Come già osservato in una precedente occasione, sia la Lega, sia il Movimento 5 Stelle, in Toscana, sono scesi sotto il
5% dei consensi. Soglia dotata anche di un significato psicologico che allude alla progressiva irrilevanza dei due soggetti. Ed ammesso che la coincidenza sia appunto tale, cioè un che di casuale, è, comunque, emblematica e suggestiva una tale corrispondenza. Come se, su ambedue i versanti, il sistema politico volesse liberarsi delle tossine di quel populismo che Lega e 5Stelle rappresentano rispettivamente – in modo non esclusivo, ma eminente – nell’uno e nell’altro dei due schieramenti. Ed, a prescindere da ogni altra considerazione, non sarebbe una cattiva cosa. Se ne possono trarre alcuni insegnamenti di carattere generale che vale la pena tenere presente.
Anzitutto, il populismo, alla lunga, non paga. Non regge la sfida delle questioni vere che vanno affrontate sul presupposto di una cultura politica consolidata. Solo in questo modo è possibile un approccio sistemico alle mille e disparate tematiche che ogni giorno si rovesciano sul tavolo della politica.
Una cultura che la Lega non ha e non ha mai avuto. Nata intercettando un disagio reale, che effettivamente appesantiva le Regioni del Nord, avvertito dalle classe dirigenti locali, che inutilmente l’hanno segnalato ad un governo centrale, che, una volta istituite le Regioni, non ha mai smesso di tendere la corda del centralismo, di fatto ostacolando un reale dispiegamento di quelle potenzialità che stavano nei presupposti di un “regionalismo” virtuoso.
Senonché, la Lega ha saputo raccogliere tutto questo solo in un sentimento “rabbioso”, sprezzante nei confronti del resto del Paese, sostanzialmente seminando rancore nei confronti del Meridione, arroccandosi nella Padania, premessa alla disarticolazione dell’Italia in due tronconi, aggregandone uno al Nord europeo, attraverso l’Arco alpino, abbandonando l’altro al suo destino, all’Africa, come dicevano i leghisti, con un disprezzo, che, fin da allora, puzzava di razzismo.
La Lega dei rosari di Salvini è la stessa che – in nome della fede pagana tributata al “dio Po” – celebrava i riti propiziatori dell’ampolla d’acqua attinta, sul Monviso, alle sorgenti del grande fiume e riversata, dopo un lungo pellegrinaggio, nel mare di Venezia. Peraltro, l’ipotesi secessionista, per quanto attentamente sopita, continua a vivere nella strategia dell’ “autonomia differenziata”, versione addomesticata, secondo quanto consente il momento, del sogno originario e fondativo della Lega. Lo stesso vale, sia pure in un diverso e più tardo contesto, per un Movimento nato dai toni sguaiati e dalla volgarità, nonché dal pensiero evanescente di un Grillo, non meno animato da una carica di disprezzo, non lontano da una vera e propria forma di odio.
Il secondo insegnamento è questo: ogni forza politica, per quanto debba adattarsi al contesto dato, ben difficilmente abbandona l’impronta originaria. Succede che un partito o un movimento, sia pure divelto dal suo humus originario
e trapiantato altrove, continui a dare gli stessi frutti. E’ la ragione per cui i 5Stelle, che appartengono ad una postura populista strutturalmente di destra, sono tali e sia pure se non lo sanno ed, anzi, credono di appartenere alla sinistra.
Va detto, d’altra parte, che Lega e Movimento 5 Stelle hanno un altro tratto comune e, questo, apprezzabile. Diversamente da quel che è successo, ad esempio, in Francia, anziché scatenarla nelle piazze, hanno convogliato protesta e rabbia nelle aule del Parlamento.
E questo, va riconosciuto, non è poco. Del resto, è anche un riconoscimento di valore ed un omaggio alla storia democratica e parlamentare della Repubblica che, in pochi decenni, ha fatto scuola di virtù civiche quel tanto da non poterne più prescindere, sia pure quando la rotta vorrebbe muovere in collisione al punto fermo che rappresentano e che non va sfidato oltre, perché gli italiani vi si riconoscono.
Domenico Galbiati