Il quadro politico del nostro Paese è del tutto “disallineato” rispetto a quello europeo e la cosa non ci giova.

Lo si evince chiaramente dalle due votazioni – cosiddetto “riarmo” e sostegno all’ Ucraina – della scorsa settimana a Strasburgo.

Il nostro è dominato da una polarizzazione centrifuga che, via via, estremizza più di quanto già non sia determinato dalle rispettive posizioni contrapposte.  Lo spazio del “discorso pubblico” e di una franca dialettica tra le parti viene, pertanto, disertificato, con le conseguenze che conosciamo.

Questo è talmente vero che le rime di frattura e le tensioni che non possono mai mancare in un contesto comunque democratico, si trasferiscono all’interno di ciascuno dei due schieramenti ed è lì che migra quel tanto di dialettica che non può mancare in un sistema aperto.

Eppure, se provassimo a descrivere graficamente – ed in modo assolutamente stringato – il nostro sistema politico, basterebbe tracciare su un foglio da cima a fondo una linea ininterrotta di demarcazione tra due campi, uno a destra, l’altro a sinistra. Se a questa scarna rappresentazione aggiungessimo, con un tratto di penna più sottile, la grafica delle linee di scomposizione che sono apparse nell’uno e nell’altro dei due campi, constateremmo che, nei pressi della linea centrale di demarcazione di cui sopra, si affacciano, frontalmente, settori di ambedue i poli che, in una qualche misura, alludono ad addensarsi l’uno sull’altro. Come se obbedissero ad un “attrattore” comune – uno schietto europeismo, anzitutto – che riordina e ricompone in un nuovo e diverso ordine, un quadro scomposto e tendenzialmente caotico. Quasi evocando una dislocazione di prossimità non dissimile da ciò che avviene nella maggioranza che si è formata nel Parlamento Europeo. Marcando, se mai, una maggior distanza da altri pezzi del rispettivo schieramento.

Questo, a sinistra, è avvenuto addirittura all’interno di uno stesso partito, il PD. Il che mostra come la sollecitazione che spinge verso un possibile allineamento virtuoso, non meramente mimetico, al modello europeo di coalizione è decisamente forte.

È possibile immaginare che la pluralità delle forze, più o meno minute e di varia natura associativa, che, da tempo, almanaccano in astratto di “centro”, coltivino una più alta ambizione e, concordemente, richiamino le forze disponibili a creare una “coalizione liberal-democratica, popolare e sociale”, che rappresenti un’ alternativa credibile all’ attuale maggioranza di destra?  Perché , piuttosto che aspirare ad interporsi tra le due ali dello schieramento bipolare, come terzo incomodo di un sistema ormai consunto, non osano proporsi come quel “baricentro” del sistema che, anziché essere “agito” dall’uno o dall’altro dei poli, si propone, anzitutto sul piano programmatico, come soggetto forte?

Certo si tratta di immaginare un percorso arduo che interpella, da una parte, quel che resta dell’originaria impronta liberal-democratica di Forza Italia e, sull’altro versante, quel che resta dell’autentica vocazione popolare dei cattolici-democratici e di una sinistra moderna, non massimalista, memore, appunto, anch’essa del suo costitutivo radicamento popolare, lontana dalla rincorsa elitaria a temi che appartengono, piuttosto, ad una cultura radicaleggiante? Mera utopia e vana speranza? O piuttosto inutile perorazione se qualcuno ha di meglio da contrapporre alle destre che oggi governano?

Domenico Galbiati

About Author