Da circa 40 anni frequento un gruppo di meditazione in cui si parla anche di filosofia e di scienza. Uno dei partecipanti, che ho incontrato fin dagli inizi, ci ha inviato una mail:

“Cari amici,

non so se sia accaduto anche a qualcuno di voi. A me è successo che ho scoperto che non avevo nessuna voglia di scrivere in una chat. Non avevo nessuna voglia di razionalizzare, oppure di scavare i sentimenti tramite la scrittura. E’ stato (ed è tuttora) un periodo così particolare (e difficile) che mi è accaduto di desiderare soltanto i contatti umani più caldi possibili. E quindi videochiamate (purtroppo nulla di più è tuttora in gran parte possibile). Fatte salve ovviamente le relazioni familiari in casa (benedette!).

Solo calore umano, ho cercato e cerco tuttora. Solo contatti strettamente personalizzati. Di qui il mio silenzio. Cosa che non vuol dire che non vi pensi e non vi voglia bene.

Un grande, calorosissimo, abbraccio a tutti,

Lorenzo”

Così ho risposto (rendendomi conto che un po’ sarei stato contraddittorio, cioè scrivere a chi non  ha voglia di un rapporto “virtuale”. Ma da millenni ci si scrive quando non ci si può incontrare):                                                                “Caro Lorenzo, concordo! Tante volte mi dicevo: avessi due mesi per scrivere in pace, finire il terzo libro -la cui bozza è pronta per una revisione finale-, iniziare  il quarto. sulla “odierna” idea di Chiesa povera per i poveri, avendo raccolto tutto il materiale e le fonti. Invece non ho combinato quasi nulla . Al massimo qualche articolo per riviste on line. Perché anche se è faticoso una pur minima condivisione nella virtualità è pur sempre un valore.        Di fronte a 30.000 morti che cavolo volete dire? Avete visto come quasi tutti gli annunciatori TV senza la minima emozione ne parlano? Come se leggessero l’orario dei treni. E nessun pensiero espresso sul significato del morire. Si spendono emozioni solo a partire da una visione economica e non mi pare di cogliere una valorizzazione del concetto di “persona” che non sia riferito al solo ruolo di produttrice di PIL.

“Privatizzata, laicizzata e quasi resa asettica dalla medicina da decenni, la morte era sparita dal nostro immaginario collettivo: ora risorge di colpo come una realtà imprevedibile, terribilmente contagiosa e, per il momento, non dominabile dalla scienza” (Gérard Courtois, ex direttore editoriale di Le Monde).

Riflettere sulla morte, rimossa da una cultura contemporanea che fa credere alle persone di essere onnipotenti ed eterne, è comunque per me importante.

Nella nostra società occidentale tecnologica, ma non religiosa o sapienziale, il perimetro esclusivo dell’essere è nel al di qua.

Per me , visto che il tempo è una risorsa finita, ma non sappiamo la data di “scadenza”…, morire è anche sprecare il tempo che ci è dato. 

E’ morire anche il rancore (individuale o reciproco) tra le persone a causa di errori dell’uno verso l’altro. Sciupa il rapporto, unico e irripetibile -nell’infinita storia del cosmo- tra due esseri.

Penso al valore che Papa Francesco dà  al concetto di relazione, al prossimo: “Perché «tutta la Legge infatti trova la sua pienezza in un solo precetto: Amerai il tuo prossimo come te stesso» (Gal 5,14). Detto in altre parole: in mezzo alla fitta selva di precetti e prescrizioni, Gesù apre una breccia che permette di distinguere due volti, quello del Padre e quello del fratello. Non ci consegna due formule o due precetti in più. Ci consegna due volti, o meglio, uno solo, quello di Dio che si riflette in molti. Perché in ogni fratello, specialmente nel più piccolo, fragile, indifeso e bisognoso, è presente l’immagine stessa di Dio. Infatti, con gli scarti di questa umanità vulnerabile, alla fine del tempo, il Signore plasmerà la sua ultima opera d’arte. Poiché «che cosa resta, che cosa ha valore nella vita, quali ricchezze non svaniscono? Sicuramente due: il Signore e il prossimo. Queste due ricchezze non svaniscono!». (cfr.Gaudete et Exsultate, nn 60 e .61)

Quindi caro Lorenzo ti capisco a anche a me mancano i contatti strettamente personalizzati, contatti umani più caldi possibili.

In ogni incontro tra persone, ciascuna con la propria irripetibile esclusiva e originale personalità, si condividono  infatti gioie e dolori, aspettative e delusioni, successi, realizzazioni, insuccessi, sorrisi e pianti e più in generale tutti i sentimenti. Nel rapporto si crea un Noi, che unendo l’Io e il Tu li comprende e al tempo steso è un’altra persona (cfr Martin Buber). E in ogni rapporto si costituiscono un patrimonio esclusivo e una comunione. 

Poi ci sarebbe da riflettere su come affrontare l’attesa del non ancora- che ineluttabilmente sarà- della propria morte.

Oltre a impoverirci nelle relazioni la morte ci dovrebbe interrogare già in vita. Per qualcuno è utile l’incontro quotidiano con (l’idea de) la propria morte; dà angoscia, ma sembra l’unica possibilità reale per essere liberamente se stessi.

In realtà per me l’angoscia vera la prova chi ha una malattia dolorosa : per il dolore e la consapevolezza che si sta per morire. Per questo dico che è utile un incontro di consapevolezza quando si sta bene. 

Paolo VI diceva ( ma non vorrei sbagliarmi con Leonardo da Vinci) che come lieta giornata ben spesa dà lieto dormire, vita ben spesa dà lieto morire.

Il mio professore di filosofia del diritto nel suo personalissimo meditare pensa al grande corpo cosmico in cui la morte di un singolo è solo una piccola sottrazione. Cosa resta poi di lui, di me, di noi?

L’importante è vivere consapevolmente, semplicemente, pacificamente, essendo capaci di essere essenziali e benevoli.

Non posso dunque non citare…La Pira:

Ci citava spesso anche l’invito di Gesù del Vangelo di Matteo (18,15) a tornare bambini: «In verità vi dico: se non vi convertirete e non diventerete come i bambini, non entrerete nel regno dei cieli. Perciò chiunque diventerà piccolo come questo bambino, sarà il più grande nel regno dei cieli». Un invito non a regredire psicologicamente, non a non crescere, ma a sapersi mantenere puri d’animo, poveri di sovrastrutture “fasulle”. «Crescere in piccolezza», come esortava santa Teresa di Lisieux (ho scoperto che anche il cardinale Bassetti cita questa frase che amo tanto). Leopardi  espresse così questa realtà: «non vivono fino alla morte, se non quei molti che restano fanciulli tutta la vita». E con Gioacchino da Fiore La Pira affermava: «Il terzo millennio sarà l’età dei mistici, l’età degli artisti e l’età dei bambini». 

Carissimi, un abbraccio e vogliamoci bene con tutti i nostri esclusivi personali difetti e ricchezze. Tutti noi siamo persone diverse, come le stelle del cielo:Stella a stella differt in claritate, ogni stella ha la sua luce nella chiarità del firmamento. Che è veramente bello perché è fatto di questa varietà” (card. Silvano Piovanelli).

Carlo Parenti

 

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