Abbandonata da mezzo secolo l’Italia, il papato sembra allontanarsi anche dall’Europa, come se accompagnasse,
da Est ad Ovest, il corso del sole e si soffermasse laddove sono piu’ direttamente in gioco partite decisive per la comprensione di sé stessa che l’ umanità va esplorando e ripensando in un frangente storico che, forse, riconosce, come suoi precedenti, solo il passaggio dal mondo antico al Medioevo e dal Medioevo al Rinascimento ed all’ età moderna.
E’ come se la mano dello Spirito Santo accarezzasse il volto della Terra e ne sospingesse altrove da qui – dove stiamo noi, da “europei” veri o presunti – il baricentro dei processi di sviluppo che la stanno investendo. Ciò non toglie che siano ancora – siamo, del resto, in un mondo ormai irrevocabilmente multipolare – l’ Europa, il Mediterraneo ed il Medio Oriente, laddove, tra il Tigri e l’ Eufrate, sono nate le prime civiltà , nella Mesopotamia, da cui Abramo ha mosso i primi passi verso la Terra Promessa, a soffrire (a Gaza con gli stessi antagonisti da migliaia d’anni ) i conflitti cruenti che oscurano le speranze di cui il nostro tempo avrebbe un bisogno vitale.
Leone XIV sale alla Cattedra di Pietro (ogni Pontefice è successore di Pietro, non di chi l’ha preceduto) nel momento in cui l’
architettura delle relazioni internazionali, come le abbiamo conosciute fin qui, si è infranta e volatilizzata.
E’ tramontato l’ ordine – ammesso che fosse realmente tale – degli ultimi decenni che, dopo la guerra fredda e la deterrenza nucleare, ha comunque impedito che i tanti, spesso terribili, conflitti regionali (“la guerra a pezzi “ di Papa Francesco ) si agglutinassero in un tragico conflitto globale. Ma, soprattutto, questo è il tempo in cui stanno mutando le fonti, le ragioni e le forme del potere.
Non si tratta solo di un processo interno all’ ambito del potere politico-istituzionale come tale, cioè di quella insana competizione che sta andando in scena tra ordinamenti liberal-democratici e democrazie illiberali, le cosiddette democrature o quant’altro. Si tratta, piuttosto, dell’ irrompere fragoroso e disordinato dei nuovi poteri dell’ economia e della finanza, della comunicazione, della scienza – che pretende di avocare a sé, in esclusiva, ogni facoltà conoscitiva – e della tecnica, che letteralmente scalzano e rimuovono il potere della politica, intesa come spazio in cui ogni cittadino può rivendicare un ruolo attivo e di personale responsabilità, concorrendo criticamente al “discorso pubblico”.
Siamo di fronte ad un fenomeno che ha già percorso un buon tratto di strada e, da qualche tempo, va accelerando il passo. Ora, cosa possiamo attenderci, cosa dobbiamo essere disposti e pronti a ricevere ed accogliere dalla piu’ alta autorità morale che vi sia al mondo?
La Chiesa, intanto, con il Conclave che ha eletto Papa Leone, con la sua stessa vastissima articolazione geo-strategica, ha inviato – pur senza mischiarsi alle mene del potere politico, attenendosi con rigore alle sue dinamiche interne – un forte messaggio, che, se correttamente inteso, indica la strada. Anzitutto, l’unità e la collegialità che ha consentito di risolvere la partita in ventiquattr’ore. A dispetto di chi temeva – o forse sperava – che questo tempo slabbrato e divisivo pervadesse – altro che lo Spirito – come un infernale veleno anche l’ istituzione più antica al mondo e, nel contempo, l’ unica davvero universale, nel tempo della globalizzazione.
L’ “unita’” della Chiesa come monito, invito, paradigma, premessa ed anticipazione di quell’unità compiuta e globale della famiglia umana che da sempre e tuttora – né potrebbe essere diversamente – rappresenta non solo il traguardo escatologico, ma anche l’ obiettivo storico della Chiesa di Roma. Una Chiesa narrata, perfino con compiacimento da certi ambienti, come debole, ripiegata su di sé, per taluni agonizzante o, tutt’al più, sopravvissuta a sé stessa e, dunque, inefficace e raggrinzita, ha dato una straordinaria prova di vitalità. Ed ancora una volta – secondo un antico copione, più volte recitato nelle sua storia – ha sepolto i tanti becchini che si apprestavano a celebrarne le esequie.
L’ unità della famiglia umana, dunque: questa e non altra è la cornice in cui si pongono le migrazioni.
Peraltro, Papa Leone di tutto questo è, verrebbe da dire, un’ icona vivente ed una figura profetica. Figlio dell’America, anzi delle due Americhe, traccia una linea che ricongiunge Nord e Sud del mondo, intersecando – quasi la si volesse interrompere – quella cintura Est-Ovest in cui siamo costretti da sempre. E le sue stesse ascendenze familiari italiane, francesi e spagnole – su cui pure si è insistito in questi giorni – danno un’ immagine puntuale della sua personale figura, nel senso di cui sopra.
Eppure, tra le tante cose dette, una spicca sulle altre: la vocazione missionaria a lungo vissuta da Papa Leone. Cosa vuol dire essere oggi “missionari” del Vangelo? Significa sapere che il cristianesimo è, anche per il mondo d’ oggi, anzitutto, una “risorsa”. Vuol dire sapere che le sue stesse radici teologiche e dottrinali, culturali ed ideali, storiche e sociali sono in funzione dei fiori e dei frutti che l’albero è chiamato a dispensare.
Non si tratta di ipostatizzare una identità chiusa, ma piuttosto riconoscere che se le radici sono, in primo luogo, per i credenti , il cristianesimo come “risorsa” è per tutti, pienamente anche per i non-credenti. E forse qui sta la più bella eredità che Leone riceve da Francesco.
Domenico Galbiati