Circa un mese fa, il 27 gennaio, la Commissione europea ha pubblicato un libro verde sull’invecchiamento demografico – COM (2021) 50 final – un documento rivolto ad avviare un dibattito generale mediante una consultazione pubblica aperta a tutti per dodici settimane (il documento contiene anche le indicazioni per partecipare alla consultazione).
La demografia, peraltro, è tra le priorità della Commissione Von del Leyen.
L’invecchiamento demografico, ricordo schematicamente, è qui l’effetto combinato di due fenomeni: la longevità che si prolunga, la natalità che si riduce. L’Europa infatti è il continente con l’età media della popolazione più elevata (mentre il continente nostro vicino a Sud, l’Africa, è il continente con la popolazione più giovane).
Può stupire che la UE si occupi di temi dei quali neanche noi abbiamo coscienza adeguata. Ma la Commissione richiama il precedente del Pilastro sociale dei diritti sociali (2017), i cui principii attengono anche ai settori interessati dall’invecchiamento. Afferma che dal suo osservatorio, che coglie tendenze complessive, può fornire indicazioni e supporto all’azione degli Stati membri.
Nel Libro verde individuo alcuni elementi, spesso poco presenti nel dibattito italiano, e che potrebbe essere utile importare, o già presenti, ma sui quali si dovrebbe rilanciare una maggiore attenzione (sebbene è da verificare che il nuovo Governo possa occuparsi anche di questa tra le molte sfide).
Un primo elemento è che il Libro verde prende in considerazione l’intero arco della vita, perché l’invecchiamento attivo e in buona salute (e in esso l’apprendimento permanente) implica stili di vita personali e sociali fin dalla giovane età.
Un secondo elemento, presente (ma soprattutto a parole) anche in Italia, è la centralità della istruzione e della formazione degli adulti, per “migliorare l’occupabilita’ in un mondo del lavoro in continuo mutamento” (ad esempio la nostra posizione nelle competenze digitali è un punto debole noto, tra quelli a cui dovremo porre riparo con NGEU).
Un terzo elemento riguarda come fronteggiare il progressivo calo della popolazione in età lavorativa. Ed ecco la strategia finora difficile per noi: allungare l’età lavorativa, inserire più persone nel mercato del lavoro (le donne in primis), migliorare la produttività. Ma anche valorizzare la migrazione legale e in generale integrare meglio le persone provenienti da un contesto migratorio.
Per prolungare la vita lavorativa si richiamano buone condizioni di lavoro, per proteggere la salute dei lavoratori in tutte le età e ridurre i tassi di pensionamento.
È in questo ambito che viene introdotto un quarto elemento estraneo al dibattito italiano. “L’imprenditorialità degli anziani può prolungare la vita lavorativa, ridurre la disoccupazione in età avanzata, migliorare l’inclusione sociale dei più anziani e promuovere l’innovazione attraverso le start-up”. Da noi spesso le politiche per la creazione di impresa escludono chi è abbastanza adulto da riuscirci. E quando la politica pensa all’invecchiamento attivo, con certe proposte di legge a lunga giacenza di legislatura in legislatura, evoca più una sorta di volontariato socialmente utile, che capacità produttiva ed effettivo ruolo sociale.
L’economia di argento – la Silver Economy, quinto elemento – può essere un terreno importante di crescita in una società a composizione così mutata. Questo fenomeno in Italia non è assente, perché il mercato segue le sue strade. Ma farne una politica potrebbe aggiungere un motore alla ripresa.
Altre questioni sono presenti nel nostro dibattito: la digitalizzazione degli anziani, l’adattamento della previdenza alle aspettative di vita, la sanità e l’assistenza a lungo termine (con le nuove forme alle quali ci hanno richiamato i limiti del sistema sanitario emersi nella gestione della Pandemia).
Sebbene spesso in Italia si richiami la maggiore forza economica degli anziani che sostengono economicamente i giovani, non mi sembra fuor di luogo la segnalazione della poverta degli anziani, che prendo come sesto elemento. Sappiamo bene quante sono le pensioni che corrispondono a una esigenza di aiuto e non alla capacità di aiutare.
Infine (infine per questa occasione, perché gli spunti del Libro verde vanno oltre) il tema della proiezione della età lavorativa massima necessaria per mantenere costante la popolazione in età lavorativa va ben meditato. Da noi italiani infatti talora vige una sorta di divorzio tra la politica e la realtà, come se qualcuno non intendesse assolutamente rinunciare ad essere contemporaneamente ubriaco ma con la bottiglia piena, parafrasando un antico proverbio.
Il Libro verde segnala che, dato l’andamento demografico, per mantenere costante al 2040 la popolazione che lavora,
occorrerebbe portare la pensione, in alcune regioni di Europa, anche sensibilmente sopra i 70 anni.
Le conclusioni cui pervenire – e un Libro verde è solo un punto di partenza – possono essere anche ben diverse da quelle ventilate. Ma non solo per le aziende è utile il benchmarking. Anche nel campo delle politiche economiche e sociali è necessario osservarsi in mezzo agli altri, misurarsi sulla realtà effettiva. Sapere quali problemi sono comuni a tutti, in cosa si sta meglio e in cosa si sta peggio. Su che cosa la responsabilità impone di aprire gli occhi, di provvedere. Esercizio nel quale la politica italiana ha larghi margini di miglioramento.
Vincenzo Mannino