Il Novecento è stato il secolo delle guerre fratricide, dei totalitarismi e dello sterminio degli ebrei. In nome del nazionalismo, l’Europa ha conosciuto tragedie immani, con oltre 50 milioni di morti tra la prima e la seconda guerra mondiale. Fu proprio per evitare il ripetersi di questi orrori che, nel pieno del conflitto, un gruppo di intellettuali socialisti e antifascisti redasse il Manifesto di Ventotene, il primo vero appello per un’Europa unita e libera dagli egoismi nazionali. Tuttavia, a trasformare quell’ideale in realtà furono, nel secondo dopoguerra, grandi statisti di ispirazione democratico-cristiana: Alcide De Gasperi, Konrad Adenauer e Robert Schuman.

La costruzione europea non fu per niente un processo scontato. Al contrario, fu osteggiata sin dall’inizio. Durante la guerra fredda, i comunisti e i post-fascisti si opposero alla nascita della Comunità Economica Europea, considerandola uno strumento del blocco occidentale. Il primo nucleo dell’Europa unita fu così ristretto a pochi paesi: Italia, Francia, Germania Ovest, Belgio, Paesi Bassi e Lussemburgo. Fu un percorso difficile, ma portò a risultati concreti: dalla creazione della CECA alla nascita della CEE, fino all’Unione Europea e all’introduzione della moneta unica.

Oggi, però, la storia sembra ripetersi. L’Europa si trova di fronte a una nuova sfida epocale, segnata da due fattori determinanti: l’aggressione russa all’Ucraina e il mutato atteggiamento degli Stati Uniti nei confronti del Vecchio Continente. La guerra scatenata da Mosca ha riportato sul suolo europeo il dramma di un conflitto di conquista, con la Russia che cerca di ricostruire la propria sfera d’influenza come ai tempi della Cortina di Ferro. Allo stesso tempo, il ritorno di Donald Trump alla Casa Bianca sta mettendo in discussione la storica alleanza transatlantica: la minaccia di un disimpegno dalla NATO e l’idea di una guerra commerciale contro l’Europa impongono una riflessione profonda sul futuro del nostro vecchio continente.

Sovranisti e detrattori dell’Europa unita                                                                                                                 

Se il contesto è cambiato, non è cambiato il fronte di chi si oppone a un rafforzamento dell’Unione Europea. Oggi, i principali ostacoli non vengono più dai vecchi comunisti o post-fascisti, ma dai nuovi partiti sovranisti e di estrema destra, che usano una retorica ambigua sull’Europa. In pubblico, dichiarano di volerla riformare. Ma in realtà lavorano per indebolirla dall’interno, ostacolando ogni tentativo di maggiore integrazione. Il loro atteggiamento è spesso opportunistico: molti di questi partiti hanno legami con la Russia di Putin, adottano posizioni filo-Trump e vedono nell’Unione Europea un ostacolo alla loro visione nazionalista. Non vogliono un’Europa forte, indipendente e sovrana, ma un’Europa frammentata, priva di una politica estera comune, di una difesa integrata e di un’identità politica solida. Oggi, più che mai, l’Europa ha bisogno di compiere il passo decisivo verso l’unità. L’integrazione monetaria non basta più: serve una vera unione politica, fiscale, commerciale e soprattutto militare. Senza un’Europa capace di difendersi da sola e di negoziare da pari a pari con le altre potenze globali, il rischio è quello di un continente marginale e soprattutto dipendente dalle scelte altrui.

Tornare alle origini per costruire il futuro

Se l’Europa deve fare questo salto di qualità, è necessario chiarire chi è disposto a sostenerla e chi invece lavora per distruggerla. Non possiamo permettere che siano i nuovi sovranisti, spesso in combutta con Mosca o con Washington, a decidere il destino dell’Unione. Forse è arrivato il momento di tornare al nucleo originario dell’Europa unita, coinvolgendo prima di tutto quei paesi che hanno realmente creduto nel progetto europeo.

L’Eurozona, che oggi rappresenta il cuore dell’Unione Europea, potrebbe essere il punto di partenza per una nuova fase di integrazione più avanzata. Germania, Francia, Italia, Belgio Olanda e Lussemburgo – il nucleo originario cui auguriamo quanto prima  possa riaggregarsi la Gran Bretagna – hanno il dovere storico di rilanciare l’Unione. La scelta, ormai, è chiara: o l’Europa diventa una vera potenza politica ed economica, o si disgrega sotto il peso dei nazionalismi e delle divisioni interne. Nel 1957 furono pochi paesi a costruire la CEE; oggi quegli stessi paesi devono essere il motore di una nuova Europa, più forte, più unita, più capace di difendere la propria libertà. Il tempo delle ambiguità è finito. Chi vuole veramente un’Europa sovrana deve dimostrarlo con i fatti, e non più con le parole o con ambigui e inutili proclami.

Michele Rutigliano

About Author