Perché non interporre i buoni uffici di un governo amico per temperare la foga distruttiva di Donald Trump?

Dopo l’OMS e la Corte Penale Internazionale, Trump ha messo nel mirino l’USAID, l’Agenzia per la cooperazione internazionale degli Stati Uniti. Fondata, a suo tempo, da John Kennedy. Cancellata letteralmente d’un sol tratto, dopo che, da sessant’anni a questa parte, ha svolto un ruolo fondamentale, soprattutto nei programmi di prevenzione sanitaria e di assistenza ai bambini nei paesi del sottosviluppo.

L’Agenzia viene letteralmente smantellata ed i 14.000 dipendenti vengono, senza alcun preventivo avviso, richiamati anche da aree particolarmente critiche e ridotti a 290.
Gli effetti immediati sul piano sanitario e per quanto concerne l’assistenza alimentare in determinate aree dove è più alta la mortalità infantile da denutrizione, si prospettano drammatici. Vengono anche interrotti numerosi progetti di ricerca biomedica già intrapresi ed abbandonate al loro destino le coorti di pazienti reclutati per i relativi studi clinici.

Siamo, evidentemente, di fronte ad una strategia apparentemente arruffata, in effetti attentamente curata quanto inedita e spregiudicata. E francamente disumana, ammesso che considerazioni del genere abbiano ancora – e non solo nel caso in esame – un qualche diritto di cittadinanza. Si potrebbe definirla – ma è un ossimoro – una sorta di “imperialismo isolazionista”.

Sembra che Trump – dalla Groenlandia, al Canada, passando per il suo Paese, fino all’ex-Golfo del Messico ed a Panama ( ed oltre?) voglia riservarsi uno spicchio del mondo, protetto dai due Oceani. E da lì esercitare, senza uscire di casa, con misure protezionistiche, minacce, pressioni, ricatti e quant’altro prescinda dal rispetto del diritto internazionale o, più semplicemente, da elementari leggi di reciproca convivenza, un controllo delle aree strategiche del mondo che, ad esempio, nel caso della Riviera di Gaza, va ben oltre la classica dottrina delle “sfere di influenza” per diventare di fatto un “dominio” totale ed incontrollato. È l’esuberanza e la vitalità incontenibile e prorompente di un Paese sano e di un leader forte? Oppure no?

Spesso la tracotanza nasconde un timore sottile e strisciante che si vuole esorcizzare prima di essere costretti a confessarlo a sé stessi. È solo l’insana follia di un personaggio per lo meno eccentrico oppure, al di là dell’aspetto fenomenico, per sghembo e paradossale che sia, quel che succede risponde ad una logica che ha a che vedere non solo con le sempiterne ragioni di potere, ma anche, si potrebbe dire, con una sorta di trasformazione “ontologica” di quest’ultimo che, nella sua accezione politica tradizionale, viene via via subornato dal potere della tecnica? Non a caso la “corte dei miracoli” di Trump è zeppa dei migliori personaggi che conosciamo.

È bene che l’Europa si faccia quanto prima un’idea chiara di quanto avviene. La stessa cosa vale, in particolare, per il nostro Paese che deve uscire dall’incantamento catatonico che Trump esercita sulle forze di maggioranza del nostro Governo. Se poi quest’ultimo volesse effettivamente – cosa che evidentemente non è – esercitare un ruolo significativo sul piano internazionale, anziché piegarsi come fa il “bimbo”, o comunque assentire o zittirsi, visto il rapporto di privilegiata simpatia in essere, dovrebbe rispettosamente alzare la testa e dire che nemmeno l’Italia, concorde con il resto dell’ Europa, cosi non ci sta.

Domenico Galbiati

 

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