In fondo è confortante che, pur di saperne leggere le suggestioni, il corso degli eventi indichi, infine, quale sia la strada da intraprendere.

Vuol dire che la complessità – che pur contrassegna l’ordine delle cose in un quadro di relazioni politiche confuso e confusivo – non è sinonimo di caos, bensì vela e nasconde una logica difficile da cogliere, eppure, a suo modo, inoppugnabile, che merita di essere portata alla luce del sole. Parafrasando McLuhan si potrebbe dire che il cammino è la metà. E, dunque, convenga, in un certo senso, lasciarsi prendere per mano da ciò che spontaneamente avviene, intendere la geometria che vi è sottesa e, solo a quel punto, cercare di assumerne la guida verso un approdo criticamente determinato.

Mi riferisco al fatto che, in questi ultimi giorni, abbiamo avuto un segnale potente, come se una stella polare fosse comparsa all’orizzonte e potesse orientare la nostra navigazione, paradossalmente forte di una contraddizione: le piazze sono piene e le urne desolatamente vuote. In un Paese che, a giudicare dal forte astensionismo elettorale, pensavamo disanimato e spento, si è, al contrario, manifestata, con una forza inaspettata e sorprendente, quella comune “indignazione morale” di cui parla Habermas affermando come, a suo avviso, anche in carenza di un “ethos” strutturato, forte e radicato, tale sentimento basti a promuovere e sostenere una “solidarietà planetaria” contro “…..grossolane violazioni dei diritti umani ed evidenti trasgressioni del divieto di compiere azioni militari di aggressione”.

Parole che sembrano scritte per i giorni nostri e non in un’opera che data almeno a vent’anni fan. Senonché , se il cuore degli italiani è tuttora vivo e pulsante, capace die mozionarsi, indignarsi e farsi coinvolgere, perché le urne sono vuote ?

Evidentemente ad essere spento non è il tenore civile dell’Italia come tale, bensì il ventaglio di forze politiche che da destra a sinistra, e viceversa, non sono più in grado di intermediare l’anima del Paese, darle una forma razionale e critica e, quindi, consentirle di approdare al concerto delle istituzioni perché se ne facciano carico.

Ma chi c’era in piazza? Una sinistra che, secondo le sue varie articolazioni, trova alimento nella spontaneità e rifiuta di essere inquadrata in un partito? I pacifisti, cattolici e no? Anche i moderati, pur sdegnati dal massacro di Gaza?  La sensibilità più immediata dei giovani e quella più esigente delle donne? E gli astenuti? Quanti astenuti?

Quanti sono coloro che hanno colto l’occasione per riaffacciarsi al circuito della partecipazione attiva? Se si potesse conoscere quest’ultimo dato sarebbe di grande interesse.  Segnalerebbe agli stessi partiti, al di là della questione del momento, l’urgenza di cambiare il loro impianto organizzativo. Incapace di interpretare nuove forme di cittadinanza attiva che prescindono dalla figura classica del militante organico e strutturato che, di anno in anno, ripete il rito e l’atto di fede del rinnovo della tessera.Ma cosa possiamo aspettarci se questo canale di comunicazione non viene per tempo disostruito?

Due fenomeni contestuali, appaiati e pur antitetici. Per un verso, il rischio di una reazione violenta che vada ben oltre i pur parziali accenni che già si sono visti; dall’altro, l’assopimento pregressivo di una pulsione generosa e tradita.

Se volevamo una prova in più ed ultimativa per sostenere che l’Italia ha bisogno non del tramestio di schieramenti in corso, men che meno di adattamenti del tutto interni al sistema politico, ma, al contrario, di una sua radicale trasformazione, oggi di questa prova – sintomo patognomonico del nostro tempo – noi disponiamo. Del resto, la categoria interpretativa della “trasformazione” si va progressivamente affermando e, non a caso, compare anche nella recentissima “Esortazione Apostolica” di Papa Leone , da dove, pur avendo valenza pastorale, se ne può, ad ogni modo, trarre, in controluce, anche una lettura politica.

Perché il processo di trasformazione si accenda è necessario che almeno una forza, per minuscola che possa apparire, si sottragga al gioco delle parti cui assistiamo – anche e forse di più al “centro” del sistema – ed abbia l’ardire di romperne l’assedio. Una forza che rappresenti un fatto politico effettivamente nuovo, francamente ed espressamente “autonomo” dai due poli della destra, ma anche della sinistra, avanzi con forza una proposta programmatica chiara e coraggiosa, sappia parlare alla coscienza dei cittadini ed abbia, dunque, il coraggio di mettersi finalmente in gioco, senza almanaccare più di tanto sui possibili consensi, facendosi, piuttosto, carico di rappresentare un momento profetico di verità, piuttosto che una soluzione di potere.

Autonomia di schieramento, sostenuta da una originale autonomia di analisi culturale e di elaborazione di un pensiero politico forte, che sottragga questa nuova forza al rischio di omologazione al sistema e di soggezione ad un pensiero unico che, a tratti, supera le linee di demarcazione fino ad abitare la destra e la sinistra assieme.

Detto altrimenti, una forza che abbia il coraggio e l’ambizione di interpretare se stessa come “riserva” della Repubblica ed assuma il compito di difendere, testimoniare, attestare e promuovere valori e principi della Costituzione per un lungo tratto di un cammino, che potrebbe dover attraversare fasi problematiche e momenti oscuri della nostra avventura democratica.

Domenico Galbiati

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