Non siamo epidemiologi. Non disponiamo dei dati analitici esaminati dagli esperti del Cts e dal Ministero dell’istruzione. Però dopo un mese e mezzo dall’inizio delle lezioni una cosa sembra chiara, ed è confermata da tante testimonianze dirette dalle scuole: se è verosimile che il virus non si diffonde particolarmente all’interno delle aule scolastiche (anche se non si può escludere, come dimostrano recenti studi ( CLICCA QUI ) sulla propagazione tramite aerosol negli ambienti chiusi), le scuole sono comunque pesantemente toccate dalla circolazione del virus. Direttamente o indirettamente. Docenti, personale ATA, studenti, genitori. L’ambito scolastico rappresentava al 30 ottobre il 3,8% di tutti i contagi, secondo il presidente dell’Istituto Superiore di Sanità, Silvio Brusaferro. Dati in rapida crescita, purtroppo, e dati medi nazionali: ci sono zone dove la percentuale è molto più alta. Un articolo del corriere.it ( CLICCA QUI ) approfondisce il tema citando diversi studi e fonti.

In ogni scuola quotidianamente c’è un contagiato o, molto più spesso, chi è entrato in contatto con persone contagiate. Avviene sui mezzi di trasporto, a casa o altrove, dove non sono state prese tante precauzioni come a scuola. Ma la scuola ne paga le conseguenze. La prima è che sempre più frequentemente deve scattare il meccanismo di coinvolgimento dell’ATS (Agenzia per la Tutela della Salute, ex ASL), da cui le scuole dipendono completamente riguardo alle misure sanitarie da intraprendere. Solo che la reattività delle ATS è mediamente inadeguata, in alcune zone ad alto tasso di contagi è ormai gravemente deficitaria, ed è saltato ogni tracciamento. La tenuta del sistema di prevenzione e gestione delle emergenze è a rischio. E poi le assenze forzate del personale, che si vanno ad aggiungere ai vuoti di organico che ancora sussistono in molte scuole, le assenze degli studenti in quarantena o in isolamento fiduciario. Ogni giorno insomma è un bollettino di guerra al quale dover fare fronte, che sta mettendo a dura prova la resistenza dell’organizzazione scolastica, in particolare dove ci sono i picchi di contagi.

Secondo una ricerca condotta dal matematico Alberto Gandolfi, della New York University di Abu Dhabi, e pubblicata sulla rivista Physica D: Nonlinear Phenomena, “non vi sono al momento le condizioni di sicurezza sufficienti per mantenere le scuole aperte in tutto il Paese, nemmeno in modalità mista”. In base al modello matematico messo a punto dallo studioso “purtroppo la situazione al 20 ottobre 2020 è completamente compromessa. La prevalenza dei casi attivi di circa 2.5 per mille abitanti indica che l’insegnamento in presenza non è sostenibile, ma non lo è neppure una soluzione mista” osserva Gandolfi sul sito della rivista Madd Maths ( CLICCA QUI ) diretta dal matematico Roberto Natalini, del Cnr. Intanto si stima che tra 20 giorni si raggiungerà il 40% di occupazione dei posti letto negli ospedali da parte di malati Covid.

Le scuole hanno fatto di tutto per garantire un servizio sicuro, e ne va dato loro merito, ma sono i sistemi contigui (dai trasporti alle ATS) a non reggere l’urto di milioni di persone che ogni giorno vanno a scuola, per studiare, per lavorare, per accompagnare e riprendere i figli. E’ proprio quella “cintura di sanità” richiamata mesi da Tuttoscuola ( CLICCA QUI )  che doveva proteggere la scuola, che non sta funzionando. Che fare?

Prima di tutto bisogna distinguere gli interventi tra aree ad alto e basso contagio: le soluzioni non possono essere indifferenziate. Per le “zone rosse”, c’è bisogno di un “reset” per tentare una frenata alla corsa del virus e per consentire di riprendere in mano il tracciamento dei contagi. Insomma la scuola in quelle aree potrebbe fare l’ennesimo sacrificio, quello di una chiusura forzata per un breve periodo, incluse scuole dell’infanzia e primo ciclo: ma ciò ha senso solo se questo periodo venga utilizzato per recuperare il filo delle tre “T”: trasporti, tamponi e tracciamento. Un intervento concertato per fare quello che non si è fatto nei mesi estivi, mentre le scuole tra mille difficoltà si organizzavano per il distanziamento: rafforzare il sistema dei trasporti con soluzioni radicali, come l’utilizzo di pullman privati, car sharing, mezzi NCC, taxi (tutti operatori privati che per inciso sono in piena crisi: hanno necessità di essere ristorati, ma piuttosto che con contributi a fondo perduto potrebbero essere ingaggiati per rafforzare il sistema di trasporto legato alla mobilità per le scuole), etc; e poi ricorso a tamponi rapidi a tappeto; far funzionare gli ATS, incrementandone il personale o adeguandone l’operatività. Sta avvenendo questo in Campania e in Puglia, dove la chiusura delle scuole è già stata disposta? Se non lo si sta facendo, sarebbe come tamponare un’emorragia senza somministrare coagulanti. Come intervenire su un’emergenza senza una valutazione sistemica.

Che si arrivi dunque pure alla dolorosa, temporanea chiusura delle scuole nelle aree più critiche per dare tempo agli altri ecosistemi che interagiscono con esse – in buona parte indirizzati dalle Regioni – di recuperare il tempo perduto. Se, e solo se, si sistemassero queste falle che stanno mettendo a rischio il sistema di protezione organizzato dal sistema scolastico, potrebbe avere senso e prospettiva un breve stop delle lezioni a scuola, per il tempo minore possibile a sistemare le tre “T” (due settimane?). Per scongiurare una altrimenti inevitabile chiusura più lunga e drammatica.

Pubblicato su Tuttoscuola ( CLICCA QUI )

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