Noi apparteniamo ad un’altra specie. Così non abbiamo paura di “sciacquare i panni” di casa nostra apertamente. Crediamo nel confronto, chiaro e leale. Non abbiamo mai paura di parlarci e di confrontarci. Lo facciamo continuamente e non smetteremo certo di farlo.

Non abbiamo bisogno di usare un linguaggio criptico, circospetto, mellifluamente diplomatico, visto che ci interessiamo di certe cose solo per dovere e per passione. Non certo per raggiungere obiettivi che è nostra intenzione lasciar perseguire a chi è più giovane di noi.

Due giorni fa abbiamo pubblicato un intervento di Emilio Persichetti che, come lui ben sapeva di doversi aspettare, mi ha trovato in alcuni punti in profondo disaccordo. Pur essendo amicissimi da vecchia data, pur avendo dato vita assieme a Convergenza cristiana e, poi, a Politica Insieme, abbiamo differenti opinioni su una serie di punti: l‘atteggiamento da tenere verso la destra, la valutazione dell’operato del cardinal Ruini, sul quale, con grande rispetto, ma anche una certa chiarezza, non mi sono certo astenuto dal dire la mia ( CLICCA QUI ), e, soprattutto, l’idea di dare vita ad un “partito cattolico” cosa da me sempre considerato un concetto mai entrato nell’orizzonte del cattolicesimo democratico italiano e, soprattutto, oggi da ritenere astorico. Per certi versi, persino pericoloso da proclamare, tanti sono gli equivoci che la cosa può generare.

Avevo in animo di rispondere al caro Emilio, ma mi precede l’altro comune amico Domenico Galbiati, al quale lascio volentieri la parola, anche perché il suo pensiero assorbe e spiega benissimo il mio.

Giancarlo Infante

 

LETTERA APERTA AD EMILIO
Caro Emilio, ho letto attentamente il tuo lungo articolo che Politica Insieme ha pubblicato due giorni fa. Non lo condivido in ogni sua parte e tu lo sai, ma ho imparato a conoscerti e ad apprezzare la tua passione sincera per ciò che i cattolici – in quanto a dedizione ai valori in cui credono, a risorse di intelligenza politica e di impegno civile, a servizio al bene comune – sono ancora chiamati a mettere in campo per il nostro Paese e tanto basta.
Mi preme soffermarmi su due aspetti della tua nota.
1 – Prendo spunto, anzitutto, da una affermazione che ti ho sentito fare anche in altre occasioni ed è forse il “leit-motiv” cui si ispira anche questo tuo ultimo scritto. Auspichi un partito che “sappia rimettere Dio al giusto posto nell’ orizzonte sociale”.
Detta così sembra francamente un’impresa sovrumana, al di fuori della nostra portata e del compito proprio di un partito politico; forse perfino irriguardosa se solo osassimo immaginare che l’infinita potenza di Dio possa essere circoscritta e ricompresa dentro la dimensione misera dei nostri terreni e terrestri programmi.
La politica è importante, ma nemmeno va sopravalutata. Tutte le volte, prima e dopo la Rivoluzione Francese, che ha immaginato di forgiare l’”uomo nuovo” ha insanguinato il mondo.
Dobbiamo stare attenti a non inoltrarci su un terreno scivoloso. Fortunatamente, siamo vaccinati contro ogni forma di integrismo che altrove imperversa ed approda ad un fondamentalismo teocratico devastante. Ci sono piani inclinati su cui si può capitare quasi inavvertitamente, ma poi risultano fatali e conducono laddove uno mai avrebbe pensato di voler dirigere i propri passi. Ma penso di aver compreso lo spirito ed il senso della tua affermazione che so bene come non vada certo in tale direzione.
A noi spetta piuttosto accogliere quel monito che proruppe in Piazza San Pietro, in quel lontano autunno ‘78: “Non abbiate paura. Aprite, anzi spalancate le porte a Cristo…..”.
Quando mai ne saremmo stati capaci…l’iniziativa l’ha presa Lui. E’ entrato una volta per tutte nella storia ed è qui, puntuale, istante per istante, ad ogni appuntamento con la nostra libertà. Ci hanno insegnato, fin da quando eravamo bambini, che Dio è Amore e, dunque, è Libertà. Infatti, non si può amare senza essere liberi e non si può essere liberi senza amare. Credo valga anche per la politica che non è una vita altra, “a latere” rispetto all’intera esperienza esistenziale di ciascuno.
Ce lo ha spiegato Papa Benedetto: “Venga il tuo Regno….” non allude a chissà quale tempo escatologico, ma a questo istante, ad ogni istante perché il Regno è Lui ed è già qui. Non ha bisogno del “partito cattolico” – se mai noi, e poi ci torniamo – o di quattro paggetti che lo introducano nell’ordine della storia, recandolo su un ideale Sedia Gestatoria che perfino i suoi Vicari in terra hanno dismesso dall’uso.
Dio, continuiamo a raffigurarcelo come un vecchio saggio e canuto, ponderato e prudente. In effetti, non è così.
Anzi, ha – è  il caso di dirlo – una creatività ed una fantasia che ti spiazzano. Se non è blasfemo dirlo, ne sa una piu del diavolo ed, infatti – se possiamo osare un simile linguaggio – l’ ha preso in contropiede. Neppure il demonio deve aver mai pensato che, con una sola mossa, incarnandosi, gli avrebbe dato scacco matto. Insomna, caro Emilio, Dio non ha bisogno che gli facciamo da “mosca cocchiera”.
Tu parli di “partito cattolico”; io penso piuttosto ad una forza “di ispirazione cristiana”. Non è solo questione di lessico; a mio avviso, non intendiamo esattamente la stessa cosa, eppure non siamo lontani se entrambi sappiamo che un conto è la fede, altro la declinazione che, di volta in volta, la incarna storicamente Che pur non ne deve compromettere l’identità, cioè quella consapevolezza del fondamento che dura, persiste e rimane nel tempo, ma, nemmeno, – e penso che anche qui possiamo condividere – la deve congelare in una sorta di ipostatizzazione ideologica che, ossificandola, ne farebbe un idolo e non una cosa viva.
2 – Giustamente, poi, invochi quel “pensiero forte” cui si riferisce il nostro Manifesto e ci vuole coraggio nel tempo del “debolismo”. Non solo teorizzato, quest’ultimo,sul piano filosofico, ma coltivato, talvolta, perfino a livello scientifico, dove, non a caso, taluni sostengono, ad esempio, che la “coscienza”, poiché non si piega agli schemi naturalistici del loro presupposto mentale, neppure esisterebbe.
Dopo di che altri si spingono fino a dissolvere – altro che “pensiero forte” – la stessa soggettività dell’ “io”, riducendo la persona di ciascuno a null’altro che un irrilevante punto di transito di un flusso ininterrotto di sensazioni, idee, percezioni, emozioni, pensieri e sentimenti che scivolano via, lasciando, tutt’al più, la traccia labile di una coda sfrangiata.
Figuriamoci un soggetto collettivo quale, appunto, un partito di quale solida sostanza potrebbe essere accreditato, in un tale contesto, se non sapesse, nel contempo, interpretare e concorrere a costruire davvero un pensiero veramente forte.
“Pensiero forte” significa – o, almeno, dovrebbe – dotato di coerenza interna, dunque consistente, non contraddittorio; capace di disegnare attorno a sé un sorta di campo magnetico che lo renda attraente, disponibile ad ogni confronto, né arrogante, né arrendevole, perchè consapevole di sé eppure non totalizzante, adatto ad apprendere induttivamente dall’esperienza, fino ad elaborare via via nuovi assiomi, dunque ad arricchire progressivamente il proprio impianto cognitivo.
Un partito di “ispirazione cristiana” ha bisogno di un pensiero simile e, soprattutto, può concorrere a nutrirlo. Un pensiero che rappresenta, ad un tempo, uno strumento ed una sfida che, a maggior ragione, un partito simile puo’ vincere perche’ il fondamento sicuro su cui sorge gli garantisce la serenità e la pazienza necessarie a non smarrirsi in una quotidiana, affannosa rincorsa alla claque del momento. Senoché’ è sconfortante osservare lo scenario di insignificanza dei cattolici in politica dalla metà degli anni ‘90.
Tu richiami la “sempre lucida saggezza” del Cardinal Ruini, ma, in effetti – in quella fase e per un lungo tratto a seguire – anche parte almeno, e forse cospicua, del mondo ecclesiale ha teorizzato fosse meglio intrattenere, da istituzione ad istituzione, un rapporto diretto con il potere costituito, prescindendo dalla interpolazione dei credenti laicamente impegnati, a rischio di cadere in una sorta di imbarazzante e pericoloso neo-temporalismo.
A distanza di tanto tempo, l’intervista dello scorso anno al Corriere del Presidente della CEI dell’epoca ( CLICCA QUI ), induce a chiedersi se quell’ orientamento derivasse da una legittima opzione di metodo oppure da una condizione obbligata di cui si doveva solo prendere atto a fronte della diaspora dei cattolici o piuttosto ancora da una valutazione di merito e di opportunità politica assunta presumendo che l’irruzione del “liberalismo” berlusconiano non pregiudizialmente avverso alla Chiesa potesse stabilizzare il quadro politico istituzionale.
Ad oggi, in ogni caso, dobbiamo riprendere il cammino sapendo che, a maggior ragione in un contesto culturale plurale come il nostro, la consapevolezza di sé- insomma la forza intrinseca – di un movimento lo spinge ad uscire – mantenendo rigorosamente la propria specifica identità – dalla propria cinta muraria per fecondate terreni più vasti, “periferie” che forse, più o meno consapevolmente, attendono anche da noi qualche ispirazione e qualche linfa.
Temo che – è  un’indicazione della psicologia che forse, per analogia, dalle persone singole può essere traslata anche a soggetti collettivi – che immagina di chiudersi in una identità rocciosa che rischia di confondere l’immutabile piano dogmatico della fede con la persistenza delle forme culturali in cui, via via, si incarna storicamente, rischia di denunciare, al di là dell’apparenza stentorea, un dato di debolezza e non di forza.
Insomma, non abbiamo bisogno di un partito di cattolici, che parli ai cattolici in nome di interessi cattolici, morali o materiali che sino, ma piuttosto di una forza in grado di dar conto di quanto la visione cristiana dell’uomo, della vita e della storia sia ricca e fertile anche per chi fa riferimento a cultura diverse dalla nostra.
Domenico Galbiati

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