Il Governo Draghi è diviso tra due tempi: da un lato ha davanti a se, al massimo, poco più di due anni, e affronta questioni  urgenti e importanti, decisive.   Difficile che possa affrontare, oltre a quelle necessarie per Next Generation EU, molte altre riforme, specie di quelle che esigono percorsi pluriennali.
Dall’altro lato, da un presidente come Draghi (e da una maggioranza come quella che lo sostiene) ci si aspetta pure che indichi una direzione al futuro del Paese. Una direzione che imprima il segno politico anche a scelte di domani. Così è la conferma delle scelte atlantica ed europea. Così è il no allo spreco. Così è per la determinazione a distinguere l’assistenza dagli interventi fecondi di sviluppo.
Come si inserisce in questo quadro la terribile questione dei migranti? Terribile per i migranti innanzitutto, ma anche perché  la politica italiana non sa venirne a capo. Mi chiedo infatti perché ormai da diversi anni ci accaniamo e ci dividiamo su questioni (sbarchi di immigranti irregolari, rimpatri, ius soli e ius culturae) che sono molto importanti per una una politica della immigrazione. Ma il quadro generale manca.
Mentre in Italia dominavano tali questioni, intanto nel mondo si muovevano cose di più largo respiro. Ad esempio, il Global Compact sulle migrazione firmato nel dicembre 2018 a Marrakech da 164 Stati, ma non firmato da una minoranza di Paesi, meno di trenta, tra i quali l’Italia. Siamo rimasti così in compagnia dei paesi di Visegrad, dell’Austria e degli USA che erano ancora quelli di Trump. Quel Patto invece fu firmato dalla Santa Sede che riteneva di aver ottenuto contenuti positivi. Salvini motivò la contrarietà perché il Patto avrebbe messo sullo stesso piano “i migranti cosiddetti economici e i rifugiati politici”. Siamo rimasti alle convenzioni internazionali del secolo scorso, attardati rispetto ai nuovi orientamenti della coscienza civile e lontani dalla Dottrina Sociale della Chiesa. Da qui ripartiamo.
L’Unione Europea ha varato mei mesi scorsi una Comunicazione (Un nuovo patto sulla migrazione e l’asilo), che da noi è assegnata da ottobre 2020 alla Commissione Affari Costituzionali del Senato. Ma cosa ha detto Draghi il 17 febbraio in Senato? “Altra sfida sarà il negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo, nel quale perseguiremo un deciso rafforzamento dell’equilibrio tra responsabilità dei Paesi di primo ingresso e solidarietà effettiva. Cruciale sarà anche la costruzione di una politica europea dei rimpatri dei non aventi diritto alla protezione internazionale, accanto al pieno rispetto dei diritti dei rifugiati”.  Alcuni commentatori hanno letto l’affermazione come una concessione alla Lega, ma spero manifesti la determinazione di inserire le questioni particolari nell’orizzonte dell’Unione europea.
In questa maggioranza, che accomuna convinti e riottosi, è difficile, ma non impossibile, che maturino convergenze. Accade a volte che in situazioni di attenuata belligeranza si possa trovare qualche equilibrio, che sarebbe più difficile in pace o in guerra. Invece fare piccole scaramucce su questioni particolari ottiene spesso il risultato di perdere di vista la questione principale. Dunque se stiamo ai fatti, e alle parole pronunciate in occasioni solenni, è nel negoziato sul nuovo Patto per le migrazioni e l’asilo che dobbiamo individuare il terreno per passare da schermaglie strumentali (non solo sulla pelle di persone che meriterebbero considerazione umanitaria, ma anche a danno di noi italiani trascinati in vortici demagogici con poche informazioni corrette, poca verità, poco dialogo sulle scelte da compiere).
Cosa propone il nuovo Patto? Si tratta di un’iniziativa complessa, che accanto alla Comunicazione (COM 2020/609/final) comprende diverse proposte di regolamento (sull’asilo, sullo screening alle frontiere esterne, su procedure comuni di protezione internazionale, sui meccanismi della solidarietà, sulle situazioni di crisi e la disciplina dei rimpatri e altro). Sono proposte che in parte si aggiungono a quelle del 2016 non ancora definite.
Senza entrare in merito delle specifiche discipline, un punto rilevante nel pacchetto è l’apertura propositiva e strategica. Si parla di un nuovo paradigma di cooperazione con i Paesi terzi (di origine e di transito dei migranti), e di un atteggiamento più attivo (la Commissione intende avviare partenariati finalizzati ad attrarre talenti per agevolare migrazione legale e mobilità). I partenariati comincerebbero da Balcani e Africa per estendersi successivamente a Paesi più lontani.
Infine, la Commissione Europea si propone di adottare un Piano d’azione globale sull’integrazione e l’inclusione per il quinquennio appena avviato. Una partecipazione intensa, costruttiva e leale a questo negoziato può aprire all’Italia una prospettiva utile e liberarci da dispute distorte, nelle quali siamo intrappolati. Ma questa prospettiva non basta.
Con un dibattito nazionale da promuovere si dovrebbe maturare un sentire comune degli italiani.
Innanzitutto dobbiamo ricordarci che le migrazioni non sono un fenomeno straordinario e patologico. Sono una condizione normale dell’umanità. Studi linguistici e genetici dicono che le popolazioni europee non furono originarie dell’Europa.
Le proposte normative dovrebbero essere sia ancorate al sentire comune sia agganciate a finalità condivise. Ad esempio, per quali scopi intervenire sulla cittadinanza? Percorsi, modalità e tempi, specie quando la cittadinanza finirà comunque per essere concessa, dovrebbero facilitare l’integrazione culturale e sociale; promuovere l’adesione a valori, leggi e costumi del Paese ospitante; favorire l’affezione alla Patria adottiva, che spesso è la patria e basta, per i tanti nati qui.
Circa un milione di persone ha avuto la cittadinanza nel decennio scorso. Nel 2019 su 420.000 nati in Italia, i figli di genitori stranieri sono stati 63.000, in calo sensibile rispetto agli anni precedenti. Più numerosi quelli con un solo genitore straniero, 92.000, che se riconosciuti dal genitore italiano hanno già comunque la cittadinanza.
Occorre poi avere presente la realtà nei suoi dati di insieme. Gli stranieri residenti in Italia, cioè i cittadini non italiani iscritti nell’anagrafe dei comuni, sono in numero equivalente ai cittadini italiani residenti all’estero. Circa 5,5 milioni di persone. Agli stranieri in Italia bisogna aggiungere quelli che vivono qui con permesso di soggiorno. Anche il dato degli iscritti all’Aire va integrato perché non comprende chi vive all’estero per meno di 12 mesi, gli appartenenti a certe categorie, etc. Dunque una situazione di equilibrio.
Per numero di stranieri in Italia Intorno al decimo posto nel mondo. Ci sono Paesi meno prosperi che hanno accolto più stranieri. Ci sono Paesi europei meno grandi che ospitano percentualmente molti più stranieri.
Bisogna avere consapevolezza dei flussi. Sappiamo tutti, ad esempio, che ci sono da noi molti rumeni, ma perché i rumeni vengono qui e i turchi vanno in Germania (a fare gli operai e anche a sviluppare il vaccino antiCovid)? Perché gli sbarchi riguardano persone che in larga parte non vogliono trattenersi in Italia, ma percorrerla per andare in altri paesi europei? Poi le cose cambiano: la Polonia è diventata in pochi anni un paese di immigrazione. I diversi gradi di affinità culturale non andrebbero ignorati.
Qualcuno può immaginare che un Paese con diverse migliaia di chilometri di coste e di confini di terra possa essere sigillato? Messo sotto vetro? Se la popolazione europea invecchia e decresce, mentre quella africana è avviata a raddoppiare da oggi al 2050 (portandosi verso i 2,5 miliardi) come si può gestire la pressione prevedibile? Certo l’Africa ha un tasso di crescita del PIL ben maggiore di quello europeo, ma non completerà la rincorsa in tempi brevi.
Dunque le migrazioni non si possono né ignorare né impedire, ma sono processi da governare nell’interesse comune (dei paesi di provenienza e di destinazione), senza trascurare che si tratta non di merci ma di persone.
Papa Francesco, con quattro verbi più volte ripetuti (“accogliere, proteggere, promuovere e integrare”) rammenta che questo atteggiamento, non solo verso i migranti, ma verso tutti gli abitanti delle periferie esistenziali, è la strada verso lo sviluppo umano integrale e gli obiettivi di sviluppo sostenibile della comunità mondiale.
Ma la scelta di governare questi processi, che sono processi intercontinentali, diventa fattibile con una “governance” europea, che abbia coesione e solidarietà, che abbia obiettivi lungimiranti e linee guida.
Meglio, molto meglio, organizzarsi per il futuro, piuttosto che fingere di vivere nel passato.
Vincenzo Mannino

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