C’è’ una radice comune che sappia dar conto dei vari “sovranismi”’ che ricorrono in Europa ed oltre, nonché del consenso ampio che ottengono? Probabilmente questa radice è un rizoma, piuttosto che una forma a fittone.
Siamo, cioè, di fronte ad un fenomeno cui concorrono più fattori, come se un apparato radicolare molto articolato, una sorta di sotterraneo “caput Medusae”, assorbisse dal terreno e fin dai suoi strati più profondi, gli umori negativi e più dissonanti che inquietano il contesto sociale e cercasse di neutralizzarli, componendoli in una qualche sintesi, che può assumere forme differenti, tra cui, appunto, quella, “sovranista”, populista ed identitaria. Neutralizzarli significa darsi ragione del loro accadere, fosse pure attribuendone la responsabilità ad un capro espiatorio o sia pure ad un complotto.

Risulta evidente come noi siamo in grado – e sia pure, in una tale occasione, su un versante negativo – di dominare gli eventi solo se riusciamo a raccoglierli nell’orizzonte di un senso compiuto. Si può azzardare l’ipotesi che, in fondo, si tratti di un processo che, sul piano collettivo, ha una certa analogia con quelle somatizzazioni d’ansia che, per lo più, sfuggono ad ogni ragionevole ipotesi etiologica eppure raggiungono talvolta un’intensità patologica, tale da intralciare decisamente il normale regime di vita della persona affetta.

Si tratta di vissuti che spesso alludono ad una predisposizione che si slatentizza quando il soggetto entra in un determinato ambiente che funge da fattore scatenante, cioè allorquando la contestualità di fattori esogeni ed endogeni accende una miscela pericolosa per l’equilibrio psico-emozionale della persona. Anche sul piano sociale, quando la condizione di precarietà, di sfuggente, indeterminata insicurezza che domina il vissuto collettivo incrocia il disorientamento spazio-temporale indotto dalla globalizzazione, aggravato dalla sovraesposizione mediatica cui siamo quotidianamente esposti, si genera un corto-circuito ansiogeno che aggrava i timori che oggettivamente incombono sulla vita di ognuno. Anche questa condizione collettiva di doloroso disagio può essere “somatizzata”, cioè trasformata nella forma di un disturbo organico e circoscritto, piuttosto che lasciata dilagare in un informe pelago d’ angoscia, che recherebbe con sé una sofferenza intima, incontenibile e minacciosa.

Vuol dire che sovranismo, nazional-populismo e relativi correlati impliciti, ad esempio la xenofobia, convengono all’economia complessiva dell’equilibrio emozionale della nostra convivenza. Ne assorbono le tensioni, i troppi turbamenti che ci investono ed, in un certo senso li sublimano, esercitando, dunque, una funzione difensiva, cosicché addirittura diventano fattori identitari del campo sociale, come della singolarità del soggetto. Tutto ciò è paradossale oppure può essere davvero così? In tal caso, siamo costretti a convivere con queste pulsioni sovraniste per un tempo ancora protratto ed indefinito.

Siamo in mezzo al guado. Abbiamo abbandonato la sponda sicura di una stagione storica sperimentata e conosciuta e dobbiamo attraversare le acque limacciose di una transizione che avviene pressoché alla cieca prima di giungere ad un nuovo approdo. Abbiamo bisogno di sentirci protetti e rassicurati e se non abbiamo di meglio ci affidiamo volentieri ad un “vitello d’oro”, ci abbandoniamo al carisma vero o presunto di un “capo” oppure ad una ideologia, cui attribuiamo quella facoltà di guida che non riscontriamo altrove e tanto meno in noi stessi. Ne consegue – e questo vale anche per l’intero corpo sociale – che ci esponiamo all’eventualità di essere facilmente manipolabili, esposti all’alea di eventi o alla suggestione di leader di fronte ai quali viene meno la nostra autonoma capacità critica ed il nostro personale giudizio. Si creano condizioni che, prima o poi, corrodono la democrazia, sfaldandone via via le stesse ragioni fondative.

Domenico Galbiati