Concludiamo con parte Ricerca scientifica la pubblicazione delle proposte del gruppo di studio di Politica Insieme su Scuola, Università, Ricerca scientifica con l’ultimo intervento di Alfonso Barbarisi, coordinatore dei lavori dell’apposito gruppo di studio organizzato in materia. In precedenza Barbarisi aveva illustrato gli interventi suggeriti in materia di Scuola ( CLICCA QUI )  e di Università ( CLICCA QUI ). L’intervento odierno contiene anche una serie di note aggiuntive che riguardano tutto il sistema scolastico e formativo. 

Ricerca
L’area della Ricerca è quella che in Italia più ha bisogno di un deciso, urgente e veramente consistente investimento finanziario e, con altrettanta urgenza, di una riorganizzazione strutturale. I politici si adagiano sulla alta resa del sistema della Ricerca scientifica italiana, che si pone a livello delle altre potenze europee, Germania e Francia, e supera la media europea (Nature, maggio 2019) per ignorare le sue esigenze mentre nessuno, nemmeno gli addetti ai lavori, sa fino a che punto il Sistema possa reggere questo andamento virtuoso.

Di fatti, da anni non si è posto mano ad una riforma, mentre si continuano ad erigere vari poli di ricerca, senza una strategia e privilegiando aree del centro-nord. L’Università, al momento attuale, rappresenta il pilastro essenziale, e sostanzialmente unico, attraverso cui passa la ricerca scientifica. Una differenziazione tra l’Università da una parte e Centri di ricerca indipendenti, di laboratori, di think tank è una scelta presente in altri paesi, mentre in Italia, la costellazione dei Centri di ricerca si riduce al CNR e a pochi altri, pur eccellenti, Istituti, che vivono una condizione subordinata. Né la continua e roboante creazione di nuovi e costosi Poli di ricerca, che in una quindicina di anni si sono avuti, come l’ITT di Genova (2003), i SUM e IMT toscani (2005), lo Human Technopole (2016), l’ANR, come agenzia autonoma, ha modificato la situazione, anzi l’ha aggravata. Si è avuto, così, solamente la dispersione di orientamento e dei finanziamenti, già storicamente molto modesti.

In questa complessa situazione non va ignorato lo squilibrio territoriale Centro-Nord e Sud-Isole, più accentuato di quello universitario, ed inutili sono stati finora gli sforzi, in verità modesti, volti a colmarlo attraverso interventi ordinari e straordinari in termini di strutture di ricerca, di risorse e di personale. Un restyling della ricerca è estremamente necessario, perché al momento essa è un sistema ingessato, in cui, per altro, l’amministrazione burocratica assorbe, proporzionalmente, più risorse del core business del sistema stesso e così i pochi finanziamenti sono, al tempo stesso, carenti e sprecati.

Keywords: Restyling, Risorse, Tecnici
Restyling – Un’azione propulsiva ed ordinatrice per la Ricerca, innanzitutto, deve prevedere una chiara strategia di indirizzi e competenze, per cui gioverebbe una diversificazione tendenziale tra la ricerca di base e quella applicata, di sviluppo sperimentale e di ricerca precompetitiva. L’Università, specie quella pubblica, per il suo ruolo fondamentale nella trasmissione del sapere, dovrebbe orientarsi prioritariamente verso la ricerca di base. Lo stato, da parte sua, dovrà svolgere un ruolo fondamentale di indirizzo e di finanziamento, perché non si trascuri una tale ricerca, evitando la tendenza oppositiva, dettata da false esigenze economiche, col ridurre le risorse finanziarie destinate ad essa. Ciò è condizione essenziale per impedire l’impoverimento dei bacini di conoscenze scientifiche e la loro diffusione.

Va previsto, inoltre, da parte dell’Università un potenziamento dei corsi di formazione di livello post-laurea, PhDs in primis, e corsi specifici per tecnici di ricerca per rispondere in maniera appropriata alle esigenze di una presenza
qualificata di tali figure, anche per il mondo produttivo. Questa azione formativa può essere un qualificato elemento di collante tra l’area della ricerca di base universitaria e di quella applicata, dato che si è sempre più evidenziando lo stretto legame che unisce le sorti della ricerca di lungo periodo a quelle del progresso tecnologico e industriale. Quest’ultima dovrebbe essere primariamente appannaggio della costellazione italica di Enti di ricerca.

È ineludibile una razionalizzazione per competenze dei vari Enti presenti in Italia: creare massa critica con la messa in rete sotto un’unica regia dell’universo mondo della ricerca pubblica italiana, evitando le attuali ripetizioni strutture e il dispendio di preziose risorse, in un Paese che non ha grandi risorse. Si creerebbe così un sistema integrato e cooperativo, in cui le varie strutture di ricerca possano avere una visione coerente e chiara della loro
missione. Le collaborazioni private e del mondo produttivo vanno ricercate e valorizzate, i cofinanziamenti vanno agevolati, ma con verifiche puntuali sui risultati e sull’utilizzo equo dei fondi pubblici e privati. Proposte: Riordino per competenze degli Istituti di ricerca, Favorire strutture miste pubblico-private.

Risorse – La buona ricerca ha un costo elevato. Nel nostro Paese è, pertanto, necessario ed urgente primariamente aumentare significativamente i finanziamenti per essa senza ulteriori rimandi. Unitamente a ciò c’è estremo bisogno di una semplificazione burocratica per rendere rapida l’erogazione e l’utilizzo dei finanziamenti, col superamento di tante situazioni e prassi datate e farraginose, che assorbono passivamente gran parte delle stesse risorse concesse, che, invece, vanno liberate e rese produttive.

Per rendere i finanziamenti efficaci vanno ridotti drasticamente i controlli ex ante, se non verificando inizialmente la fattività e validità dei progetti. Va dato fiducia e facilità di gestione ai soggetti preposti, salvo, poi, fare, ma solo alla fine, adeguate e stringenti verifiche ex post e basare i sistemi premiali sulla validità dei risultati. Si devono proporre per i giovani ricercatori, non “gabbie di protezione”, ma meccanismi liberali, per cui il ricercatore in primis si aggiudica il finanziamento sull’originalità progetto, poi egli stesso sceglie la struttura dove eseguirlo.
Proposta: Aumento significativo dei finanziamenti, semplificazione dell’erogazioni, valorizzazione dei controlli ex-post sui risultati.

Tecnici – Il personale di ricerca viene, classicamente, suddiviso in tre categorie: ricercatori, tecnici, addetti “ad altre mansioni”. I ricercatori sono impiegati nella concezione o creazione di nuove conoscenze, prodotti, processi, metodi e sistemi. I tecnici partecipano ai progetti di ricerca svolgendo mansioni scientifiche e tecniche sotto la supervisione dei ricercatori. Pur riconoscendo che tutti e tre i ruoli sono insufficienti, la categoria dei Tecnici è veramente
minimale rispetto alle esigenze. Di fatto si dovrebbe mantenere almeno un rapporto 1/5, mentre scarseggiano decisamente. D’altro canto i pochi finanziamenti a disposizione della ricerca vengono utilizzati essenzialmente per l’assunzione dei Ricercatori, che poi dovranno adattarsi per ogni bisogna. Proposta: Aumentare i finanziamenti per il personale della Ricerca, mantenendo un rapporto tendenziale tra Ricercatori e Tecnici di 1/5. Favorire le
esternalizzazioni per le mansioni di supporto manutentivo e di altro genere.

Proponiamo per il comparto Ricerca
Un intervento ormai indifferibile di un aumento consistete dei fondi per la ricerca, a fronte di un Restyling per competenze e macro-aree dell’attività universitaria di ricerca e degli alti Centri e Poli di ricerca con una governance strategica per obiettivi e con ampia cooperazione con il Privato. Tale intervento deve considerare un deciso incremento numerico dei Tecnici.

Alfonso Barbarisi

NOTA1/Scuola: il concetto di DISTINTIVITA’
La Società della globalizzazione economica e dell’ICT (Infomation and Communication Technology) può determinare una lettura critica del sistema “tradizionale” scolastico e della strisciante descolarizzazione presente in Italia. Pertanto, sorgono alcune domande di fondo e di senso: La Scuola italiana, cosi come la conosciamo e/o la immaginiamo, ha ancora un ruolo produttivo e propositivo per una società avanzata? È ancora il luogo privilegiato per imparare ed educarsi? Se la risposta è positiva va aggiunto: Quali sono le condizioni di efficienza ed efficacia per renderla luogo di sviluppo culturale e sociale della Nazione?

A tale proposito vanno distinti due concetti: l’Educazione, che è un fenomeno umano universale ed inoppugnabile, nato con l’Homo sapiens e la Scuola, che ne è il mezzo storico, e certamente non l’unico, per raggiungere il fine educativo. La Scuola, per altro, è un fenomeno piuttosto recente nella storia moderna (certamente più recente dell’Istituzione Universitaria) ed ancora più recente nella sua accezione di Scuola pubblica.

Nella ricerca di risposte a queste domande è centrale un concetto spesse volte dimenticato: la distintività, che deve caratterizzare ciascuna singola scuola, legata precipuamente alle istanze del territorio e tesa a valorizzare e declinare, nell’accezione più genuina, parte del concetto di Autonomia. Infatti la Scuola diventa comunità educatrice per la corrispondenza diretta e compenetrata alle esigenze del territorio. È in questo modo che si realizza, sul piano dei contenuti, una sintesi tra dimensione locale, con le sue aspirazioni ed esigenze, e la dimensione culturale nazionale, europea e globale. Tutto ciò va realizzato senza competitività tra scuole, ma con sentita e convinta cooperazione tra esse e completata con una complementarietà tra la Scuola ed i vari Soggetti territoriali, che concorrono, sia nel
definire le esigenze educative, sia nel collaborare al perfezionamento del progetto formativo.

La realizzazione di una tale caratteristica va declinata con una politica pattizia incentrata su una figura dirigenziale creativa, con massimo status strategico ed amministrativo, posta a capo di una rete scolastica di macroarea, che sia sintesi tra il particolare ed il globale, tra le esigenze genitoriali e i ragazzi, tra lo Stato, le Autonomie locali, tra il tessuto produttivo locale e lo sviluppo globale, tra il presente ed il futuro.  Non ci devono essere scuole “migliori” e “peggiori”, ma distinte dalla loro vocazione educativa complementare e devono essere giudicate sulla coerenza alla propria distintività. Così, tutte la Scuole e tutti i Docenti ritroveranno la dignità della loro precipua identità ed il
loro ruolo centrale nell’educazione delle generazioni del futuro, diventando il loro progetto veramente inclusivo, punto irrinunciabile in una educazione moderna.

NOTA 2/Scuola: La Famiglia e l’Autonomia della scelta educazionale
L’importanza della Famiglia nell’educazione dei figli è una acquisizione unanime, ma la sua declinazione specifica nel Progetto formativo è ancora, almeno in Italia, molto vaga. Anche nella recente legge 107/14 vi è una disattenzione sull’argomento ed un affievolimento normativo su tale funzione e di fatti non prevede una reale partecipazione della Famiglia nel processo educativo. D’altra parte anche se da tempo, nel nostro Paese, si è passati da un concetto di “Scuola dello Stato” a quello di “Scuola della Repubblica” non si è per nulla affrontato il tema del diritto della Famiglia ad una scelta educazionale autonoma. Si è, solo, definito il quadro giuridico-costituzionale tra Scuole statali e Scuole “paritarie”, ambedue espressioni dell’educazione pubblica e i vari ruoli: dello Stato, che ha potere di programmazione, indirizzo e controllo, quello delle Regioni di legiferare e, insieme agli Enti Locali, di assolvere alla funzione organizzativa ed, infine, quello degli Istituti scolastici di erogare il servizio, nella loro autonomia e differenziazione: tutto ciò, purtroppo, è ancora un esercizio teorico. È altrettanto ovvio, che un pieno riconoscimento del diritto della scelta deve presupporre la più ampia libertà economica da parte delle famiglie, che al momento non la si intravede, ma che deve essere assicurata in un prossimo futuro.

Il piano programmatico di POLITICA INSIEME, vuole affermare, con chiarezza e decisione, la necessità di questi aspetti di interrelazione tra famiglie e sistema educativo e considera che, se attuati, farebbero fare un enorme salto di qualità al sistema educativo stesso. Pertanto va intrapreso subito un cammino rapido e progressivo per articolare virtuosamente, con modi e metodi rinnovati ed originali, la partecipazione attiva delle famiglie, in considerazione delle loro attuali specificità sociologiche, alla vita della scuola, cooperando ai processi educativi e di monitoraggio e giungere alla possibilità di scelta autonoma tra le scuole della Repubblica, attraverso forme di facilitazione economica e normativa.

Non si tratta di “privatizzare” la scuola, ma di rendere plurale l’offerta e più consapevole la scelta, nei limiti di quella educazione, basata su valori condivisi e sostenuti da tutte le persone, che vogliono pacificamente vivere, e far vivere, i propri figli in una società “civile”.

NOTA 3/Scuola: Valutazione del Merito dei Docenti (Dario Romeo)
Valutare significa dare valore, valorizzare. Di fatti il lavoro dei Docenti non viene valorizzato a dovere e di conseguenza non si considerano concrete ed adeguate gratificazioni  economiche. in una visione di riequilibrio del sistema, con macroaree e dirigenza strategica, si propone di istituire un Ente terzo per una valutazione sottratta ad ogni possibili storture soggettive. Tenendo conto, tuttavia, della complessità della funzione, che si va a valutare, i
propongono i seguenti parametri che potrebbero essere già attivati nel breve periodo ed essere punti di riferimento per l’Ente valutatore:
1. Valutazione dalle conoscenze degli alunni col ripristino del valore delle prove INVALSI.
Consente di rilevare, discernere e progettare l’intervento educativo. Al fine di evitare la
spersonalizzazione e l’eccessiva omologazione, i dati verranno raccolti in modo il più
possibile comparato a livello locale e su un arco di tempo di più anni scolastici.
2. Valutazione “dall’alto”: valore assegnato dal Dirigente. Consente una maggiore vicinanza
nell’osservazione e tempestività dell’intervento, nonché la possibilità di valorizzare le
competenze trasversali all’atto del reclutamento. La valutazione sarà espressa attraverso
evidenze tangibili e constatabili al fine di evitare l’arbitrio..
3. Valutazione “dal basso” Permette di valorizzare l’aspetto più prezioso del lavoro del
docente. quello relazionale. Tale valutazione avverrà attraverso questionari appositamente
redatti e monitorando un buon numero di classi in un sufficiente arco temporale, così da
ottenere un monitoraggio il più possibile affidabile. Tale valutazione si compone di due aree:
a. Valore attribuito dalle famiglie. Si chiederà alle famiglie di esprimere valutazioni sul lavoro
del docente attraverso un questionario.
b. Valore attribuito dagli studenti. Un ulteriore questionario verrà fornito agli alunni della
scuola secondaria.
4. Utilizzo di colloqui psicologici. Appare utile che il docente abbia, così come già avviene
per i docenti di Religione Cattolica, in alcune Diocesi, un inquadramento psicologico
periodico.

NOTA 4/SCUOLA-UNIUVERSITA’: ICT, tecnologie e inclusione (Franco Lucchesi)
Negli ultimi anni le tecnologie hanno subito un’accelerazione notevolissima sia dal punto di vista della numerosità delle applicazioni disponibili, sia dal punto di vista della loro complessità. La pandemia di Covid19 dei giorni nostri ha prodotto, poi, il più grande sforzo a livello globale di avvicinamento ed utilizzo della ICT, che non deve essere disperso in ogni caso. Le recenti necessità di “educazione a distanza” per la chiusura totale di tutto il sistema educativo, dal pre-scolastico all’Istruzione superiore, hanno e stanno fornendo una quantità straordinaria di dati esperienziali, inimmaginabili, e che hanno fatto emergere, anche, gli elementi deboli, prima latenti, nell’interazione scuola-famiglie-studenti-insegnanti.

Alla luce di questa esperienza e per la sua efficacia, il sistema di Istruzione dovrà essere protagonista, primariamente, nella costruzione e diffusione degli strumenti necessari per la valutazione e studio della fattibilità e reale utilità dell’uso di strumenti tecnologici, la conoscenza della natura e degli obiettivi reali delle tecnologie utilizzate, la valutazione dei pro e contro nell’uso delle “nuove” tecnologie per fasce di età; la valutazione e
consapevolezza delle tecnologie nei “social”, la conoscenza della origine e del funzionamento degli strumenti che vengono utilizzati (no black box).

In generale, due sono le problematiche più urgenti da risolvere:
✓ Digitalizzazione delle procedure di governo e gestione dell’Istruzione, sia a
livello locale, che centrale;
✓ Piena accessibilità agli strumenti e alle informazioni da parte di tutti, con
particolare attenzione alle difficoltà dovute alla scarsità di device disponibili,
rete internet e alla loro utilizzabilità per persone con disabilità.

Inoltre si dovrà rendere attivi subito i processi e modelli per attuare l’accessibilità/usabilità delle risorse informatiche e la conoscenza delle tecnologie assistive, nonché la formazione continua dei Docenti e delle Famiglie. Purtroppo. si è visto che non è ancora universale l’accesso alle informazioni disponibili, mentre la normativa c’è da diverso tempo. Va, inoltre, promossa la diffusione delle conoscenze per ampliare l’uso e la sperimentazione e la
validazione degli strumenti, in continuo con l’attuale utilizzo massivo. È ineludibile, poi, attivare un processo di formazione continua degli insegnanti e dei genitori, nonché dei studenti per la diffusione di tali conoscenze.

Le tecnologie vanno “personalizzate”, per massimizzare la loro efficacia e ancor di più per una persona con disabilità. La generalizzazione non solo non serve, ma è nociva ad una concreta integrazione. Vanno coinvolti nel governo del sistema, quindi, professionalità in grado di attivare tali processi e la figura, proposta in questo programma, per la Facilitazione/ammodernamento sembra essere la più adatta a svolgere tale funzione. Va in ogni caso sviluppando un Modello educativo di “apprendimento collaborativo”. Questo modello, infatti anche nell’esperienza, che si sta maturando, si è dimostrato molto efficace e particolarmente adatto al lavoro di inclusione scolastica. Infine per un sistema, di per se stesso, intrinsecamente globale, è vitale la connessione continua con le agenzie internazionali, europee e nazionali per lo sviluppo delle tematiche di inclusione e di diffusione delle buone pratiche, anche nell’ottica dello sviluppo di una visione biopsicosociale e di valorizzazione del benessere collettivo.

NOTA 5/ Scuole-Università-Ricerca: EDILIZIA
Lo stato di recettività e di manutenzione dell’edilizia scolastica e scolastica, universitaria e degli Istituti di ricerca è sotto gli occhi di tutti. Per la Scuola, in cui la popolazione studentesca si sta riducendo, la manutenzione è ineludibile ed improrogabile, per gli antri due comparti anche la necessità di nuove ed efficienti strutture è urgente. La particolare situazione pandemica e la necessità di una ripresa economica del Paese può favorire un reale e rapido
interessamento verso questa realtà di vero abbandono e di estrema pericolosità. La particolare situazione normativa per i lavori di manutenzione straordinari e di urgenza. Per cui non c’è bisogno del VIA, autorizzazioni urbanistiche, opposizioni da parte di cittadini, ecc. e, allo stesso tempo il coinvolgimento diffuso delle piccole e medie imprese, potrebbe creare un particolare e favorevole momento per affrontare questo annoso problema.

NOTA 1/Università: COMUNITA’
Uno dei valori fondanti dell’Istituto Universitario è fare comunità. Quando nel Medio evo gemmò l’Università, già dal nome si prefigurò il concetto di “universitas-comunità” di Studenti (Bologna) o di Docenti (Parigi) e, di fatti, l’Università, in Europea, è stata una delle culle del concetto di “nazione”. Tuttavia questi valori di comunione di intellettuali tenuti insieme dalla sete di conoscenze e dalla volontà di donarli ai giovani si sono man mano persi con l’andare della strutturazione dell’Istituzione. I grandi numeri dell’Università di massa (senza alcuna critica a essa) hanno contrastato l’osmosi intellettuale originaria, gli stessi istituti di Mentor o di Tutor hanno dato poco, almeno in Italia, in rapporto anche alla scarsa capacità di accoglienza, anche stanziale, dei Discenti, da parte delle Università.

Quale retaggio di questa comunione è rimasto poco: le cariche accademiche elettive e fino circa 10 anni fa,
le Facoltà, che raccoglievano, in aree omogenee, i docenti, ma si era già da tempo perso un concreto e sentito coinvolgimento dei Discenti in esse. Anche per queste, i grossi numeri hanno giocato negativamente. È stato quindi enfatizzato, dalla Riforma Gelmini (2010), il ruolo dei Dipartimenti, ma questa valida possibilità di ricreare comunità vivibili con una giusta numerosità, è stata vanificata nella loro declinazione.

In gran parte delle nostre Università, i Dipartimenti si sono fondati in base a criteri non conformi allo spirito della riforma e molto personalistici. Tuttavia è ineludibile ricostruire il senso di reciprocità insito nel concetto del
sapere, di educazione, di ricerca, ristrutturando al meglio i Dipartimenti e creando luoghi, occasioni ed interessi, per un’osmosi orizzontale, tra docenti e discenti innanzitutto, ma anche tra i docenti e tra i discenti. Ciò potrà essere frutto innanzitutto di un insegnamento orizzontale (laboratori e seminari di discussione, condivisioni di sviluppo di progetti, ecc)

NOTA 2/Università: ACCESSO
La gestione degli accessi all’Università deve tener conto che lo Stato deve facilitare il massimo accesso all’Istruzione superiore nelle sue varie accezioni dei giovani, specie in Italia che ha uno basso numero di laureati. Tuttavia l’offerta formativa dell’Università non può essere illimitata nè può essere facilmente modificata, se non a scapito della qualità della formazione. Gli accessi programmati, quindi, si impongono a fronte della vocazione universalistica dell’Istruzione universitaria. Il cd “numero chiuso”, è derivato dai grandi numeri e da due parametri: la richiesta di specifiche professionalità da parte del mercato del lavoro e la possibilità che l’Università possa fornire una adeguata formazione ad esse.

Mentre il primo elemento è dinamico e programmabile e può, pertanto, variare di anno in anno, il secondo è molto più statico, in quanto si basa sulle risorse umane, amministrative e strutturali, mezzi tecnologici e di edilizia, presenti nell’Università ed i relativi finanziamenti. A queste valutazioni va aggiunto un “sentimento sociale”, spesso poco razionale, di predilezione ora per l’una ora per l’altra professione, che turba non poco una corretta gestione degli accessi e della formazione.

Questo trinomio non è di facile gestione. Intanto, non c’è stata mai una adeguata programmazione nel nostro Paese, per cui le proiezioni dei fabbisogni sono state trascurate ed inesatte e ciò si evidenzia considerando che il numero di accessi negli anni è rimasto quasi sempre sostanzialmente invariato. Un altro grosso problema è la modalità di riduzione degli accessi. Infatti si è instaurato nell’immaginario collettivo un grosso equivoco. È opinione diffusa che il sistema dei quiz a risposta multipla, sia formulato per permettere un accesso selettivo e basato sul merito, per un grave difetto di ignoranza sia della stampa, che della politica.

Il metodo fu inventato negli ultimi anni del XIX secolo dagli Americani per ridurre e contingentare i grossi numeri dell’immigrazione. Oggi permane la ratio del sistema originario anche se fondato su domande più pertinenti al corso di laurea, che possono agevolare molto chi sia preparato, ma è scientificamente e sulla base dell’esperienza dimostrato che la selezione non è, come la si vorrebbe, direttamente proporzionale al merito.

Tuttavia, in tutte le realtà dei Paesi avanzati non c’è evidenza di altri metodi, che lo siano. Purtroppo non c’è mai stata la dovuta attenzione all’orientamento professionale, che può rendere essenziale la scelta dei giovani verso i vari corsi di laurea e ridurre di molto la pressione sociale e, quindi, politica sulle ammissioni e i relativi gli abbandoni, con doppio danno al sistema. Infine una soluzione a questa pressione di ammissione può essere una collaborazione virtuosa da parte delle Università private, che essendo molto più dinamiche e duttili potrebbero poter fare da ammortizzatori della minore dinamicità e limiti strutturali delle Università pubbliche.

NOTA 3/ Università: MEDICINA
Va chiarito che le Facoltà di Medicina devono essere, come lo sono sempre state in Italia, incardinate nelle università: il medico, che sceglie l’Università, sceglie per tutta la sua vita, non solo l’assistenza al sofferente, anche un’altra forma di donazione la trasmissione del Sapere e la sua ricerca, e si orienta verso di essa con altrettanta abnegazione e professionalità.

Le Facoltà di Medicina vanno considerate una grande risorsa e ricchezza per le Università. Va riconosciuto, per altro, la specificità del Corso di laurea, se si considera l’oggetto della sua attenzione: la salute dell’Uomo, ed è caratterizzato dalla multidisciplinarietà, dalla necessarietà del supporto assistenziale, dalla varietà e ampiezza delle skills da fornire in ben sei anni ai discenti ed, in fine, dalla particolare ricaduta sul territorio. Per tutto ciò è necessario, da parte dell’Istituzione universitaria, un grosso coinvolgimento strutturale e tecnologico con conseguente impegno economico consistente, che può creare insofferenza in altri ambiti dell’Accademia. Considerato ciò, va rivisto radicalmente il rapporto tra Facoltà di Medicina e il SSN, dove si trovano ampie risorse professionali, tecnologiche ed economiche, per la formazione in Medicina. Va pertanto intrapresa un’integrazione, anche normativa, tra Medicina universitaria, ospedaliera e del territorio, specie per la formazione post-Laurea.

Un altro aspetto specifico riguarda la missione: per i Docenti medici viene aggiunta, alle tre, quella assistenziale, anch’essa ritenuta, a giusta ragione, irrinunciabile, ma diventa un fardello oltremodo insostenibile la varietà dei compiti, tutti onerosi, richiesti a loro. Inoltre vanno considerati i rapporti giuridico-deontologici tra l’Università e i SSN, SSR e i relativi CNL, impliciti nella attività assistenziale, ma mantenuti e gestiti, da sempre, in modo ambiguo.

Un esempio di questa ambiguità è la evidente diversità di concessione di risorse da parte del potere politico alla Medicina universitaria, rispetto a quella ospedaliera. Una preferenzialità verso solo alcuni aspetti dei compiti, similmente alle proposte per tutti gli Universitari, darebbe quella necessaria agilità ai Docenti medici per esprimersi al meglio in una logica di complementarietà che va considerata anche in sede valutativa. Infine, una considerazione particolare va posta per un’ integrazione del Corso di laurea con alcune Discipline umanistiche, specie sociologiche, perché mai come nella Medicina l’aspetto biologico-scientifico non può non essere integrato con esse.

NOTA 4/Università DISCIPLINE di ”NICCHIA” (Nicola Strizzolo)
Nel reclamare l’autonomia dell’Università va richiamato il principio guida che il sapere, la ricerca e didattica (i contenuti e le modalità) devono essere liberi da interessi esterni e  dinamiche di potere. Lì dove sono entrate queste dinamiche, anche come modalità organizzative e gestionali, si sono imposte logiche darwiniane legittimate da metriche che non sono indicatori del valore culturale di una materia, ma indici economici, di gradimento e di successo di pubblico delle performance individuali dei ricercatori-docenti. Attraverso questi meccanismi i settori disciplinari “forti” dentro l’Università sono diventati sempre più forti, i “deboli”, sempre più deboli. Così stanno scomparendo discipline critiche, conoscenze storiche, concetti astratti e teorie frutto dell’ingegno umano, a volte anche, come molti diritti, frutto di lotte per la loro affermazione e riconoscimento.

Tuttavia, una volta estinti determinati insegnamenti, difficilmente potrebbero venire ripristinati, anche perché semplicemente dimenticati. Pertanto bisogna introdurre, nell’Accademia, meccanismi che impediscano la
scomparsa di discipline, diventate di nicchia, per evitare che la biodiversità disciplinare, che è una preziosa ricchezza del sapere, scompaia nell’Università. A riguardo, vanno applicati parametri storici (discipline che c’erano e sono scomparse) e scientifici (alcune discipline potrebbero essere scomparse, perché assorbite, ma, a volte, solo parzialmente, da altre), perché in un dato territorio permanga un numero minimo di insegnamenti di queste
discipline.

Un caso particolare va risolto, anche con una certa priorità: l’assenza da circa un secolo e mezzo delle Discipline Teologiche. Esse vanno reintrodotte e valorizzate per la consistente richiesta dei discenti e per una completezza dell’offerta formativa, essendo un caso unico nel Mondo Occidentale. Infine, questo recupero non potrà avvenire in maniera immediata e capillare, per la mancanza stessa di competenze che l’epurazione culturale ha prodotto, ma considerando la grande esperienza globale di smart working e e-learning che l’isolamento per COVID-19 ha prodotto, sarebbe molto valido utilizzare modalità di didattica a distanza, anche da università straniere, a beneficio di coloro, che in altre università o territori scoperti volessero studiare queste discipline, ma con riconoscimento degli esami
nel piano di studi.

Così si verrebbe ad ampliare la platea a tali discipline a salvaguardia di sopraffazione accademica e di oblio culturale. Si permetterebbe, infine, di ricostruire scuole di discipline scomparse nel nostro Paese, ma anche di avviare corsi per l’insegnamento di Discipline di avanguardia, non ancora entrati nelle nostre università.

 

Immagine utilizzata: Pixabay

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