è facilmente reperibile su “google” alla voce “Moschella”, ove si può leggere un titolo forte e raccapricciante, apparentemente audace denunzia a valenza politica (dimenticata il giorno dopo le elezioni comunali del 2015): “Borgo Moschella abbandonato!”. In bella vista v’è il logo “la Cicogna Movimento politico” e la firma,
datata 17/4/2014, di tale Luca Colopi che si cimentava, con discrete doti retoriche, nell’elencare i mali delle precedenti amministrazioni comunali, le aspettative ed i tanti bisogni, insoddisfatti, dei cittadini (un centinaio circa) ivi residenti, ingannati e turlupinati, per decenni, dai tanti politici locali, di sinistra, destra o centro.
Tutto giusto, anzi doveroso per chi si presenta come il “nuovo che avanza” e che promette cose nuove con buona enfasi, ma alla luce dei fatti – i soli che contano! – resta acclarato che, ormai, nessuna forza politica avrà più il “diritto”, né il coraggio di avvicinarsi a questi “luoghi disastrati” come la Moschella, definita aulicamente “una Somalia a pelle bianca in piena Europa, volutamente a noi nascosta, ma sofferente, schiacciata dalla più totale assenza di servizi, dilaniata dal continuo e cadenzato abbandono”.
Che belle espressioni! Poetiche e abbastanza documentate. Peccato che un siffatto dossier, ricco “cahier de doleance”, così puntuale e appassionato, sia stato completamente dimenticato il giorno dopo che la Giunta Metta si è costituita, come del resto dai partiti d’opposizione, dalle competenti autorità provinciali e regionali, infine dall’AQP, acquedotto pugliese (fondato dall’on. Pavoncelli…ironia della sorte!). E proprio l’Acquedotto s.p.a. risulta il primo “imputato”, responsabile di un ritardo secolare, indicibile, assoluta carenza di acqua potabile; denunzia che ci è stata confermata in occasione di una recentissima visita ad un’azienda agrituristica “in loco” da parte di una delegazione del Consorzio “pro Ofanto”.
Da un’attenta, ponderata riflessione fatta dagli imprenditori agricoli viene pure messo in risalto il seguente fatto, assolutamente assurdo o “kafkiano”: “per le istituzioni pubbliche che ci privano della rete idrica è come se non esistessimo, ma (paradossalmente) ci vengono regolarmente elargite le risorse finanziarie previste dalla politica
agricola dell’Unione europea”!
Che ginepraio,… e soprattutto: è ora che lo Stato o chi per esso intervenga a porre fine alla descritta “vergogna nazionale”, cancellando questa “cenerentola pugliese” della Valle dell’Ofanto.
Michele Marino