La guerra che si prolunga, con l’utilizzo massiccio di armi convenzionali, con le distruzioni e le perdite di civili, pone anche all’uomo della strada un interrogativo: siamo attrezzati in Europa per scongiurare il rischio della estensione dei conflitti? Ognuno sembra voler agire da solo, a cominciare da Germania e Francia, che hanno deciso di stanziare grandi risorse per la difesa. Negli ultimi sessant’anni questo interesse non è stato certo prevalente.
L’appartenenza all’Alleanza atlantica ci aveva abituati a delegare la difesa ad altri, in particolare allo strapotere militare, industriale e tecnologico americano. E’ noto che persino Berlinguer ebbe a dichiarare, nei lontani anni settanta, che in clima di guerra fredda tra i due blocchi “si sentiva più sicuro stando sotto “l’ombrello della Nato” e lo disse non certo per filo atlantismo, ma per intelligente realismo.
L’Alleanza c’è ancora ed anzi si è rafforzata sino a comprendere trenta paesi occidentali e presto si estenderà a tutti quelli baltici, raddoppiando la lunghezza dei suoi confini a Oriente. Ogni paese ha il suo esercito e si consultano, assumono decisioni comuni e svolgono manovre congiunte, una delle quali è imminente per dimensioni mai viste per impiego di uomini e mezzi. Ed è già qualcosa. Ma il mondo sta cambiando rapidamente: è sufficiente coordinarsi ed avere fede negli impegni per il senso comune dei cittadini di Europa?
Siamo protetti dalla super potenza americana e, pur disponendo insieme di capacità industriale e tecnologica della difesa tra le più avanzate del mondo, si deve constatare che l’Europa intesa come Unione non c’è anche in tema Difesa. Ci sono i singoli paesi e, ben oltre la volontà politica, la realtà rappresenta una frammentazione che non consente d’immaginare in tempi brevi una forma di esercito europeo.
E così avviene per il sistema bancario, che non ha ancora completato il disegno unitario; per il fisco dove ognuno va da solo ritenendolo uno strumento specifico per la propria politica economica; per il tesoro e la gestione delle risorse finanziarie; per la gestione delle più importanti vie di comunicazione; per le reti i sistemi di strutture sanitarie e di ricerca; per l’utilizzo dello spazio (che la guerra in corso sta dimostrando decisivo) per l’intelligence poiché ancora non ve ne è una europea.
L’Europa ha un mercato e una moneta in comune. Punto. Per tutto il resto ci sono direttive, indirizzi, regolamenti, comunicazioni, disposizioni, circolari, orientamenti. C’è la volontà espressa, vera o declamata, dei governi e questo non è certo irrilevante. Ma non basta per esprimere strategie e capacità di azione al confronto delle potenze che dominano il pianeta: Stati Uniti, Cina e con qualche velleità anche in Russia.
Per non parlare delle potenze minori, sotto il profilo geopolitico, che controllano le materie prime critiche, da quelle energetiche ai minerali. Eppure non dovrebbe essere difficile cercare di definire obiettivi strategici europei comuni.
Anche su sollecitazione italiana, ai tempi del governo Draghi, la Commissione Europea ha avviato normative e previsto interventi finanziari per la transizione ambientale ed energetica con una serie di obiettivi che vanno dal raggiungimento della normalità climatica, all’approvvigionamento di energia pulita. A sostegno di questi obiettivi si prevede di destinare il trenta per cento dei fondi europei per ambiente, clima, biodiversità, rifiuti, acqua. Ma anche in questo caso, per ora, è poco più di una aspirazione quella espressa, sia pure seguita da alcuni interventi effettivi. Non è facile operare congiuntamente in questo settore dove sono in gioco interessi enormi, come dimostra la vicenda dei motori tradizionali dell’auto dei quali prima si è annunciata la fine a tempo e poi si è ritirato il pronunciamento che fissava il termine.
E’ tempo quindi, ammesso che non sia troppo tardi, di passare ai fatti per la Difesa comune europea, complessa sin che si vuole, ma pur sempre necessaria. Un processo che rientra a pieno titolo nella costruzione dell’Unione.
Guido Puccio