Da un po’ di anni a questa parte, l’unico partito che sistematicamente vince tutte le elezioni è quello del non voto. Da tempo, ormai, oltre un terzo degli italiani ha smesso di recarsi alle urne. Un’astensione così ampia, in un Paese con una lunga tradizione partecipativa, è il segnale più chiaro della frattura profonda tra cittadini e sistema politico.

La Seconda Repubblica, nata tra le macerie di Tangentopoli, avrebbe dovuto riformare e rilanciare la democrazia italiana. Prometteva efficienza, trasparenza, stabilità. Ma a trent’anni di distanza, il bilancio è deludente.

La classe politica appare spesso impreparata, litigiosa, più attenta alla comunicazione che alla competenza. Le coalizioni, sia di centrodestra che di centrosinistra, hanno mostrato scarsa coesione e visione strategica. Il risultato è sotto gli occhi di tutti: governi deboli, programmi contraddittori, riforme annunciate e mai attuate.

Centrodestra e centrosinistra: le responsabilità condivise

Il Governo Meloni-Salvini-Tajani, nonostante una maggioranza solida, dà spesso prova di incertezza. Ambiguità sulla politica estera, sbandamenti sull’immigrazione, tentennamenti sulla linea economica e fiscale. L’Italia sembra navigare a vista, oscillando tra sovranismo e atlantismo, tra stretta fiscale e bonus elettorali, tra proclami identitari e compromessi europeisti. Ma anche le opposizioni non scherzano. Il centrosinistra appare diviso e privo di leadership, incapace di proporre un’alternativa credibile. A denunciarlo sono autorevoli giornalisti e intellettuali di orientamento diverso: da Galli della Loggia a Folli, da Polito a Sorgi, da Cazzullo a Veneziani. Tutti, pur da angolature differenti, segnalano il vuoto di progetto e la fragilità del dibattito politico.

Si assiste a un Parlamento ridotto a contenitore di slogan, a un’opinione pubblica disillusa, e a un sistema incapace di produrre élite politiche all’altezza delle sfide nazionali e internazionali.

Serve un nuovo partito popolare, democratico e interclassista

L’Italia ha bisogno di unità e coesione, non solo sociale ma anche politica. E questo significa tornare a un modello di rappresentanza capace di fare sintesi, prima al proprio interno e poi nelle istituzioni. Come accadde nella Prima Repubblica, quando la Democrazia Cristiana – pur tra limiti e contraddizioni – seppe tenere insieme un Paese uscito sconfitto dalla guerra, costruendo una rete sociale e politica che traghettò l’Italia verso la modernizzazione e l’integrazione europea. Oggi serve un grande partito popolare, democratico e interclassista, capace di parlare a tutto il Paese, alle periferie come ai centri, al mondo produttivo come a quello del lavoro e del disagio sociale. Un soggetto politico che sappia tenere insieme valori, competenze e responsabilità. Che non insegua gli umori del momento, ma offra una visione, un programma, un destino comune. In questo percorso, i cattolici italiani possono e devono avere un ruolo fondamentale. Non come gruppo di potere, ma come coscienza civile e morale del Paese.

Il contributo dei cattolici per il futuro dell’Italia

La loro tradizione, quella cattolica – che unisce giustizia sociale e libertà, solidarietà e responsabilità – può offrire un contributo decisivo alla ricostruzione democratica del nostro Paese. In un tempo in cui la politica rischia di ridursi a scontro tra fazioni e a marketing elettorale, i cattolici hanno il dovere di rimettere al centro i princìpi della dignità umana, della sussidiarietà, del bene comune. Non si tratta di rifondare un partito confessionale, ma di promuovere una nuova cultura politica ispirata ai valori cristiani e costituzionali.

La Dottrina sociale della Chiesa offre in tal senso un patrimonio di idee, di esperienze e di prassi concrete che possono illuminare il dibattito pubblico e guidare scelte legislative più eque, inclusive, lungimiranti. L’Italia non ha solo bisogno di nuove forze politiche. Ha bisogno di una nuova classe dirigente, più competente e più radicata nella realtà sociale. E ha bisogno che i cattolici – laici, educatori, amministratori, professionisti – escano dalla marginalità, superino la frammentazione e tornino a essere fermento attivo della vita pubblica.

È un compito esigente, ma anche un diritto e un dovere: come cittadini, come credenti, come italiani.

Michele Rutigliano

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