Per pigrizia tendiamo a percepire la realtà che ci circonda come stabile e immutabile. Se la pensiamo mutabile ci piace pensarla in miglioramento. Il pensare negativo, in generale, ci è estraneo.
Questo vale per le nostre libertà individuali e collettive, vale anche per il sistema democratico di cui tutti noi oggi godiamo le caratteristiche e gli effetti. Quando andiamo a votare nessuno pensa quanto sia costato ottenere quel diritto, tanto che molti, con una inimmaginabile leggerezza, ritengono ragionevole non esercitarlo. Le cose non stanno esattamente così. La realtà che ci circonda è continuamente soggetta a spinte manipolative. Alcune buone altre cattive. Anche il processo democratico. Soprattutto il processo democratico.
Poteri economici, poteri politici studiano continuamente la realtà e cercano di modellarla secondo le proprie esigenze. Una Costituzione fortemente liberale come la nostra imponeva come peso complementare la presenza di partiti popolari, nazionali, interclassisti. Venuto meno questo equilibrio con lo sviluppo di partiti personali e/o populisti l’attacco al sistema democratico non poteva che essere conseguente.
Così, ci siamo incamminati sulla strada dell’abolizione del proporzionale, la beatificazione dell’uninominale, le liste bloccate, l’abolizione delle preferenze, l’abolizione delle votazioni popolari per le province, il tentativo di smontare il bicameralismo ed ora un taglio netto alla rappresentanza parlamentare facendo intravedere la possibilità di modificare qualsiasi parte della costituzione con una manciata di rappresentanti. I prossimi passi saranno la modifica del bicameralismo con la proposizione di un modello camerale a forte vocazione consultiva e la repubblica presidenziale.
Non abbiamo elementi per capire se questo processo sia ordito ed eseguito con consapevolezza da qualcuno, quello che non possiamo non registrare è uno scivolamento continuo verso un sistema nel quale vengono imputate alle libertà espressive del cittadino le cause del malfunzionamento della società.
Si diffonde così la suggestione che meno il cittadino si esprime, meno è rappresentato, meglio è. In un quadro di questo genere le pulsioni autoritarie trovano un luogo ideale di espressione e ricevono simpatie e silenzi insospettabili. Pensiamo come certi messaggi come la richiesta di “pieni poteri” o la “suonata al citofono” sono passati e derubricati a propaganda elettorale.
Tutto questo configura un golpe? Forse si, sicuramente un golpe con ampio consenso popolare di cui non tarderemo a dolerci.
Luigi Milanesi