In questi giorni siamo drammaticamente sporti sull’abisso della guerra e di una guerra potenzialmente devastante per tutto il continente europeo, una evenienza che dalla fine della Seconda guerra mondiale non si era proposta con una simile immediatezza. Speriamo che le preghiere al Signore della pace che da tante parti si sono alzate fermino l’escalation del conflitto, ma le basi per una pace sono in ogni caso ancora lontane.

Di fronte alla tragicità della prospettiva che sembra oggi aprirsi occorre prima di tutto alzare lo sguardo verso l’ideale, verso l’Europa che vorremmo. Che non vuol dire un ideale fantasioso e velleitario, ma una prospettiva deontologica che affonda le sue radici nelle reali potenzialità del continente europeo. “Europa diventa quello che veramente sei” cioè sii all’altezza delle tue tradizioni di civiltà e delle tue potenzialità, è stato l’accorato appello ripetuto con forza almeno dagli ultimi tre papi. Contro il parere dei cinici, gli ideali seri hanno un ruolo fondamentale nella vita degli uomini: sono il richiamo alle potenzialità non espresse dall’umanità e la spinta a mettersi in cammino verso l’alto. Questo non esclude affatto che poi i passi verso l’alto debbano essere graduali e guidati da una realistica valutazione di quello che concretamente è possibile.

La drammatica situazione di oggi richiede dunque di partire da qualche sintetica riflessione sull’Europa che vorremmo. Un’Europa che, come disse con piena cognizione di causa S. Giovanni Paolo II, deve respirare con tutti e due i suoi “polmoni”, quello della tradizione spirituale occidentale e quello della tradizione orientale. Tradizioni diverse e nel tempo divise, ma che se ricondotte sulla strada del dialogo sarebbero capaci di potenziarsi a vicenda. Dunque una Europa che non si chiude (se non come extrema ratio difensiva in situazioni contingenti) nella sua propaggine occidentale, ma ricomprende tutta la sua parte orientale e anche la Russia integrandola in un quadro comune.  Una Europa che sa riconoscere tutta la ricchezza della varietà di itinerari di civilizzazione che l’hanno animata, ma anche le basi comuni sottostanti ad essi che consentono di intessere un dialogo positivo.  Un’Europa che è ben conscia delle sue grandi risorse economiche e produttive e quindi anche dell’importanza di un grande spazio aperto di mercato, ma capisce che la costruzione della pace non può poggiarsi unicamente su questa pur rilevante realtà ma deve trovare le sue basi in una intelligente articolazione di rapporti e istituzioni politiche includenti e non escludenti. E, aggiungiamo ancora, un’Europa che non si immagina come una oasi di benessere protetta da muri economici e politici rispetto al disordine e al caos delle aree mondiali confinanti (Africa, Medio Oriente…), ma si assume le responsabilità della solidarietà con i pezzi di umanità che soffrono l’indigenza, la guerra, il degrado sociale ed è conscia che la solidarietà sarà arricchente anche per lei.

Questo ideale esigente deve essere già oggi la guida dell’azione politica concreta che si deve dispiegare partendo dalle realtà politiche ed economiche esistenti nella misura in cui hanno anticipato seppur in maniera limitata elementi dell’ideale e sono aperte a ulteriori trasformazioni. La pacifica convergenza di stati che ha prodotto l’Unione Europea, pur con tutti i suoi limiti, va certamente in questa direzione. La vicenda drammatica di queste settimane, che speriamo non sfoci nel disastro, suona però un campanello di allarme per l’Unione  Questo assetto, con tutti i suoi meriti che non dobbiamo mai dimenticare, e che ha fatto dell’Unione una potenza economica e commerciale di statura mondiale, è però parziale per almeno due ordini di motivi e dunque ancora insufficiente per rispondere alle gravi questioni della pace europeo. In primo luogo perché rimane troppo centrato sul tema dell’unione economica e monetaria, certo di grande importanza ai fini del benessere materiale collettivo ma insufficiente per creare una forte coesione interna. In secondo luogo perché nella UE la dimensione della politica estera e di sicurezza rimane nettamente sottodimensionata rispetto all’attenzione quasi ossessiva alla stabilità finanziaria.

Alla UE mancano oggi gli strumenti indispensabili per affrontare seriamente la questione degli equilibri europei senza i quali una pace stabile è impossibile. Direi addirittura che le manca la capacità di pensare seriamente il tema della pace in Europa. Questo richiede infatti di cogliere fino in fondo la portata della questione Russia, questione che è eminentemente politica prima che economica. Qui occorre essere consci che la Russia, uscita politicamente ed economicamente a pezzi dal crollo dell’Unione Sovietica e con perdite territoriali e di influenza esterna molto rilevanti, si presenta oggi dopo la riacquistata stabilità interna (seppur pagata a prezzo della democrazia) sotto la leadership di Putin come un paese “revisionista”, cioè che si pone in posizione di contestazione dello status quo che ritiene a lei sfavorevole. Se in questa posizione ci sono anche elementi legittimi (anche la Russia ha diritto alla sicurezza, a essere parte del concerto europeo e a che le popolazioni russofone rimaste al suo esterno siano rispettate), altri sono invece palesemente illegittimi e soprattutto pericolosi perché incoraggiano la leadership russa ad usare azioni di forza nei confronti di territori diventati indipendenti (e che aspirano legittimamente a difendere questa condizione). La contestazione o addirittura l’eversione armata delle frontiere è certamente un elemento di grave minaccia per la costruzione di un ordine pacifico europeo.

Questi caratteri della Russia sotto l’attuale leadership putiniana richiedono da parte dell’Unione europea non certo di rinunciare alla dimensione della cooperazione economica ma di non cullarsi nell’idea che questa da sola sia capace di ricondurre la Russia dentro l’alveo di un indirizzo più pacifico. E’ invece assolutamente necessario che l’Unione Europea, pur continuando ad appoggiarsi allo scudo strategico americano senza il quale la sua inferiorità militare resta troppo vasta, acquisti però la capacità di trattare politicamente con la Russia, conscia del fatto che la pace in Europa è una sua precipua responsabilità prima ancora che degli Stati Uniti.  E poiché il divario di potenza tra la Russia e i singoli paesi europei è evidente, è assolutamente necessario che l’Unione sappia operare con unità di intenti e non in ordine sparso per non alimentare la tentazione russa del divide et impera. Trattare politicamente con la Russia nell’ottica di una vera partnership per la pace significa anche distinguere tra gli interessi legittimi di questa e tali da poter essere canalizzati in un assetto pacifico europeo e invece le pretese non legittime. In primo luogo significa porre come precondizione la garanzia della inviolabilità degli attuali assetti statali. Solo su questa base si possono mettere da parte le legittime richieste di alcuni paesi ex sovietici e in particolare dell’Ucraina di entrare nel sistema di sicurezza Nato per proteggersi da eventuali rivendicazioni territoriali russe. E’ all’interno di un ben chiaro quadro politico che poi anche l’arma della cooperazione economica della quale l’Unione Europea ampiamente dispone potrà servire per consolidare un orizzonte di pace che includa e non escluda anche la Russia.

Se la crisi attuale avrà uno sbocco pacifico, speranza che non ci deve abbandonare anche in questi giorni drammatici, se ne dovranno trarre importanti lezioni per avanzare sul cammino dell’Europa che vorremmo. Si vis pacem para pacem.

Maurizio Cotta

 

 

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