E’ talmente vero – e ci sembra giusto rivendicare che su queste pagine siamo stati i primi a sostenerlo in tempi non sospetti, ben prima che intervenisse la riduzione del numero dei parlamentari – che sarebbe stata necessaria una nuova legge elettorale di tipo proporzionale che, sia pure in ritardo, l’ ha capito perfino Conte. Ma soprattutto lo dimostra quel che è successo nelle urne il 25 settembre e ciò che ne e ’ seguito, in quanto alla dialettica interna a ciascuno dei due poli, a destra ed a sinistra.

I due schieramenti formalmente persistono – a sinistra, per la verità, più virtualmente che non di fatto, dato che il cosiddetto “campo largo” non ha mai avuto forma compiuta – eppure entrambi sono del tutto sgranati e cioè disposti, al loro interno, secondo una dialettica tra le componenti di ciascuno dei due, che risponde esattamente a quel che ci saremmo attesi se si fosse votato con il metodo proporzionale per giungere poi a costruire una maggioranza di coalizione.

Siamo di fronte ad un chiarissimo – ed, in fondo, consolante – esempio di quanto davvero la politica sia geometrica. Oltre una certa soglia di sopportazione degli artifici messi in campo – e noi questa soglia l’abbiamo abbondantemente superata – la realtà dei rapporti di forza e le relazioni così come sono strutturate tra le parti in gioco, si impongono di necessità. In fondo, vuol dire che la politica, in extrema ratio, deve pur rispondere ad un criterio di verità, almeno nel senso di una obbligata rispondenza all’ordine delle cose così come oggettivamente stanno.

Ha ragione il povero Conte che, dopo aver concorso a massacrarla, oggi chiede il rispetto della rappresentanza.
Infatti prima viene la rappresentanza e poi la governabilità. Quest’ultima è funzione di una piena e chiara rappresentanza, non viceversa. Il nostro sistema politico troppo a lungo ha persistito, invece, con le leggi maggioritarie, artefici di un bipolarismo coatto, nell’errore di piegare le ragioni della rappresentanza alla governabilità.

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