Una politica di promozione e favore verso il cd Terzo Settore oggi potrebbe trovare un consenso ampio. Al Terzo Settore si accompagna un’idea di “merito sociale”, e si unisce l’aspettativa di un ruolo incisivo nella soddisfazione di bisogni sociali oggi insoddisfatti (e per i quali non sono in vista altre soluzioni adeguate), nello sviluppo economico con attenzione integrale alla persona, nella coesione sociale, nella coltivazione di capitale sociale che darà frutto in vari campi.
Tuttavia per fissare gli obiettivi e per mettere a fuoco i contenuti – proposte e azioni – di una politica per il Terzo Settore, è indispensabile, preliminarmente, verificare di averne una conoscenza sufficiente e, per così dire, prendere le misure a questo fenomeno così rilevante e ancora insufficientemente valorizzato. Non mi riferisco qui alle politiche già definite. Dobbiamo certamente completare l’attuazione della legge 106 del 2016 (alla quale mancano ormai pochi ma decisivi compimenti attuativi, la disciplina fiscale agevolata e la vigilanza). Dobbiamo accogliere lo spirito della recente sentenza della Corte costituzionale e farlo senza tentazioni restrittive, ma anzi con slancio costruttivo.
Bisogna però guardare oltre. In fondo la legge risale a cinque anni fa, che non sono molti, ma è anteriore alla Pandemia e alla crisi economica e sociale conseguente. È anche anteriore all’eccezionale esperienza collettiva della vaccinazione degli adulti (con la vaccinazione infantile abbiano ormai antica confidenza). È anche anteriore al PNRR. Insomma appartiene a una stagione non remota, ma superata.
Oggi i bisogni si sono acuiti, le aspettative sono cresciute, e anche il ruolo del Terzo Settore è più riconosciuto.
Dobbiamo spostarci sullo spirito di oggi: una ripresa che non sia solo congiunturale (il rimbalzo e i benefici di una spesa pubblica più generosa), ma innesti su questa spinta una trasformazione strutturale e un’accelerazione duratura del nostro sviluppo per non ricadere più negli anni inerti che abbiamo alle spalle. Dunque bene la legge, per rendicontarne l’attuazione completa e monitorarne gli impatti. Bene i completamenti – fascicolo fiscale a Bruxelles e Registro Unico operativo entro l’anno – che il Ministro del Lavoro ha confermato imminenti intervenendo alle Giornate di Bertinoro in questi giorni (e speriamo che sia la volta buona davvero). Bene potenziare nell’attuazione del PNRR gli effetti sui Terzo Settore. Ma guardando oltre.
Condiziona questa riflessione il fatto che il Terzo Settore sia individuato per differenza, dopo due settori che lo precedono (ma davvero è il terzogenito? Il cadetto?). Pesa la difficoltà (o a volte la rinuncia) a formularne l’identità in positivo (di recente in un testo di Stefano Zamagni ritrovavo la formula OMI, organizzazioni a motivazioni ideali). Eppure questa difficile ricerca va rilanciata (è imminente la pubblicazione del Piano di azione per l’economia sociale della Commissione europea. In Europa alcuni parlano di economia sociale e solidale. E l’economia civile? Sono sinonimi o sono realtà differenti, ma con parziali sovrapposizioni?).
Un carattere del Terzo Settore è, oltre alla eterogeneità delle diverse componenti specifiche (cooperative sociali, Associazioni di promozione sociale, organismi di volontaria, ONG, consumatori e utenti, realtà dello sport e dell’assistenza …. ), anche una asimmetria dagli indicatori. Mi avvalgo di dati  pubblicati il 15 ottobre sul portale ISTAT (Struttura e profili del settore non profit – anno 2019). Se infatti si contano gli enti (362.634) la stragrande maggioranza di essi (l’85%) è composta di associazioni riconosciute e non riconosciute. Se si pesano, per esempio riguardo agli occupati (complessivamente 861.919), la maggioranza (il 53,1% dei dipendenti) è delle cooperative sociali (che sono il 4,3% degli enti). D’altra parte l’85% degli enti non profit non ha dipendenti. Per settori di attività è primo lo sport con circa un terzo degli enti.
Un’analisi più approfondita, incrociando attività prevalenti, forme giuridiche e così via, può essere fatta e va fatta. Ma sarebbe sbagliato scegliere solo alcuni indicatori o stabilirne una gerarchia (ideologica? per interessi?). Ci sono ruoli che hanno importanza diversa, che danno un contributo economico, sociale, civile, in campi diversi, ma forse non maggiore o minore. Questa consapevolezza consente di condividere un cammino a realtà così differenziate.
Da un lato dunque occorrerà valutare lo stato degli ordinamenti speciali e delle condizioni di sviluppo realtà per realtà. Volontariato, aps, cooperative sociali, fondazioni hanno specifiche leggi. Solo cominciando dall’ascolto degli interessati si può arrivare a valutare quali interventi di innovazione o di semplice manutenzione siano eventualmente necessari.
Ma soprattutto per il futuro del Terzo Settore, finché lo denomineremo così, la vera politica da fare è una politica di espansione effettiva della sussidiarietà circolare. Questo sarà un vero motore dello sviluppo integrale dell’Italia, mobilitare tutte le energie della società civile. Liberare la sussidiarietà, slegare il Terzo Settore  è un compito decisivo, del quale però ancora pochi sono davvero consapevoli. Per occorre anche conoscere meglio gli attori del Terzo Settore.
Vincenzo Mannino

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